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domenica 21 settembre 2014

Mai più senza

In questi giorni i muri di Facebook sono invasi da lunghe liste di film, libri, album e serie Tv preferite. Anche a Zazie tanti amici hanno chiesto di compilare queste fatidiche top 10. 
Io però, finora, non ho risposto a nessuno invito (e mi scuso qui pubblicamente). 
La verità è che mai nella vita riuscirei a stilare la classifica dei miei 10 film preferiti (10? solo??!), e pure con i libri e gli album avrei delle serie difficoltà. Dovrei compiere scelte e rinunce con tale spargimento di sangue e tali spasmi di dolore, che preferisco evitare in partenza.
Però mi sono detta che in fondo, per le serie TV, forse ce la potevo fare. Sarà che sono un fenomeno relativamente recente, mi sembrava di avere meno cose tra cui scegliere.
Sarebbe bello potervi dire che ho visto tutte le serie TV che "contano", ma non è così. E, addirittura, non sono mai riuscita a vederne due che vengono considerate dal mondo intero capolavori assoluti: The Wire e Breaking Bad. Ci ho provato, ma non sono riuscita "ad entrarci", come si dice. Che volete farci, le serie TV sono una questione molto personale, la gioia scatta o non scatta, si entra nel tunnel o non si entra. La bravura e la bellezza non c'entrano. Mi dico che un giorno ci riproverò, e allora forse scatterà la scintilla. 
Ma per il momento, cari lettori, this is it!

10 - QUEER AS FOLK British Version (1999-2000)
Nel momento di massimo splendore del politically correct, nel periodo in cui i personaggi gay cominciavano timidamente ad apparire in film e telefilm ma, per carità, soprattutto che siano tanto carini e sensibili, ecco comparire sulla scena lui: Stuart Alan Jones. 
Bello, gay, strafottente, e soprattutto stronzo. Evviva.
9 - LES REVENANTS (2012 - )
Ebbene sì, i francesi non solo hanno inventato la baguette, lo champagne e la Nouvelle Vague, ma sono bravissimi anche a fare serie TV!
L'idea dei morti che tornano tra i vivi non da zombie ma da persone normali, uguali a quando erano scomparsi, è tanto semplice quanto potente. Tutto funziona, in questa serie: l'atmosfera, gli attori, le storie. Aspetto la seconda stagione con trepidazione ed impazienza. 
Che cosa succederà al nostro piccolo Victor?
8 - DOWNTON ABBEY (2010 - )
Lo so, dopo un paio di stagioni da urlo, tanti dicono che Downton Abbey sia diventata, col tempo, una soap opera di livello non proprio eccelso. Se ne può discutere, sono pure pronta a dare ragione ai detrattori su alcune cose, ma la verità è che poche cose al mondo mi hanno dato piacere come guardare questa moderna versione di Upstairs, Downstairs
God Save the Queen, ma soprattutto Maggie Smith!
7 - DEXTER (2006 - 2013)
E' vero, il finale è insulso, orribile ed imperdonabile, ma che ci volete fare?
Io a Dexter sono affezionata in maniera viscerale. Perché per le serie TV vale un po' quello che vale nella vita: a volte è ai personaggi più bizzarri che ci sentiamo più vicini.  
Per me la quinta stagione, quella di Lumen, ha significato molto: anche i serial killers, in fondo, hanno un'anima.
6 - THE OFFICE British version (2001 - 2003)
Non mi sono mai sentita tanto a disagio e non ho mai riso tanto come guardando The Office. Ricky Gervais ha il dono di mostrare il peggio dell'essere umano in maniera assolutamente irresistibile. Una pietra miliare della TV inglese. Imperdibile.
5 - TOP OF THE LAKE (2013)
Non c'è niente di più impressionante, per me, di qualcuno che riesce, attraverso le immagini, ad appiccicarti addosso una sensazione, un malessere, un disagio, una paura. Jane Campion ha saputo creare un universo, in Top of the Lake, che io non dimenticherò mai. Senza contare che le donne, come le fa vedere lei, non le fa vedere nessuno. Così vive, problematiche, paurose, potenti, assolute. In una parola: indimenticabili.
4 - LIFE ON MARS British version (2006 - 2007)
L'ho già scritto una volta, in questo blog: Life on Mars mi ha salvato la vita. E non è una frase ad effetto, credetemi. Mi sono buttata su questa serie TV come ci si butta su una scatola di psicofarmaci. E ha funzionato. La storia di un poliziotto di Manchester che fa un incidente e si ritrova nel 1973. Tutto qui. Semplice e geniale. La serie Tv giusta al momento giusto. Di medicine non ce n'è stato bisogno, love.
3 - IN TREATMENT (2008 - 2011)
Chi l'avrebbe mai detto: mezz'ora in cui l'unica cosa che si vede è uno psicologo e un paziente che si parlano, e una delle esperienze più coinvolgenti della mia vita. Non credo di essermi mai ripresa dall'annuncio che non ci sarebbe stata una quarta stagione. Perché quando il terapista è Gabriel Byrne, vi assicuro, poi diventa difficile farne a meno.
E non credo ci sia bisogno di scomodare Freud per spiegarvene la ragione.
2 - SIX FEET UNDER (2001 - 2005)
La madre di tutte le serie TV, per quanto mi riguarda. 
Mai avrei creduto possibile sviluppare un tale affetto per una famiglia di becchini di Los Angeles. Eppure. I Fisher hanno saputo parlare in maniera nuova, moderna e profonda a tantissime persone. Noi li abbiamo seguiti, li abbiamo capiti, li abbiamo amati. 
Se esiste un vero "Mai più senza", nella mia vita, è dedicato a loro.
1 - MAD MEN (2007 - )
Che volete che vi dica? C'è un prima e c'è un dopo. 
La serie TV di riferimento. La perfezione quasi assoluta. 
La magica ricostruzione di un mondo che diventa più concreto e moderno di quello vero, tracce di vita che diventano lo specchio della storia che cambia, dell'innocenza perduta, e la creazione di un personaggio, quello di Don Draper, che resta un mistero dall'inizio alla fine. Una serie TV che fa male, ma con una tale eleganza, un tale stile! 
La primavera 2015 ci regalerà l'ultima stagione: The End of an Era (potete scommetterci!).
Un Old Fashioned non avrà MAI più lo stesso sapore. 
Finché siamo ancora in tempo, meglio ordinarne due.

domenica 23 ottobre 2011

The Hour

Sono una di quelle persone per cui la vita senza serie TV non avrebbe più senso.
Ed è così dalla più tenera infanzia. Sono cresciuta a pane e sceneggiati BBC. Quando ero piccola, la RAI era talmente illuminata da avere il coraggio di trasmettere praticamente tutto quello che si produceva in Gran Bretagna. Negli anni della gioventù, ho assunto dosi massicce di Upstairs, Downstairs, The Duchess of Duke Street, The Avangers, The New Avengers, The Survivors, George and Mildred, Doctor Who, Sapphire and Steel, How green was my valley, All creatures great and small e chi più ne ha più ne metta, oltre ad ogni trasposizione televisiva possibile ed immaginabile dei romanzi di Jane Austen, delle Sorelle Bronte e di altri classici inglesi (con Brideshead Revisited a svettare lassù, nell'alto dei cieli).
In questi ultimi anni, gli americani sembrano non solo aver imparato la lezione dei maestri, ma averli di gran lunga superati. Tutto quello prodotto da HBO è praticamente un capolavoro assoluto, senza contare le innumerevoli perle rare sparse sugli altri canali d'oltre oceano. Tuttavia, gli inglesi sanno ancora il fatto loro, e non perdono nessun colpo: The Office di Ricky Gervais è talmente avanti che fa quasi paura, la comicità politicamente scorrettissima di Little Britain è da urlo, l'irriverenza di Queer as Folk ha fatto scuola, l'idea geniale che sta alla base di Life on Mars crea dipendenza. Non è forse un caso che tutte queste serie TV siano state rubate e rifatte dagli americani (non so con quali risultati, a dire il vero, perché non ho mai avuto voglia di guardarle). L'anno scorso, gli inglesi ci hanno regalato una perla rarissima: Downton Abbey, uno sceneggiato che segue in parallelo le vicende di una famiglia artistocratica dei primi del novecento e quelle della loro servitù. Impossibile trovarci un difetto: la sceneggiatura (di Julian Fellowes, già autore di Gosford Park) è bellissima, i dialoghi intelligenti e divertenti, gli attori di una bravura eccelsa (Maggie Smith ha appena vinto un Emmy Award per il suo ritratto della matriarca stronza ed irresistibile). Insomma, ve ne consiglio vivissimanente la visione (in questo momento in Inghilterra sta andando in onda la seconda stagione).
Da un po' di tempo a questa parte, invece, sentivo parlare di un altro prodotto della TV britannica, che mi incuriosiva molto perché veniva definito come la risposta inglese a Mad Men. Così, quando sono passata da Londra, ho comprato a scatola chiusa il cofanetto di The Hour, sei episodi che raccontano il dietro le quinte di una trasmissione della BBC negli anni 50. Scritto da Abi Morgan (sceneggiatrice di Brick Lane, The Iron Lady e Shame), The Hour si concentra su tre personaggi: la giovane produttrice Bel Rowley (l'ottima Romola Garai), il suo miglior amico e angry young journalist Freddy Lyon (l'eccezionale, come sempre, Ben Whishaw), e il presentatore bello e ambizioso Hector Madden (il bravo Dominic West, che molti ricorderanno in The Wire). E' il 1956, siamo in piena guerra fredda, c'è la crisi del Canale di Suez, e i tre si trovano rispettivamente a produrre, scrivere e presentare una nuova trasmissione di approfondimento della BBC, chiamata appunto The Hour. Ben presto, tuttavia, i tre si troveranno anche coinvolti in una storia di spionaggio e morti ammazzati che non avevano previsto.
Il primo episodio, dico la verità, non mi aveva entusiasmato: mi sembrava un po' lento, non particolarmente avvincente, dai contorni persino un po' sbiaditi, ma mi sono detta che comunque valeva la pena di continuare a guardarlo. Ed ho fatto bene. Non so dirvi esattamente a che punto, ma The Hour mi ha conquistato in maniera subdola e inaspettata. Ad un certo punto, tra il secondo e il terzo episodio, ho capito che l'unica cosa della quale mi importava durante la giornata, era quella di tornare a casa e vedere come andava avanti la storia. Ho provato ad analizzare le ragioni di questo improvviso amore ma, come per tutte le cose irrazionali di questo mondo, mi sono resa conto che sono difficili da spiegare. Voglio dire, al di là delle evidenti qualità del prodotto: ben scritto, ben girato, con attori fantastici, insomma con gli ingredienti classici di un'ottima serie TV. 
Quel qualcosa di speciale, forse, risiede nella quintessenza del being british, nell'understatement puro e duro. In The Hour le cose non sono mai urlate, mai spettacolari, mai particolarmente glamorous, mai sopra le righe, ma sono a volte solo accennate, a volte spiegate in maniera chiara e sobria, a volte semplicemente lasciate all'intelligenza dello spettatore. Anche l'ambientazione anni 50 ha una qualità completamente diversa rispetto a quella di Mad Men: qui è tutto più povero, più invernale, con una patina di quotidiano, di guerra fredda, di kitchen-sink drama, di tazze di té, di pioggia che scende abbondante ed implacabile. 
Oddio... avrei voluto che non finisse mai. 
Come ha scritto di recente il New York Times nella sua recensione: peccato solo che quest'ora non duri qualche minuto di più... 
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