Come sempre, mi sembra di saper leggere e capire meglio il mondo attraverso il cinema.
Non voglio insegnare niente a nessuno, non voglio pretendere di sapere cose che non so, ma i film a volte illuminano la realtà meglio di trattati sociologici, saggi politici e analisi meticolose.
Alla notizia della morte di Fidel Castro, l'altro ieri, io a una sola persona, ho pensato.
A Nestor Almendros.
Non vi dirà forse niente, questo nome, ma Almendros è stato uno dei più importanti direttori della fotografia della storia del cinema.
Era nato a Barcellona nel 1930, ma fugge dalla Spagna Franchista che sta perseguitando tutta la sua famiglia e nel 1948 si rifugia all'Havana, dove già da qualche anno vive il padre.
Entrambi credono in quegli ideali di uguaglianza e democrazia che sembrano regnare nell'isola, e continuano a crederci anche quando arriva la rivoluzione cubana di Fidel nel 1959. Almendros, che ha studiato cinema a New York e a Roma, gira addirittura dei brevi documentari pro-Castro, oltre ad alcuni cortometraggi. Ma le cose iniziano subito a non funzionare. Due dei suoi corti non vengono apprezzati da Fidel e dal suo entourage, e per Almendros le cose si mettono male, al punto che nel 1962 fugge a Parigi, dove vivrà diversi anni e inizierà la sua strabiliante carriere di direttore della fotografia per registi come Eric Rohmer e François Truffaut (se volete avere un'idea di cosa è capace di fare quest'uomo con la luce, riguardatevi Ma Nuit chez Maude di Rohmer e La Cambre Verte di Truffaut):
Nel 1978 Almendros si trasferisce a vivere negli Stati Uniti, e a Hollywood la sua carriera subirà un'ulteriore accelerazione: nel 1979 vince un premio Oscar per la fotografia di Days of Heaven di Terrence Malick, e riceve altre nominations per film come Kramer vs. Kramer (1979) di Robert Benton e Sophie's choice (1982) di Alan J. Pakula.
Nel 1984 decide di tornare dietro la macchina da presa, ed è così che nascono i due film di cui vi allego i link qui sotto, perché vorrei che li guardaste e vorrei che decideste da soli cosa pensare. Si tratta di due documentari, il primo è Conducta Impropria (la Mauvaise Conduite del mio titolo), sulla persecuzione contro i gay da parte del regime cubano, e il secondo, del 1987, è Nadie Escuchaba (Nobody Listened), sulla sistematica violazione dei diritti umani perpetrata dal regime cubano che nessuno sembra aver visto né sentito.
Io non vi dico altro, guardate i film e poi pensateci su. Mi dispiace, la qualità dell'immagine è quella che è, ma in questo caso non importa. Sono le parole, che contano.
Almendros è morto di AIDS nel 1992.
Se fosse ancora vivo, una cosa è certa: sulla sua pagina Facebook, oggi, non avrebbe mai sostituito la sua profile pic con un'immagine di Fidel.
Dopo aver visto i suoi film, forse, non lo farete neanche voi. Almeno lo spero.
Hasta il cinema, siempre! (la victoria, tenetevela pure voi).
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domenica 27 novembre 2016
domenica 7 dicembre 2014
In the Mood for Klute
La richiesta mi aveva molto intrigata, e per un po', nella mia testa, ho continuato a pensare e ripensare a diverse decine di titoli che potessero riempire questa ipotetica classifica.
L'amore, nei film, come in musica, è il tema sovrano.
In tutta la storia del cinema, ci sono sicuramente più film d'amore che di guerra, horror, thriller, o di qualsiasi altro genere. Sembra sempre che senza amore, che cosa vuoi che sia tutto il resto.
Alla fine, scoraggiata dal gran numero di film che mi venivano in mente, ho abbandonato per strada quella che mi sembrava una missione impossibile.
L'unica certezza che avevo, stilando questa classifica immaginaria, era il film che sarebbe stato, sempre e comunque, al primo posto in assoluto: In the Mood for Love di Wong Kar-Wai.
Bizzarra, direte voi, l'idea che il film al posto più alto sia la storia di un amore mai consumato.
Che è, ovviamente, la ragione per cui si tratta di un film - e di un amore - perfetto.
L'amore che non deve confrontarsi MAI con il quotidiano, con la ciabatta o l'alito puzzolente, la frase detta male, il gesto scorretto, l'usura dei comportamenti sempre uguali, la meschineria, il sotterfugio, la noia, la frustrazione, insomma con l'imperfezione assoluta degli esseri umani.
Un amore solo immaginato, sognato, sognante, fatto di sguardi, di sfioramenti al ralenti sulle scale di un ristorantino di Hong Kong mentre fuori piove, con lui vestito che neanche Humphrey Bogart ai tempi migliori, e lei che a ogni scena sfoggia un nuovo qipao per il quale saremmo pronte a dare la vita, mentre Nat King Cole in sottofondo canta Quizas, Quizas, Quizas...
Solo che noi lo sappiamo.
Noi che abbiamo vissuto abbastanza per sapere che la vita reale e i film sono come quello sfiorarsi sotto la pioggia: due universi vicini ma paralleli, destinati a non incontrarsi mai.
Le delusioni e le disillusioni che ci riserva la vita reale, trovano posto al cinema solo per essere smentite sul finale: lo stronzo che si è comportato di merda, si pentirà amaramente e ritornerà sui suoi passi, vi citofonerà quando meno ve lo aspettate, avrà un mazzo di fiori, un diamante per sempre, una scusa ben rifinita che illuminerà di una luce nuova e di una spiegazione abbagliante e inequivocabile la cosa bruttissima che vi ha appena fatto.
Nella vita reale no.
Nessuno torna, nessuno dà spiegazioni (e quando le danno era meglio che se ne stavano zitti), e non solo non si pentono dei loro errori, ma nemmeno sono sfiorati dal dubbio della loro cafonaggine, della loro pochezza di spirito, della loro mancanza di fantasia.
La vita reale, si sa, è quello che è, ed è il motivo per cui, tre volte a settimane, una si rifugia in una sala oscura nella speranza di ritrovare la fiducia nel genere umano.
Pensando a questa classifica, un altro titolo che mi tornava sempre in mente, era quello di un film del 1971 di Alan Pakula, Klute, con Jane Fonda e Donald Sutherland.
Credo francamente che nessuno, a parte me, lo consideri un grande film d'amore, eppure c'è qualcosa, nella storia tra l'ispettore Klute e la prostituta Bree, che per me vale più di molti altri film romantici.
Una delle tante cose belle del cinema, è che ci sono scene che ci colpiscono in maniera particolare e del tutto irrazionale. Un dialogo, una luce, l'inquadratura di una strada per noi fondamentali, passeranno del tutto inosservati agli occhi di un'altra persona, di un altro spettatore.
Così, immagino di essere l'unica al mondo per cui, se di tutta la storia del cinema dovessi citare la più bella scena d'amore di tutti i tempi, io citerei una scena di Klute in cui Jane Fonda e Donald Sutherland comprano della frutta al mercato.
Sì, avete capito bene: non sto parlando di un bacio appassionato, di un tramonto di fuoco, di una dichiarazione perfetta, di uno struggersi senza fine per l'essere amato.
Sto parlando di due persone al mercato, senza dialogo, con una musica qualsiasi di sottofondo, due che non stanno facendo niente di importante, niente che cambierà i destini dell'universo, ma che si guardano, complici, con quel misto di incredulità ed eccitazione che viene dal fatto di essersi appena incontrati, di aver fatto per la prima volta l'amore, di essersi detti delle cose tenere e buffe, di essersi trovati.
E' questa cosa qui che vorrei nella vita reale. Almeno una volta.
Ma è chiedere troppo?
Quizas, quizás, quizás...
giovedì 22 maggio 2014
There is a light that never goes out
A certain light can shape an entire world. There are movies that can almost be silent: the atmosphere created by the photography is speaking for them. A crispy black and white, a lavish colour, a mysterious dark, a dazzling light, and the magic of cinema immediately operate on screen.
I personally can’t imagine Ingmar Bergman without Sven Nykvist, Wong Kar-Wai without Christopher Doyle, Aki Käurismaki without Timo Salminen, the Coen Brothers without Roger Deakins, the Nouvelle Vague without Raoul Coutard.
Few days ago, one of those magicians, the American Gordon Willis, sadly passed away.
His name will always be linked to the film-maker he has collaborated most during his career: Woody Allen. The Brooklyn Bridge in the distance, a man and a woman seated on a bench, the night falling on the city…. Does this ring a bell? Well, the man behind one of the most famous cinema scene, it’s him.
And this is Zazie’s tribute to Gordon Willis in 5 movies:
KLUTE by Alan Pakula (1971)
One day I’m going to write a post about this movie, which I adore.
New York in the 70’s, when the city was dirty and dangerous: a young Jane Fonda as a sensitive prostitute, a young Donald Sutherland as a shy detective. One of the best couples ever seen on screen, and the scruffy light of Willis on top of it. Unmissable.
ANNIE HALL by Woody Allen (1977)
I am absolutely sure that there is not a single woman in this world who didn’t dream of being like Diane Keaton in this movie: the way she dresses, the way she speaks, the way she drives. Simply to die for. Exactly as the cinematography of this masterpiece.
INTERIORS by Woody Allen (1978)
First “serious” movie for Allen and the most bergmanian one of all. Willis pays homage to Nykvist's work filming both the interiors and the exteriors as if the movie was set in Sweden instead of Long Island. The result is outstanding.
ZELIG by Woody Allen (1983)
Woody Allen slides into other peoples bodies while Willis finds a way to slide into different time and frame. One of the craziest, amazing ideas of modern cinema. A real joy to look at.
BROADWAY DANNY ROSE by Woody Allen (1984)
There is something about the sadness of this movie that can't be explained.
Maybe it is the story, maybe it is Willis magnificent black and white, but you constantly feel something has been lost for ever. And you are suddenly overwhelmed by the nostalgia for this kind of world, this kind of people.
This kind of pictures too.
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