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venerdì 26 maggio 2017

Cannes a Paris - Giorno 1

Da qualche anno a questa parte, in concomitanza con gli ultimi tre giorni del Festival di Cannes, sbarcano a Parigi un buon numero di film provenienti dalla Croisette, sia in competizione che presenti nelle altre sezioni.
E così, magicamente, il Gaumont Opéra di Boulevard des Capucines diventa una specie di succursale del Festival, con lunghe file di gente in attesa di poter entrare alle proiezioni.
14 film in 3 giorni. Un vero tour de force al quale i cinéphiles parigini non si fanno certo trovare impreparati (e non vi dico lo stress per trovare i biglietti. Quest'anno, complice un bug informatico, mi sono personalmente déplacée al cinema per comprarli direttamente alla cassa!).
Ammetto di non riuscire a vederli tutti, non so se esistano persone capaci di stare chiuse in un cinema dalle 11 del mattino a mezzanotte (forse sì!), ma sto cercando di avere una media di 3 al giorno, e ovviamente mi diverto moltissimo e mi pare di vivere in un mondo parallelo, dove tutto quello che si può fare tra un film e l'altro è cercare di mangiare un panino in fretta e furia (un grazie speciale al mio amico Nico che mi ha accompagnato in questa maratona).
Il primo giorno, venerdì 26 Maggio, sono riuscita a vedere tutti e tre i film proiettati.
Ecco le mie impressioni, a caldo (nel vero senso della parola, viste le temperature parigine di questi giorni...):
The Killing of a sacred deer di Yorgos Lanthimos (US)
Era il film della competizione che aspettavo più di ogni altro, avendo adorato The Lobster, la precedente opera di Lanthimos (Prix du Jury al Festival di Cannes del 2015).
Somma delusione.
Dopo un inizio piuttosto interessante: atmosfera che si fa più opprimente ad ogni scena, recitazione allucinata degli attori, figura di adolescente disturbato e super inquietante (la cosa più bella del film, questo giovane attore straordinario che si chiama Barry Keoghan), il film diventa una specie di film di Haneke venuto male (e calcolando che a me Haneke piace pochissimo, immaginatevi la contentezza). Non ho davvero capito dove Lanthimos volesse andare a parare, con la storia di questo chirurgo americano dalla famiglia perfetta che subisce la vendetta del figlio di un uomo morto nel corso di una sua operazione. 
Il mito di Ifigenia in chiave moderna? Una qualche metafora sulla società attuale? L'apoteosi del senso di colpa insito in ogni uomo? Mah, chi può dirlo? Io no di sicuro.
A parte qualche sprazzo di ironia e di genialità qua e là, un film del quale sento che la mia vita non aveva alcun bisogno. Che di Haneke ce ne basta (e pure ce ne avanza) uno solo.
Quel dommage!

Nos Années Folles di André Téchiné (France)
Ho sempre amato il cinema di André Téchiné: un regista bravo e privo di fronzoli a cui il Festival di quest'anno ha regalato una séance spéciale per presentare il suo nuovo film.
Storia piuttosto incredibile, ma vera, di Paul e Louise Grappe. Paul, disertore durante la prima guerra mondiale, si nasconde a casa della moglie Louise travestendosi da donna e facendosi passare per Suzanne, una sua amica. La trasformazione in donna apre a Paul il mondo sino ad allora sconosciuto della vita notturna al Bois de Boulogne. Quando, dopo l'amnistia, l'uomo potrebbe tranquillamente riprendere la sua vita normale, si rende conto di non voler più rinunciare a Suzanne, con conseguenze tragiche. 
Film dalla solida fattura, Nos Années Folles è una bella riflessione sulla forza dei desideri umani (anche quelli più folli, giustamente) e sull'identità reale di ciascuno di noi, sostenuto dalla bravura di due attori che per me sono tra i migliori in assoluto qui in Francia: Pierre Deladonchamps (era il ragazzo testimone dell'omicidio in L'inconnu du Lac) nel ruolo di Paul e la mitica Céline Sallette in quello di Louise.

Le redoutable di Michel Hazanavicius (France)
Non avendo molta simpatia per Jean-Luc Godard, trovavo piuttosto bizzarra (e anche piuttosto coraggiosa, essendo Godard ancora alive and kicking) l'idea di Hazanavicius di farci sopra un film. Ma avevo molto amato il libro a cui il film si ispira, Un an après di Anne Wiazemsky, ed ero quindi particolarmente incuriosita dal risultato. 
Sorpresa, sorpresa: ho trovato questo film un'assoluta delizia. 
Con uno spirito totalmente Nouvelle Vague, Hazanavicious fa un ritratto veritiero, pieno di ironia e tenerezza, di questo mostro sacro del cinema contemporaneo. Godard è mostrato nel pieno delirio della "rivoluzione maoista": il '68 parigino è alle porte, lui ha appena girato La Chinoise (la cui protagonista è proprio sua moglie, Anne Wiazemsky) e sogna di rivoluzionare totalmente il suo modo (ma anche quello degli altri) di fare cinema e di vivere.
Hazanavicious, con una leggerezza degna dei suoi migliori OSS, ci fa divertire mostrandoci Godard in tutte le sue contraddizioni: vorrebbe vivere come un operaio ma vive comodo in un bell'appartamento del 6° arrondissement, vorrebbe fare la rivoluzione per le strade ma ha scarpe troppo scomode per correre e perde e rompe continuamente i suoi occhiali, invoca la parità uomo-donna ma tratta sua moglie come il peggiore dei conservatori di cui ha tanto orrore. Rubando idee di regia allo stesso Godard, con uno stile yé-yé davvero adorabile, il regista ci regala un film sorprendente proprio perché privo di qualsiasi pretenziosità su un regista considerato inattaccabile. Louis Garrel nel ruolo di Godard fa meraviglie: e chi meglio di lui, nato e cresciuto nell'ambiente Nouvelle Vague (il suo padrino è Jean-Pierre Léaud, per dire!), poteva divertirsi a "fare" Godard? E Garrel lo fa talmente insopportabile che alla fine risulta simpatico. Peccato per l'attrice Stacy Martin (la "ninfomane" del film di Lars Von Trier), che ha il fisico giusto alla Chantal Goya ma pochissimo carisma (è lei il grande difetto del film, insieme alle scene italiane, che per i miei gusti fanno un po' troppo "macchietta"), mentre è sempre un piacere vedere sullo schermo Bérénice Bejo e Grégory Gadebois (la scena in macchina mentre ritornano dal Festival di Cannes del '68 è da morire dal ridere!).
Ho cercato di leggere il meno possibile sui film di Cannes per non lasciarmi influenzare ma mi dicono che i critici hanno massacrato Le Redoutable (a me piace tantissimo anche il titolo!). Proprio non riesco a crederci, e vi invito ad andare a verificare di persona (io che difendo un film su Godard, davvero abbiamo visto tutto a questo mondo).
Tra l'altro, il regista ci regala anche un full frontal di Garrel, fosse anche solo per questo... vi assicuro che vale la pena di darci un'occhiata!

domenica 27 settembre 2015

Les Deux Amis

Più invecchio e più i film “carini” mi danno addosso. 
Quei film che non si può dire che siano brutti ma nemmeno che siano belli. Quei film che ti domandi perché mai un regista si dovrebbe sbattere per anni (perché fare cinema prende un sacco di tempo) per raccontare una storia così, una storia che in fin dei conti ti dimenticherai nei tre minuti netti che ci metterai a coprire la distanza tra la sedia su cui stai seduto e la porta di uscita del cinema.
Il più delle volte si tratta di cose già viste mille volte. 
Inquadrature che le vedi arrivare da lontano, con una minima quota di film in memoria. 
E non importa che ci siano poi delle cose interessanti, che gli attori siano bravi, o bravini, e che a volte si ride anche (perché commuoversi, no, quello mai, perché in film così l’emozione vera non esiste).
Ora, se sei un regista al tuo primo film, a me questa cosa sembra ancora più grave.
Perché uno nel primo film vuole buttare dentro tutto, sbranare, fare errori, sporcarsi: chissà se lo fa, infatti, il secondo film.
Forse il problema è che qui il regista sa di poterlo fare di sicuro, un altro film.
E lo sa perché di nome fa Louis e di cognome Garrel.

Attore bravo ma non eccelso, Garrel ha fatto fino ad ora una buona carriera, un po’ grazie ai film del padre Philippe, un po’ grazie a quelli di Valeria Bruni Tedeschi (che è stata sua compagna per diversi anni), ma soprattutto grazie a quelli di Christophe Honoré.
Dopo tre cortometraggi (ne ho visto solo uno e devo dire che non era male: Le Petit Tailleur), ha ora diretto il suo primo lungo, Les Deux Amis, presentato in una sezione collaterale all’ultimo Festival di Cannes e ora approdato sugli schermi parigini.
Scritto da lui e da Honoré, il film ha per protagonisti due amici: Abel e Vincent. Entrambi 30enni che lo sa il Signore come si mantengono, passano le loro giornate a cazzeggiare. Vincent un giorno si innamora di una ragazza che serve bibite e panini in un chioschetto della Gare du Nord. Disperato perché la ragazza, dopo un primo approccio positivo, non lo vuole più vedere, chiede consiglio all’amico, evidentemente più sgamato in fatto di donne e pure di cose del mondo in generale. Per convincere Mona a restare con Vincent, alla fine i tre si ritroveranno a passare del tempo tutti insieme. La ragazza nasconde un segreto che loro scopriranno solo alla fine del film (lo spettatore no, lo sa subito: Mona è in libertà vigilata e la sera deve rientrare in prigione, quindi sta facendo cazzate su cazzate a restare in giro con loro). Ovviamente: le cose si complicano, a Mona piace l'uomo sbagliato, l’equilibrio dello strano trio vacilla, l’amicizia tra i due uomini pure.

Ora, ditemi voi se questa storia, già solo io a scriverla e voi a leggerla, non vi sembra il più grande déjà-vu della storia del cinema. Ed è proprio questo, il problema: che ti immagini tutto, e che tutto si svolge esattamente come avevi immaginato. Senza sorprese, senza un briciolo di profondità sui personaggi, sulle loro vite, sulle loro ragioni. E il tocco, il tono che vorrebbe essere leggero, a me sembra solo superficiale. E non basta, vorrei dire al nostro caro Louis, mettere una citazione da Jules & Jim per salvarsi dal confronto: "Abel, questa no, Abel!"
Eh, appunto, questa proprio no, non ci voleva, Louis. E non basta mettere al centro di un caffé deserto una donna che balla (per quanto bella, sensuale e carismatica come Golshifteh Farahani) per ricreare la magia di Bande à Part, né fare un omaggio al babbo tuo facendo partecipare come comparse i tre protagonisti ad un film sul Maggio ’68 che sembra proprio essere Les Amants Reguliers (con un triplo carpiato, per altro, dato che il protagonista di quel film eri tu).
E non basta nemmeno farsi aiutare da Honoré a scrivere un film che sembra la brutta copia di un film di Honoré (che stia attento pure lui, che dopo quella stronzata galattica di Métamorphoses e la sceneggiatura di questo film ne ha parecchie, di cose da farsi perdonare) o dare la parte dell’amico a Vincent Macaigne, sapendo che si tratta di un bravo attore (sì, che però fa SEMPRE la parte dello svampitone simpatico e pacione e magari anche cambiare registro gli farebbe bene).
Tu, certo, niente da dire, Louis, con quella meravigliosa gueule de cinéma puoi stare sullo schermo all’infinito e noi non ci lamenteremmo mai, però pure tu uno sforzino per ampliare la tua palette di recitazione lo potresti fare.  

Louis Garrel nella scena finale di Les Amours Imaginaires di X. Dolan
Ma soprattutto, ed è questo che non ti perdono, non puoi pensare di fare un film à la Xavier Dolan. Perché lo so che non lo ammetteresti nemmento sotto tortura, ma era quello che stavi carcando disperatamente di fare. Senza riuscirci.
Il talento di Dolan ce l’hanno in pochissimi e, soprattutto, sono in pochissimi a fare dei film come i suoi, dove senti che quello che ha da dire o lo dice o muore, e per arrivarci non ha paura di niente: né di far scorrere fiumi di pellicola, né di essere sopra le righe, né di esagerare, né di buttarci sopra un quintale di trippe.
Che tu, evidentemente, non hai.
Ma provaci ancora, Louis, magari sarà proprio il secondo film a rivelare che un'anima, in fondo, ce l'hai anche tu.


domenica 22 gennaio 2012

The (Golden) Iron Lady

 A couple of weeks ago, something incredible happened to me.
The reason why I have waited so long to write about it is that, immediately after, I went away for my job and I didn't have much time to dedicate to the blog. Nevertheless, this event couldn't get out of my mind, and I actually think it will stay there for ever: I had a glass of champagne with Meryl Streep
Yes, I know, it sounds unreal, but I swear: it is the truth.
On January 6, Ms. Streep was in Paris for the French avant-première of The Iron Lady, the film about former UK Prime-Minister Margaret Thatcher, together with the director of the movie, Phyllida Lloyd. I had an invitation for the event through my friends at Pathé (Véronique, je t'aime!), and so I had the chance to see the movie and the Master Class following the screening, where the actress and the director talked about their experience.
I have to confess I was quite disappointed by the film: I didn't like the structure of it, there was something fake about the whole construction of the scenes and I thought this was a burden to the fruition of the story. One can only admire the persistence of Ms. Thatcher, who clearly struggled every day as a woman in a world of men, but her reasons, the things she has done, the decisions she has made, what kind of person she was, well, that's another whole story, and I didn't clearly understand which was the movie's point of view. This was particularly sad for me because I greatly admire the work of Abi Morgan, the screenplayer, who previously wrote the BBC tv series The Hour and, together with Steve McQueen, the movie Shame. Anyway, there was one thing I absolutely admired and adored in the movie, and that was Meryl Streep's performance. I mean, she doesn't play Margaret Thatcher, SHE IS Margaret Thatcher, and there are no adjectives to describe her work on this. I guess the audience in the cinema agreed with me, because when Meryl Streep appeared after the movie, there was a spontaneous and very long standing ovation. Catherine Deneuve, Isabelle Huppert and Louis Garrel were part of our team (I saw them!).
For a series of circumstances too complicated and a bit private to explain, few minutes after all this was over, I found myself seated at the same table with Meryl Streep and Isabelle Huppert at the bar of a very fancy parisian hotel, drinking champagne. Well, my boss was with me, and this is actually the only reason why I was there and I had this incredible chance (Grazie, Capo!). As it happens often to me in this kind of situations, I completely loose any sense of reality (something I am lacking of even in my every day life)  and I keep looking around, asking myself: Is this real? Is this really happening? It is also one of those few, very few circumstances, where I become shy and I am not able to speak a single word. I gaze upon people in disbelief, as if they were still on a screen instead of being seated close to me. And last, but not least, I have the bad habit to think about all the questions I am dying to ask and I know I can't, because it is just not possible in a situation like that, where people talk about everything but cinema. As a result, I didn't hear about a single word they were saying, I simply stared at Ms. Streep thinking about how gorgeous, gentle, intelligent, nice, curious, talented, and perfect, she looked. 
Then I heard my boss saying something about me and my passion for cinema. Ms. Streep looked at me and said: Oh, really? This is great. At that point, I confessed I was a cinema blogger. When she heard about it, Ms. Streep gently put her hand on my knees and said, with the sweetest voice: Then, when you write about actors in your blog, please, try to be not too severe with us! 
I was totally amazed by this. Don't you think it is the most incredible thing to hear from the mouth of the best actress in the world? 
On the screen she is an Iron Lady, but in real life, believe me, she is a Golden one.

giovedì 1 settembre 2011

On connaît (et on adore) la chanson!

Mi piacciono da morire.
Che cosa? I film francesi, in generale, e quelli in cui si canta in particolare. Negli ultimi giorni ne ho visti due che sono dei gioielli rari e preziosi. Che mi hanno incantata, emozionata, sconvolta, che mi hanno fatto ridere, piangere, mi hanno fatto capire cose, posto delle domande fondamentali, aiutato a soffrire con leggerezza, e trasportato in vite che non sono la mia ma avrebbero potuto essere. Sto parlando dell'ultimo film di Christophe Honoré: Les Bien-Aimés, e della seconda opera della giovane regista Valérie Donzelli: La Guerre est déclarée. Un uomo e una donna, dietro la macchina da presa, accomunati da una stessa sensibilità, dal desiderio di raccontare tragedie senza piangersi addosso ma anche senza aver paura di essere romantici, o fuori moda, o di fare film come se ne fanno tanti di questi tempi: senza cuore.
Les Bien-Aimés racconta la storia di una madre e di una figlia, tanto spensierata ed istintiva la prima quanto seria ed ossessiva la seconda, e dei loro amori. A volte ridicoli, a volte tragici, ma sempre totali e vissuti fino in fondo. Le loro vite vanno dagli anni '60 della madre ai 2000 della figlia, e Honoré ci passa attraverso con quello strano miscuglio tutto suo: uno stile a metà tra un film di Jacques Demy e una canzone di Morrissey, sempre al limite del kitsch ma troppo intelligente per cascarci in pieno. Nel film, ogni scusa è buona per mettersi a cantare (cosa che a Honoré riesce facile perché ha scelto come complice l'ottimo musicista Alex Beaupain, il suo personale "Michel Legrand"), per parlare dei suoi argomenti preferiti (l'innocenza della gioventù, la follia del sentimento amoroso specie quando non è corrisposto, l'essere gay e quello che ne consegue, sieropositività - a volte - compresa), e fare omaggi a pioggia alla Nouvelle Vague. Scegliere Catherine Deneuve per il ruolo della madre è già una dichiarazione di intenti: tra tutte le attrici, proprio quella che vendeva gli ombrelli a Cherbourg... ma guarda un po'! E "travestire" Louis Garrell da Jean-Pierre Léaud ogni volta che compare nei suoi film, pure. Ma sia ben chiaro: chi si lamenta? Honoré è uno di quei rari registi che ha saputo creare in poco tempo un universo particolare, tutto suo, un mondo che migliora, si rafforza e si fa più profondo ad ogni opera. Gli attori sono tutti strepitosi, le canzoni magnifiche, la storia coinvolgente ed originale, e la macchina da presa sa il fatto suo. Tocco di classe finale: il film è dedicato alla memoria di Marie-France Pisier, attrice truffautiana scomparsa di recente, che aveva recitato per Honoré nel suo bellissimo Dans Paris. Io personalmente quando esco dalla visione di uno dei suoi film rimango tramortita di tristezza per ore, ma spero sia un problema solo mio (per favore, lettori, ditemi se capita così anche a voi!).
La Guerre est déclarée, invece, è un film che parla di una storia vera. Quella realmente accaduta a Valérie Donzelli e al suo compagno (Jérémie Elkaïm, che nel film ha il ruolo del protagonista): belli, giovani e innamorati, hanno un figlio, Adam, ma dopo qualche mese si rendono conto che qualcosa non va. Il bambino non cammina, vomita senza una ragione apparente e lascia pendere la testa da un lato. Si rivolgono ad una pediatra di cui hanno fiducia, e questa si accorge che Adam ha una semi-paralisi facciale. Da lì, ha inizio il loro calvario: il bambino ha un tumore maligno al cervello, si può intervenire ma è gravissimo. L'operazione funziona, ma Roméo e Juliette (questi i loro nomi di finzione nel film) dovranno affrontare lunghi anni in cui il figlio sarà sottoposto a chemioterapia e cure di ogni genere prima di potersi considerare definitivamente guarito. La loro coppia non sopravvivverà, ma il loro amore verso Adam li terrà uniti fino in fondo. 
Valérie Donzelli riesce con questo film in un'operazione quasi inumana: rendere "leggero" il racconto di uno dei dolori più immensi che esistano. Non c'è mai posto, nemmeno in una singola scena, per piangersi addosso, ricattare moralmente lo spettatore, far leva sulla pietà o magnificare il proprio ruolo di genitori modello. La Donzelli dice le cose come stanno: ecco due esseri umani prostrati, confusi, storditi dagli eventi e da mille domande (perché noi? perché il nostro bambino?), sommersi dalla paura, eppure ancora vivi. Pronti a lottare fino allo stremo, con i pochi mezzi e le poche forze a disposizione, in nome del loro amore e di quello per il loro bambino. Irresistibile, ad esempio, la scena della notte prima dell'operazione al cervello al bambino, nella quale fanno l'elenco delle loro paure: ho paura che Adam diventi sordo, cieco, muto, frocio, nero, e che voti Fronte Nazionale! La Donzelli, per sdrammatizzare, ha un vero talento. Bravissima anche nella scelta degli attori: tutti sono perfetti (i medici, le infermiere, i genitori borghesi di lei, la madre lesbica di lui, gli amici), e in quella della musica, che in questo film ha un ruolo fondamentale. La regista ne fa un uso straripante, come se fosse uno dei protagonisti della storia, e in un momento drammaticissimo del film, c'è anche posto per una canzone (composta e cantata da lei e Elkaïm). Verrebbe quasi da pensare di essere in un film di Honoré, invece è semplicemente un altro film francese.
On connaît la chanson! E' vero. E non solo la conosciamo a memoria, ma la vorremmo cantare a squarciagola. 
Perché ci piace. Ci piace da morire.

domenica 8 maggio 2011

Remembering Colette

Quando si ama tantissimo un regista e si è cresciuti vedendo i suoi film, si ha la tendenza a considerare gli attori che hanno recitato per lui un po' come persone della propria famiglia.
O, almeno, a me succede così.
Dal momento che non c'è famiglia cinematografica che mi sia più cara di quella creata da François Truffaut, ogni volta che muore uno dei suoi attori, io mi sento malissimo. Qualche anno fa, ad esempio, sono andata con il cuore affranto al funerale di Claude Jade, un'attrice bravissima che era stata Christine Darbon, la moglie di Jean-Pierre Léaud nella serie Doinel. E' invece di questi giorni, purtroppo, la notizia della scomparsa di un'altra amatissima e truffautiana attrice francese, Marie-France Pisier, che è stata Colette, il primo (infelice) amore di Doinel, e che più volte ha fatto la sua apparizione nei capitoli della serie.
Nata in Vietnam nel 1944, la Pisier ha trascorso l'infanzia in Nuova Caledonia, dove il padre era all'epoca governatore coloniale (nel 1984 uscirà un suo romanzo ispirato a quel mondo, dal titolo "Le Bal du Gouverneur", dal quale qualche anno dopo trarrà anche un film come regista). Rientrata in Francia per gli studi, attrice di teatro, viene scelta da Truffaut per interpretare Colette e da quel momento la sua carriera decolla: la Pisier ha lavorato con registi del calibro di Jacques Rivette, André Téchiné, Alain Robbe-Grillet, Raoul Ruiz e Luis Bunuel. Donna di grande impegno civile, è stata tra le firmatarie del manifesto di Simone De Beauvoir (Manifeste des 343 salopes) in favore del diritto all'aborto nel 1971.
L'ultima volta che l'ho vista recitare, è stato in un film del 2006 di Christophe Honoré, Dans Paris, dove era la madre di Louis Garrel e Romain Duris (mentre il padre era interpretato da Guy Marchand). Honoré, uno che nella vita ha mangiato pane e Nouvelle Vague, stava probabilmente pensando a Truffaut scegliendo questi due attori come genitori dei suoi protagonisti, e che piacere guardarli rubare la scena ai giovani con la loro bravura e la loro naturale complicità.
Tuttavia, per me, Marie-France Pisier resterà per sempre Colette, la ventenne che spezza il cuore a Doinel con la sua aria superiore e noncurante: dopo averlo fatto entrare in casa, lo lascia come un idiota continuare la cena con i propri genitori mentre lei se ne va fuori con un altro ragazzo, il suo, dal nome assai improbabile Albert Tazzi (clin d'oeuil di Truffaut all'attore protagonista di L'Année dernière à Marienbad, dell'amico Alain Resnais). 
Sacrée Colette... ci mancherai!

martedì 16 novembre 2010

Xavier Dolan needs you!


When you love a movie, what are you ready to do for the film-maker?
This is the question I had to ask myself when I found out that Xavier Dolan, the young québécois genius behind one of my favourite movies of 2010, Les Amours Imaginaires, published an announcement on his web site and on his facebook page asking for money to produce his next movie, Laurence Anyways.
He has made this request through a very interesting website, Touscoprod, where you can help the production of documentaries and fiction movies starting from a minimum amount of 15 $CA.
The production of Laurence (the movie will cost a total of 6,5 million $CA) is trying to gather in a minimum budget of 50.000 $CA, to be reached within July 2011 (if this is not attained, the co-producers wil have their money back).
Intrigued by the weird proposal and fascinated by the idea of becoming one of the co-producers of Dolan's next movie, I have decided to seriously study the case.
First I read about the plot.
1989, Laurence Alia is in a restaurant with his girlfriend celebrating his 30th birthday, and he tells her about his secret project: he wants to become a woman.
Then I read the name of the actor playing Laurence.
Louis Garrel.
And then I immediately gave the money.
I mean: how could I possibly resist not to do so, after having read about the story and the cast?
Now I am the proud co-producer n° 130 of Laurence Anyways.
We (we few, we happy few, we band of brothers, as Shakespeare would say) have reached, for the time being, the total amount of 8.752 $CA out of 50.000 $CA requested. There are still 7 months ahead of us.

C'mon guys, Xavier Dolan needs you.
What are you waiting for???

giovedì 7 ottobre 2010

Les Amours Imaginaires

Uscite i taccuini e segnatevi questo nome: XAVIER DOLAN.
E poi magari passateci sopra anche un evidenziatore. Perché? Perché questo canadese di Montreal è al suo secondo film e ha tutta l’aria di uno che nella storia del cinema c’è entrato per restare. Del resto, non sono la sola a pensarlo: i suoi film sono stati entrambi selezionati per il Festival di Cannes, il primo nel 2009 (portandosi via tutti i premi esistenti della Quinzaine des Réalisateurs) e il secondo nel 2010 (nella sezione Une Certaine Regard, ricevendo circa 8 minuti di applausi a fine proiezione). Dolan è uno che fa letteralmente tutto: scrive, dirige, produce, recita, fa il montaggio, si occupa della direzione artistica, della musica e nell’ultimo film pure dei costumi. Notevole, vero? Eh sì, soprattutto se tenete conto di un piccolo particolare: la sua età. Perché Dolan di anni ne ha 21.
Ha scritto il suo primo lungometraggio che ne aveva 17. Tema? Vediamo… playstations? primi problemi con le ragazze? paura di affrontare il mondo esterno? No, non proprio. Il suo primo film, dal titolo non-ve-lo-mando-certo-a-dire: J’ai tué ma mère (Ho ucciso mia madre), è un racconto semi-autobografico del rapporto più che burrascoso tra un adolescente gay (Dolan stesso, ovviamente) e sua madre, divorziata, e single, che cerca di crescerlo. Un vero 400 Colpi in salsa québécoise, con litigate mostruose, dialoghi fiume, e la zazzera alla Morrissey di Dolan onnipresente e al limite del fastidioso. Perché, forse è inutile specificarlo, questo ragazzo o lo si ama o lo si odia, senza mezzi termini. Personalmente, io ne vado pazza, per una semplice ragione: adoro le persone che hanno il coraggio delle proprie azioni. Che ci credono così tanto, in qualcosa e nel loro talento, da essere pronti ad andare contro tutto e tutti. E Dolan è esattamente così (leggenda narra che abbia tatuato sul ginocchio destro una citazione di Cocteau: “L’oeuvre est une sueur”. L’opera è una sudata). Il ragazzo ha parecchie cose da dire e le vuole dire a tutti i costi, e pure a modo suo. E’ evidentemente di un egocentrismo pauroso, ma non lo nasconde. Ed essendo una persona intelligente, è dotato di sufficiente ironia per ammetterlo e farlo capire agli altri. Il suo secondo film, Les Amours Imaginaires, è una conferma del suo grande talento (perché un primo film lo puoi azzeccare, ma il secondo no, lo devi proprio saper fare). Francis e Marie sono due amici che, nel corso di una cena, hanno un colpo di fulmine per lo stesso ragazzo, Nicolas, un efebo dai bei boccoli d’oro (praticamente la versione bionda di Louis Garrel e, non vi dico di più, ma non faccio questo nome a caso). Da quel momento, tra loro ha inizio una lotta elegantemente senza quartiere alla conquista dell’oggetto del desiderio. Il quale, ovviamente, sembra fare di tutto per confondere le idee ai due contendenti. Si tratta, come dice esplicitamente il titolo, di un amore immaginario, di qualcosa che non esiste, di un sentimento che non c'è, di un film che si fanno nella testa Francis e Marie. E’ un tema universale, da cui nessuno - temo - si possa dire immune (per altro le scene del film sono inframmezzate da monologhi in stile documentaristico nei quali dei giovani canadesi raccontano le loro pene d’amore immaginario). Tutti ci siamo innamorati di qualcuno che nemmeno sapeva della nostra esistenza, quando avevamo 20 anni, e Dolan e la sua amica non fanno differenza. Solo che loro lo fanno con stile.
Sin dalla bellissima scena iniziale, con Marie e Francis filmati di spalle davanti a un lavandino che si voltano a turno per osservare Nicolas, e continuare poi nel gioco di sguardi ed interrogazioni rigorosamente filmati in slow-motion per capire chi è interessato a chi. Meravigliosa tutta la sequenza (con Bang Bang cantata da Dalida in sottofondo) della loro preparazione per la festa di compleanno di Nicolas, dove si presentano con regali troppo belli e in abiti troppo raffinati rispetto all'occasione. Le scene di ralenti, già presenti nel primo film ma che qui letteralmente straripano, sono una delle cifre stilistiche di Dolan, il quale è stato accusato di esagerare e di copiare Wong Kar-Wai. Lui ha candidamente risposto in un'intervista: "Non è che Wong Kar-Wai ha il monopolio delle scene di ralenti, se le voglio fare anch'io ne avrò pure il diritto!" Ve l'ho detto, che questo non ha paura di niente. Del resto non ha nemmeno paura di essere crudele, di mostrare sprazzi di follia, di rabbia o disperazione e non risparmia, né a se stesso né agli altri, dei momenti imbarazzanti e squallidi.
Bravissimo anche come interprete, Dolan è capace di scegliere bene i suoi attori: Monia Chokri è perfetta nella parte della legnosetta ma deliziosa Marie (e che qualcuno mi dia l'indirizzo del negozio vintage dove hanno comprato i suoi abiti perché voglio DUE DI TUTTO), mentre Niels Schneider è altrettanto perfetto nel ruolo del bello e irraggiungibile, ma soprattutto: che piacere ritrovare l'incredibile Anne Dorval, la mamma un po' ringarde che Dolan voleva ammazzare nel suo primo film, qui diventata la madre iper-moderna (forse per vendetta) di Nicolas.
Che volete che vi dica? C'è qualcosa nella sfrontatezza e nella insopportabilità di Dolan che me lo rendono irresistibile. Ho visto questo film domenica sera e non c'è verso di farlo uscire dalla testa (e nel frattempo sono stata al cinema altre due volte), forse perché gli amori sono immaginari, ma il talento del regista, quello, è reale.

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