sabato 28 gennaio 2017

Chère Emmanuelle

Chère Emmanuelle,
Ho letto questa mattina la notizia della sua scomparsa.
E' stata una cosa molto brutta, sapere che lei non è più qui insieme a noi.
E' stato, come spesso mi è accaduto in questi ultimi anni nei quali ho visto scomparire gran parte dei registi e degli attori che amo, come perdere un pezzo di qualcosa che credevo sarebbe stato lì per sempre.
Ma il per sempre non esiste, se non al cinema.
E benché Godard affermi che il cinema è filmare la morte al lavoro, non c'è come l'immagine di un film a rendere immortali le persone.
Lei, per me, sarà sempre come la prima volta che l'ho vista, sulla terrazza di un hotel di Hiroshima, con uno yukata estivo addosso, fiorato e leggero, e una tazza di tè fra le mani.
E lei non può certo saperlo, ma quella sua passeggiata in un giorno estivo del 1959, ha cambiato per sempre la mia vita.
E' stato guardando lei e il paesaggio che aveva intorno, che ho cominciato ad amare segretamente e in maniera del tutto sproposita il Giappone. 
E' stato guardando lei e Eiji Okada camminare lenti nella notte , bere in un bar, e parlarsi dopo l'amore, in quel bianco e nero sontuosamente splendido, che ho cominciato a capire la bellezza del cinema, la sua supremazia sulla vita reale, e il mio rincorrere senza speranza ma anche senza sosta la bellezza di quei momenti.
Avrei sempre voluto ringraziarla, per questo, e una volta avrei anche potuto farlo per davvero, ma non ho avuto il coraggio di avvicinarla, e ancora oggi non non riesco a capacitarmene (io, che parlo anche con i muri, io, che non ho vergogna di niente e nessuno!).
Era il Febbraio di quattro anni fa, e mi trovavo nella lounge della Prima Classe di Air France all'aeroporto Charles De Gaulle (il motivo per cui me ne stavo in un posto simile sarebbe troppo lungo da spiegare) in attesa di un volo per Los Angeles. Lei era in attesa dello stesso volo. Partivamo tutte e due per partecipare alla cerimonia degli Oscar, io ovviamente per sbaglio, lei invece perché candidata al premio come Miglior Attrice Protagonista per il film Amour di Michael Haneke (che io, lei ora lo saprà, non ho amato per niente, ma quanto l'ho trovata eccezionale, e coraggiosa, e incredibile, ad accettare una parte simile a 86 anni).
La sera prima aveva vinto un Cèsar, per lo stesso ruolo, e io volevo farle i complimenti per quello e farle gli auguri per l'Oscar (aveva vinto anche uno Zazie D'Or, a dire il vero, ma questo mi sembrava più trascurabile).
Lei era lì seduta, tranquilla, c'era una persona con lei, una sola, e avrei potuto avvicinarmi facilmente e dirle qualcosa, ma non l'ho fatto. Mi sono limitata ad osservarla da poca distanza. 
Forse erano troppe le cose che avrei voluto dirle, forse pensavo che lei mi avrebbe guardato strano, forse non me la sono sentita di incontrarla fuori da uno schermo, come se rischiasse di sgretolarsi davanti ai miei occhi al solo contatto con l'aria.
Ma ho rivissuto quel momento nella mia testa molte volte. Lo faccio spesso, quando mi capita di avere dei comportamenti che non riesco a capire, e riviverli mi aiuta ad immaginare un finale diverso, come se potessi avere una seconda chance, come se potessi cambiare il passato.
E allora in questo finale alternativo io vengo verso di lei, Emmanuelle, e ci guardiamo per un pochino, non tanto, e poi sento la mia voce che le dice una sola frase, l'unica possibile:
Tu me tues, tu me fais du bien.
E lei fa un piccolo cenno con la testa per dirmi che ha capito, e mi sorride, e io mi volto, e me ne vado felice.
E' così che mi piace pensare che riesco a dirle grazie.
Bon Voyage, Madame Riva!
Sua devota,
Zazie

mercoledì 25 gennaio 2017

Lumière !


Cinema is a young art.
It was born in Lyon in 1895 and it started with the filming of a group of workers getting out of a factory.
That factory belonged to the Lumière Brothers, the inventors of modern cinema.
Last week, I was invited to the avant-première of Lumière! L’aventure commence, a film put together and commented by Thierry Frémaux (the director of the Institut Lumière in Lyon as well as the Délégué Général of the Cannes Film Festival), which is out today in French cinemas.
If you are a cinema lover, this is something you can’t possibly miss.
Lumière! Shows 108 movies (completely restored) made by the Lumière Brothers and their camera operators between 1895 and 1905, in France and all over the world. The Lumière bros actually made more than 1400 movies in total, so this is just a small selection of their incredible patrimony.

I have the feeling that when you mention the dawn of cinema, and silent movies in general, people immediately think they are about to see something boring and very ‘has been’, but this is far from the truth and Lumière! is here to prove it.
These 108 super short movies (at that time they could last no more than 50 seconds) are incredibly modern and it is amazing how they already show all the potential of cinema as form of entertainment and art. The witty, accurate and sometimes very funny commentary
by Frémaux guide us through an astonishing amount of different movies: from the family movies shot by the Lumière brothers in their houses and gardens, to the wonderful images taken around the world (Venice, Istanbul, New York, Chicago, even Japan in 1905!), and scenes of ordinary (and yet poetic) life in France: a snowball fight, boys swimming in a clear summer day, men playing the pétanque. 
To my disbelief, many of the technical inventions of contemporary cinema were already present in those works: the constraints of the camera movements (they could be just still) obliged the operators to deeply creative filming ideas. Some of them still used today. Basically, the Lumière invented almost everything there is out there to see, even now, with just the extra help of modern technology.
Lumière! is such an enjoyable movie: you laugh, you cry, you marvel watching those images coming from a past that remind us, at almost every sequence, how similar we are to our ancestors.
At the end of the screening, Frémaux talked about the film and he showed us few more short films but, in this case, still to be restored. Wow! What a difference. The brightness, the perfection, the beauty of the black & white were lost without the patient and precious work of the restorers. I sincerely hope they will find the money to save all the movies from their inexorable ruin.


The movie has been followed by a super nice cocktail dînatoire at the Café Lumière of the Hotel Scribe, in Boulevard des Capucines. Well, the place wasn’t certainly chosen at random: back in 1895 it was called Salon Indien du Grand Café and it was exactly where it took place the first public screening of a Lumière movie!
Useless to say, it was full of stars (never seen in all my life such a huge concentration of French actresses all together in the same room) and it was difficult to resist to the temptation of feeling one myself.
This is why I wasn't ashamed to take this picture:

As Frémaux put it so well in the film: cinema is something joyeux, tendre et universel, and it is also, in my opinion, the thing in this world that has more to do with dreams.
So let’s live the dream, until we can!


domenica 22 gennaio 2017

Indivisibili

C'è speranza per il cinema italiano?
A giudicare da alcuni film usciti l'anno scorso nelle sale, si direbbe proprio di sì.
Sorrentino e Garrone a parte, cominciano a spuntare qua e là - finalmente - nuovi tipi di film, nuove storie, nuove facce di attori, nuovi generi. Qualcuno comincia ad avere meno paura, qualche produttore più coraggioso si fa avanti per mettere dei soldi in opere tutt'altro che scontate. Speriamo solo che il pubblico segua questa bella tendenza e riempia un po' le sale, dando coraggio a questa sorta di nouvelle vague nostrana.
Giovedì scorso sono stata al Cinéma Arlequin per la presentazione di una rassegna di film italiani: De Rome à Paris, Le Cinéma italien rencontre le cinéma français, che in quattro giorni ha permesso al pubblico francese di vedere dei nuovi film italiani per ora totalmente inediti da queste parti.
Il primo film della rassegna era un'opera di cui avevo sentito moltissimo parlare e che ero molto curiosa di vedere: Indivisibili, di Edoardo De Angelis.
E ho dovuto constatare, con gioia estrema, che è stato superiore a qualsiasi mia aspettativa (vedi post precedente).
Dasy e Viola sono due gemelle siamesi di 18 anni che vivono nella orrenda no man's land tra Napoli e Caserta. Si guadagnano da vivere cantando a feste patronali, matrimoni e altre manifestazioni procurate dal padre, loro manager ufficiale, particolarmente dotato per sperperare quello che le ragazze guadagnano al gioco, aiutato dalla madre, una ex prostituta che passa il tempo a bere e farsi canne. Quando, per caso, le ragazze incontrano un medico che le assicura del fatto che ci sono le condizioni fisiche per poterle separare, Dasy inizia a scalpitare per riuscire a fare l'operazione. Osteggiata dal padre e dalla madre, che vedrebbero sfumare la loro fonte di guadagno, e in un primo tempo anche dalla sorella gemella che ha paura della separazione, la ragazza farà di tutto per arrivare a conquistare la sua "libertà".
Ingiustamente escluso dalla competizione ufficiale dell'ultimo Festival di Venezia (ma come è stato possibile??!), ed in compenso reclamato nei più importanti festival in giro per il mondo, come quello di Toronto, Indivisibili è un'opera straordinaria per la storia che racconta, per come la racconta e per la bravura di tutti i suoi attori, con menzione speciale alle due gemelle Angela e Marianna Fontana, al loro primo ma si spera non ultimo film e ad Antonia Truppo, ormai una certezza.
Girato con mano santa da Edoardo De Angelis (alla sua terza prova di regia), ha il dono di mostrare una realtà terribile e crudele con una leggerezza di tocco che la rende ancora più insopportabile da guardare. La camera segue con uno sguardo quasi innocente i paesaggi post-atomici (quando e chi ha permesso di ridurre il paesaggio ad un tale orrore?), i preti che cantano e si arricchiscono alle spalle della povera gente, i genitori ignoranti, ottusi e senza scrupoli, la bruttezza delle case piene di oggetti inutili, le comunioni faraoniche per bimbette obese vestite da principesse, e la vita in simbiosi di Dasy e Viola, il loro farsi forza a vicenda di fronte all'orrore, il loro conflitto interiore quando una delle due vuole viaggiare, vedere il mondo e fare l'amore, possibilmente senza la sorella attaccata a lei.
Il ritmo è incalzante e la storia a tratti inquietante, ma non mancano sprazzi meravigliosi di ironia partenopea, che danno il giusto respiro al tutto.
Insomma Indivisibili è un film che il resto del mondo ci dovrebbe invidiare. 
Spero che la Francia decida di comprarlo e distribuirlo e, lo so che in Italia è uscito lo scorso autunno, ma se a qualcuno venisse voglia di recuperarlo in DVD, sarebbe proprio una gran cosa.
Italy's got talent, lo sapevate?

mercoledì 18 gennaio 2017

Great Expectations

Il mio più grande problema nella vita, così come al cinema, è quello delle aspettative.
Sono una ragazza che sogna in grande, che non si accontenta, con una fantasia molto, molto sviluppata, dalle uscite a dir poco roboanti.
Hai voglia a sentirmi dire che no, non si dovrebbero avere aspettative, che è sbagliato, che non bisogna aspettarsi niente così poi quello che arriva è tutto bello.
Ma come si fa? Perché bisogna vivere e sognare al ribasso, dico io?
Certo, a furia di batoste, dalla vita comincio ad aspettarmi sempre meno (in effetti è molto più saggio, ne convengo), dal cinema però no: caparbiamente, assurdamente, continuo a richiedere un grado di meraviglia che stia alla pari con le mie più great expectations.
Metti ad esempio questo film che riuniva i miei due attori più amati al mondo, che sono notoriamente Jeremy Irons e Michael Fassbender. Quando ho sentito per la prima volta che questi due sarebbero stati insieme sullo schermo la lancetta dell'aspettativa è schizzata a dei livelli che chi la ferma più. Mi mancava il respiro solo all'idea.
Poi mi sono chiesta: ma che film sarà mai? Quando ho capito che era tratto da un videogioco, già mi sono cadute le braccia, quando ho saputo che il regista era Justin Kurzel (lo stesso di Macbeth), l'entusiasmo non si è esattamente impossessato di me, però mi sono detta, vabbè dai, vedrai, sarà comunque bellissimo. Qui in Francia usciva lo stesso giorno in cui partivo per le vacanze natalizie in Italia. Pianti e stridor di denti. E' andata a finire che è stato il primo film che ho visto nel 2017. 
Ecco, diciamo, non proprio un inizio con il botto.  
Assassin's Creed è uno dei film più brutti e inutili che abbia mai visto, e ne ho visti tanti, credetemi, uno di quei film per cui ti chiedi: ma perché? perché l'hanno fatto? (a parte i soldi, intendo). E passi il tempo a pensare a quanto sarebbe stato interessante vedere quelle scene di Irons e Fassbender insieme in un film - non dico tanto - ma almeno decente.
Allora ho pensato di rifarmi andando a vedere Paterson di Jim Jarmusch, di cui tutti mi avevano detto un gran bene, sicura e felice del fatto che, trattandosi di un signor regista (a parte qualche stronzata qua e là) mi avrebbe regalato un bellissimo momento di cinema.

Solo che è andata a finire che non mi è piaciuto neppure questo film.
Avevo la netta impressione che Jarmusch volesse fare un film alla Kaurismäki, solo che se non sei Aki Kaurismäki quella cosa lì non ti riesce. Quel misto meraviglioso di poesia della quotidianità, di ironia sottile, di semplicità nel racconto, di ripetizioni impacciate, di personaggi strani e tenerissimi. 
Ecco, se non sei Kaurismäki succede che viene fuori una cosa lenta, ripetitiva e ai limiti dell'irritante (il personaggio di lei non si poteva proprio sopportare).
E capisco che tutti si aspettavano che mi piacesse ma no, non mi è piaciuto, ridatemi Kaurismäki (che è dal 2011 che non fa film e io sto per raggiungere il limite estremo di sopportazione di questa situazione).
Ho invece trovato davvero notevole, un po' a sorpresa (i giudizi che avevo sentito erano dei più disparati) il film di Tom Ford, Nocturnal Animals.

Di Ford avevo già apprezzato il primo film (anche se, essendo basato su uno dei miei romanzi preferiti di tutti i tempi, A Single Man di Christopher Isherwood, pure in quel caso non era stato facile essere all'altezza delle mie aspettative!).
Qualcuno trova irritante l'estetica estrema dei film di Ford.
Non io. Personalmente, trovo irritante quando dietro l'immagine perfetta c'è l'assoluto nulla, il vuoto cosmico, la mancanza di intenti. Se dietro scene di una formalità ricercata c'è una storia importante e ben scritta, quella formalità per me è benvenuta.
Basato sul romanzo Tony and Susan di Austin Wright, Nocturnal Animals racconta la storia di Susan, una ricca signora di Los Angeles con galleria d’arte e famiglia (fintamente) perfetta, che un giorno si vede recapitare un manoscritto destinato a sconvolgerle la vita. Si tratta di un romanzo, Nocturnal Animals appunto, scritto da Tony, il suo ex marito, qualcuno che lei non vede e non sente da quasi 20 anni. I due si erano lasciati malissimo, all’epoca: lui era un giovane romanziere di belle speranze, e lei voleva essere un’artista, ma il richiamo della vita agiata da borghese a cui era abituata avrà la meglio. Lascerà Tony, le sue velleità da pittrice, e si metterà con un bello senza anima ma pieno di soldi. Il romanzo che Tony le invia è potentissimo. Una storia nera ed inquietante dal finale terribile e straziante, che avrà un effetto dirompente sulla vita di Susan.

Film che hanno come tema principale la vendetta non sono certo rari, al cinema, eppure questo ha un sapore completamente nuovo. Di solito le vendette sono spettacolari, a volte un po’ assurde, quasi mai sottili e sistematiche. Qui invece si coglie perfettamente tutta la scia di dolore che Tony si porta dietro da innumerevoli anni. Una ferita aperta che si è imputridita, che gli ha tolto notti di sonno, e una bella fetta di vita. Costruire una vendetta attraverso un romanzo non è da tutti ma è anche un cosa che chiunque di noi potrebbe fare, volendo, a differenza di quei gesti sconsiderati che la maggior parte delle rivalse si portano dietro. La camera di Ford è elegante e fluida, si muove tra gallerie d’arte, appartamenti glaciali, vestiti perfetti di seta dai colori sgargianti e con la stessa forza cattura la follia e la violenza notturna nella trasposizione cinematografica del romanzo di Tony.    

Nocturnal Animals è un film che fa veramente paura, permeato da un’inquietudine ai limiti del sopportabile, e un senso di ineluttabilità difficile da scrollarsi di dosso.
Gli attori sono tutti bravissimi, ma non è certo una sorpresa, trattandosi di Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Armie Hammer e Aaron Taylor-Johnson (il migliore in assoluto, nel ruolo di un cattivo ferocissimo).
In questo freddo Gennaio parigino, Nocturnal Animals è stato il primo brivido caldo cinematografico dell’anno.
Speriamo che le mie alte aspettative avranno pane per i loro denti nel 2017!


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