Last April in New York, at a friend’s place, I met the young Italian film-maker Laura Bispuri.
Laura was in town presenting her first feature film, Vergine Giurata, at the Tribeca Film Festival (where the movie won the Nora Ephron Award). I couldn’t see it at that time because I was working but Laura promised me to let me know when the film would have been presented in France.
She kept her promise and a couple of weeks ago she invited me to the avant-première of Vierge Sous Serment, which is out today in Paris cinemas.
UGC Les Halles - Laura Bispuri and team from Vergine Giurata
Based upon the novel of Albanian writer Elvira Dones, the movie relates the story of Hana, an Albanian orphan girl who is adopted by a family already having a daughter of her age, Lila. Living in some remote mountains in the North of the country and wanting to escape to a life of housewife&motherhood in such a harsh environment, Hana decides to embrace the rules of the Kanun law: in the absence of sons, the daughter of a family can auto-proclame herself a man, renouncing to all female aspects of her life, including sex. This is how Hana becomes Mark. After many years of this life and after the death of her adopted father, Mark moves to Italy, where Lila lives together with her husband and daughter. The confrontation with this new country and Lila’s family destabilizes Mark’s profound certainties. Step by step, he re-discovers his real identity and a new way of being.
Lila (Flonja Kodheli) and Hana/Mark (Alba Rohrwacher)
This week in the blog I was complaining about Louis Garrel’s lack of courage for his first movie as director.
Well, this is a problem that Laura doesn’t have AT ALL: for her breakthrough on the big screen, she has opted for a very tough story, full of potential tricky issues that many famous film-makers would have been afraid to approach. I can’t say I know Laura well, but what it is clear, speaking to her even for few minutes, it’s how much she loves this story, how much she cares about it, how much she’s ready to do to defend her vision and her ideas. And this is so refreshing! And this is what I personally love in cinema and in people making a certain kind of cinema.
Laura Bispuri
Gender is a very popular subject nowadays but it has been rarely treated with such a delicate and intimate approach as in this movie. The reasons why Hana becomes Mark are complicated and anchored to her difficult past, and her going back to her femininity is something so fragile and surprising, for her as well as for the audience, that it needed a form of austerity. This is why Bispuri’s mise-en-scène is particularly appropriate to tell this story. Her distance has nothing to do with coldness; her silent look has nothing to do with indifference. Her deep respect for the subject guides her in the most accomplished way, allowing her to avoid any form of sentimentalism or easy identification.
Hana/Mark (Alba Rohrwacher) and Bernhard (Lars Eidinger)
This amazing result is achieved, of course, also through the astonishing performance of Italian actress Alba Rohrwacher (for the role she has even learned the Albanese spoken only in those northern mountains!). She doesn’t show off at any time: she is simply inhabited by both man and woman, in the most measured and compelling way. And a special mention goes also to Flonja Kodheli as Lila and Lars Eidinger as Bernhard.
So, dear Parisian friends, if you want to see a very original and challenging first movie, made by a very talented Italian film-maker, get out, see the film and spread the word: let’s help good cinema to become popular. It's about time!
Ieri sera, in un cinema del Marais che mi sta molto simpatico, il Nouveau Latina, c’è stata l’anteprima francese (la vera uscita parigina è prevista solo il 4 Maggio) della Solitudine dei Numeri Primi, il film tratto dal best-seller di Paolo Giordano. Ci sono andata senza particolari aspettative, non avendo mai percepito dai giornali, dalle riviste specializzate o anche solo dal giudizio degli amici italiani (ma forse vivendo qui mi è completamente sfuggito), una parola buona rispetto a quest’opera.
La trasposizione in immagini di un romanzo come quello di Giordano, in teoria, era pericolosissima: il didascalico, lo stile "film per la TV", gli attori al di sopra delle righe, la regia qualsiasi, erano tutti lì in agguato pronti a mangiarsi il film intero. E infatti temevo, ma mi sbagliavo, perché mi sono trovata davanti un gioiello raro.
La storia è nota. Esseri umani danneggiati e solitari a causa di eventi traumatici che ne hanno segnato l'infanzia (e pure il resto della vita), Mattia e Alice si incontrano quando sono adolescenti e si riconoscono subito: lei zoppica ed è anoressica, lui si autoinfligge ferite su tutto il corpo. Entrambi barcollanti sotto il peso dei rispettivi dolori, segreti, solitudini, famiglie complicate e difficoltà di contatto con il mondo esterno e con i loro coetanei, i due ragazzi cercano l'uno nell'altra, senza mai veramente riuscirci, una via di fuga, una possibile felicità.
Un regista senza palle e senza stile, secondo me, avrebbe fatto così: spiattellamento iniziale dei traumi, in modo che lo spettatore si identifichi tempo zero e pensi "Poverini, con un dramma così alle spalle, per forza sono diventati dei disadattati sociali" e poi via, leggiadro, di sfiga in sfiga, fino all'annientamento finale. Invece Saverio Costanzo sa, eccome se lo sa, quello che vuole, e trasforma questo racconto in una fiaba gotica ed onirica, in un racconto dell'orrore Shining Style, stravolgendo la temporalità e costrigendo lo spettatore a entrare nel film per osmosi, come una malattia che si insinua sotto la pelle. Questo accade sin dalle bellissime scene iniziali, quelle di una innocua recita scolastica che diventa un incubo sonoro (la musica, non a caso, è rubata ad un film di Dario Argento) e visivo (i volti dei bambini, truccati per la rappresentazione, appaiono mostruosi). Ma altrettanto potente è il momento in cui Mattia e Alice si incrociano per la prima volta in un corridoio della scuola: quell'attimo sospeso, il ralenti, lo scatto impercettibile delle testa, il gesto quotidiano in grado di cambiare il percorso di una vita. E ancora, straordinaria, quell'immagine fantastica, irreale, di Mattia e Alice seduti in macchina, mentre fuori piove, poi smette, e ci sono solo le luci della notte, e loro stanno andando ma sono fermi, sospesi, in questo microcosmo dove c'è posto solo per loro due e per il terribile segreto che uno di loro sta per raccontare, ma non ancora.
Questo percorso, questa storia, sarebbero però ben poca cosa senza la bravura degli attori che un direttore casting baciato dal genio ha saputo selezionare: Alba Rohrwacher sta dimostrando, di film in film, di essere la più brava attrice Italiana della sua generazione. Qui, in un numero degno dell'Actor's Studio, si è ridotta pelle e ossa per dare corpo ad un dolore senza voce (di così magro, al cinema, io ricordo solo Michael Fassbender in Hunger di Steve McQueen e Christian Bale in The Machinist di Brad Anderson). Luca Marinelli, al primo (si spera di una lunga serie) film, ha uno sguardo spiritato e la giusta presenza scenica, quella che permette di parlare pochissimo e dire tanto. E una menzione speciale ai giovanissimi attori che hanno interpretato Mattia e Alice da bambini e da adolescenti. Di solito i film italiani sono specializzati nella creazione di piccoli attori-mostri che recitano in maniera del tutto innaturale, qui invece la loro intepretazione ha del miracoloso. Isabella Rossellini è perfetta nella parte della mamma di Mattia (impossibile non pensare all'altro suo bellissimo ruolo di madre in Two Lovers di James Gray) e Filippo Timi, grazie ad una sola scena, riconferma intatto, se mai ce ne fosse bisogno, tutto il suo talento.
Il film, in concorso all'ultimo Festival di Venezia, non ha ricevuto nessun premio. Dalla giuria che ha assegnato il Leone d'Oro al film più inutile, pretenzioso e noioso della storia del cinema (Somewhere della Coppola), non mi aspettavo niente di meglio. Peccato, perché qui non c'è uno che fa giri a vuoto con la sua Ferrari, qui c'è gente che soffre veramente, e per di più con stile.