martedì 28 maggio 2013

Nebraska

Mi si può accusare di tutto, ma non di essere una blogger dai gusti poco eclettici.
Non più tardi dell'altro giorno ho fatto l'apologia di un film ultra-violento e dall'estetismo estremo, e adesso sto per tessere le lodi di qualcosa che si colloca - letteralmente - a milioni di anni luce di distanza da quel tipo di cinema e di estetica.
Grazie alla rassegna "Cannes à Paris", che si è svolta al Gaumont Opéra Capucines il 23-24-25 Maggio, ho potuto vedere un po' di film della rassegna appena terminata, godendo della varietà di scelte e stili. Tra questi, non mi sono lasciata sfuggire l'ultima opera del regista Americano Alexander Payne, Nebraska.
E ho fatto davvero bene.
Sono anni che amo il cinema di Payne, e per la precisione dal 2002, quando mi sono imbattuta in quel piccolo capolavoro che era About Schmidt, con Jack Nicholson. Uno dei film più divertenti, malinconici e teneri degli ultimi anni. 
E credo che questa sia proprio la cifra stilistica di Payne, confermata dalle sue opere successive: Sideways (2004) e The Descendants (2011). Spesso premiato, e non a caso, per le sue sceneggiature, nei film di Payne a farla da padrone sono proprio le storie, i personaggi, le loro parole, e i loro silenzi. Tutte cose che lui filma con grande maestria e con grande amore e compassione. L'America che ci racconta Payne è l'America dei losers totali, dei reietti della società moderna: persone che non hanno più un lavoro, o che l'hanno appena perso o che non l'hanno avuto mai. Con una vita sentimentale monotona (se stabile) e complicata (se in via di costruzione). Gente che ha sognato il successo ma che se lo è visto passare davanti senza riconoscerlo, o che l'ha agguantato un secondo e ci ha ricamato sopra una vita di menzogne, e gente che i sogni di gloria li ha seppelliti da fin troppo tempo e vive nella rassegnazione più cupa.
Nei suoi film si ride tanto, a volte tantissimo, ci si imbarazza un po', si viene colti da una terribile tristezza, e poi si fa pace con se stessi. Perché dopo qualche minuto che si guarda un suo film si capisce che, inevitabilmente, Payne sta parlando di noi stessi. Che quelli dei quali abbiamo appena riso a crepapelle, presentano i nostri stessi sintomi di inadeguatezza di vivere, di mancanza di glamour, di paura nei confronti delle aspettative degli altri su di noi, di noi su di loro, e di terrore per un futuro che ci immaginiamo non solo incerto ma anche pieno di solitudine o, nel migliore dei casi, stracolmo di incomprensioni reciproche.
In altre parole, Payne è un po' il Mike Leigh de-noantri-americani. Leggermente più sfumato e moderno, meno provocatorio, meno corrosivo, ma la stoffa è quella lì: l'umanità, la pietà con la quale osserva e ci racconta i suoi personaggi, è quella cosa bella per cui alla fine ci sentiamo tutti un po' meno soli perché parte del suo mondo.
Woody Grant (Bruce Dern) e sua moglie Kate (June Squibb)
Nebraska, in questo senso, è cinema di Payne allo stato puro, forse ancora più asciutto, ancora più essenziale. Incredibile che la sceneggiatura del film non sia stata scritta da lui (il regista ha trovato un grande fratello di scrittura in Bob Nelson).
Girato in un meraviglioso bianco & nero (ma perché i film in bianco & nero sono sempre i più belli?), Nebraska (stato americano di cui Payne è originario, by the way), racconta la semplice storia di Woody Grant, un pensionato che vive in Montana ma che vuole andare in Nebraska a ritirare quella che, secondo lui, è una vincita milionaria. Sua moglie Kate e i suoi figli David e Ross sanno perfettamente che si tratta di una truffa bella e buona (uno di quegli annunci con scritto in grande Hai vinto un milione di Dollari!), ma Woody non si rassegna. Dopo essere "scappato" di casa tre volte, e di fronte alla sua ostinazione, il figlio minore David decide di accompagnarlo in questo assurdo viaggio per andare a ritirare la famosa somma di denaro. Lungo il tragitto, ne approfittano per passare a fare visita ai familiari di Woody, fratelli e sorelle ormai anziani, rimasti a vivere nel paese di origine. Ma il viaggio sarà soprattutto un modo, per i due uomini, di conoscersi meglio e riscoprire il loro legame.
Woody (Bruce Dern) e suo figlio David (Will Forte)
Bruce Dern, nella parte di Woody, ha appena vinto il premio a Cannes per la migliore interpretazione maschile, e devo dire che sono assolutamente d'accordo con la giuria del Festival. Silenzioso, scorbutico, testardo, mezzo alcolizzato, dall'ironia pungente, ma anche di gran cuore, come si capirà nel corso del film, il suo Woody è indimenticabile e davvero toccante. Mai sopra le righe, mai compiacente, e senza mai spingere sul tasto della facile commozione, la sua interpretazione giocata tutta sulla sottrazione e la ritenuta, è un piacere assoluto, una grandiosa prova d'attore. 
Il cast di Nebraska al completo al Festival di Cannes (Laura Dern non c'entra, ma è la figlia di Bruce)
Ma tutti i personaggi sono tratteggiati benissimo, come è tipico del cinema di Payne, con un occhio particolarmente acuto nel rappresentare i "giovani" americani: dei trentenni rincoglioniti sempre al traino di genitori ormai anziani, dei totali buoni a nulla che sanno solo stare davanti alla TV a guardare partite di baseball con una birra in mano e il vuoto cosmico fuori e dentro di loro (qui i due gemelli nipoti di Woody, ma in About Schmidt il mitico fratello dello sposo, irrecuperabile drop out). Tenerissime, vive, e irresistibili, invece, le due donne del film: la moglie Kate (ogni volta che apre bocca c'è da morire dal ridere), e la vecchia fiamma Peg.
Insomma Nebraska è uno di quei film (sempre più rari??!), dai quali si esce convinti che alla domanda: "C'è ancora speranza per il genere umano?" si risponderebbe con un convintissimo "Sì!"
Vallo a capire, a volte, l'effetto che ci fa il cinema...

ps La data di uscita del film (almeno sugli schermi francesi) è prevista per l'autunno, motivo per cui non esistono ancora né un poster né un trailer ufficiale. Accontentatevi di quello che ho trovato!

lunedì 27 maggio 2013

In the Mood for Vengeance

Sometimes, I get interested in a film-maker through an actor.
It has been the case for Nicolas Winding Refn, who I discovered thanks to my passion for Mads Mikkelsen. Besides the Pusher trilogy, the two made together a very strange film called Valhalla Rising
. On paper, Winding Refn doesn’t have much to please me. His cinema is famous for being extremely violent and I’m famous for being extremely irritated by violence on screen. But, as it is often the case in this life, sometimes we like things we are not supposed or we don’t expect to like. 
Nicolas Winding Refn and Mads Mikkelsen on the set of Valhalla Rising
I guess his cinema attracts me because it’s made of opposites: his movies are almost silent or too filled with words, the main characters are real heroes or complete losers and the most romantic scenes can be immediately followed by the most violent ones (Drive's elevator scene docet). Violence in Winding Refn movies is never cold, though. This is why I think it’s bearable. It is always driven by emotions, it’s coming from the evident flaws of human beings, and very often it’s perpetrated on awful kind of people to get justice (well, ok, I admit it: it’s a very primitive kind of justice). 
Also, I have to confess I really enjoy Winding Refn’s interviews: he is always very funny, interesting, confused, and completely crazy. Apparently, he is teetotal, colour blind and dyslexic. As a bonus, his father is the editor of Breaking the Waves by Lars Von Trier.  There are enough elements to become a fan, as far as I’m concerned. 
Nicolas Winding Refn
Winding Refn became a mainstream film-maker just a couple of years ago via the movie Drive, where Ryan Gosling found his consecration as an actor. Having particularly liked to work together, the two decided to team up for another movie, which has been selected for the competition at this year’s Cannes Film Festival: Only God Forgives. Since Drive became kind of an iconic movie, many were waiting for their new collaboration. I have the feeling, from what I wrote in many critics these days, that people have been disappointed by it, but I didn’t. 
Nicolas Winding Refn and Ryan Gosling on the set of Only God Forgives
In fact, the thing I liked about Only God Forgives, is that it is the absolute anti-Drive
So, if you want to see Drive 2, well, forget about it. While the guy played by Gosling in Drive was a powerful one, in this one he’s powerless and sexually impotent (as it was the case for Mikkelsen in Pusher 2). Julian is supposed to run a drug dealing business (the movie is set in Bangkok) but he isn’t tough enough. He is subjugated by his eldest brother and, when this one is massacred for having raped and killed a 16 years old girl, Julian is not able to take care of his vengeance, as his (lovely!) mother asks him to. And last, but not least, he also has an enormous Oedipus complex: the guy is a complete disaster, I assure you. 
The only thing the driver and Julian has in common, is that they are not very talkative kind of guys. I read that Gosling and Winding Refn are dreaming of making a silent movie together, one day, and I hope that day will be soon.
Ryan Gosling as Julian
And while in Drive the music was a super important element of the movie, with a bunch of songs that stayed in the collective imagination, in Only God Forgives the music is obscure, obsessive, and the only hits are the pathetic, melodic Thai songs performed in karaoke restaurants by the real hero of the story: Chang. This man is a retired policeman, a wizard of the sword, a silent guru and a merciless avenger, whose presence (real and unreal) will haunt Julian for the whole movie. 
Vithaya Pansringarm as Chang
The other star of the movie is my favourite character: Crystal, probably the most awful mother on screen ever, played in an exceptional way by a very intelligent actress, Kristin Scott-Thomas. Usually hired to embody sophisticated, ultra-bourgeois, complex women, Winding Refn had the brilliant idea to transform her in a monstrous creature, a modern Medea dressed in Versace (the resemblance with Donatella Versace is actually pretty scary), a real bitch, able to waste his son’s life in the space of a couple of sentences (the dinner scene is absolutely to die for). 
Kristin Scott-Thomas as Crystal
The movie builds up very slowly, obliging the audience to hold back the rhythm, to quit defences, and be ready to enter into the story and into this dark, gloomy, ultra-violent world. You can take it or you can leave it, but if you are patient enough, you'll be rewarded by many unforgettable scenes (oh, the Thai child in the weelchair!).
Filmed in a spectacular way, Winding Refn confirmed his talent for an astonishing mise-en-scène, somewhere between Scorsese and Lynch with a twist (in this Far-East location) of Wong Kar-Wai. 
But if the Hong-Kong film-maker was in the mood for love, it is clear that the Danish one is more in the mood for vengeance. 
Si salvi chi può!

mercoledì 22 maggio 2013

Seduti al buio

Lo so, sono ripetitiva.
Lo so, vi parlo sempre di cinema, di film, di sale buie.
Ma che cosa ci posso fare, se è questa la cosa che mi piace di più al mondo? Sedermi insieme a dei perfetti sconosciuti nei cinema di Parigi e guardare scorrere le immagini su uno schermo. Lasciarmi trasportare in un mondo che sembra essere separato da me solo da una pellicola sottile, una realtà leggermente parallela, squisitamente fluttuante al di sopra della mia testa, dei miei pensieri.
Prendete ieri: una giornata di Maggio che sembrava Novembre. Pioggia a secchiate, freddo e umido che ti entrano nelle ossa, tristezza incombente. Esiste un antidoto più efficace del cinema? No. Certo che no. A parte, ça va sans dire, un pomeriggio sotto le coperte con Michael Fassbender... sì, ma quello, chi ce l'ha??! 
Ma la cosa incredibile di questa città, la cosa per cui non mi stancherò mai di abitare qui, la cosa che citerei tra i cinque motivi per cui vale la pena vivere di Alleniana memoria, è che al di là dell'ampia scelta di film nuovi, la gente qua affolla le sale per vedere film di 50-40-30-20-10 anni fa.
Io ad esempio ieri pomeriggio sono andata alla Filmothèque du Quartier Latin a rivedermi Taxi Driver di Martin Scorsese in versione restaurata (il film è del 1976). Allo spettacolo delle 15h40. Va bene, la sala era piccola, ma era stracolma, e la gente prima del film faceva la fila paziente sotto la pioggia. Perché siamo tutti qui? Mi sono chiesta, mentre li guardavo con grande tenerezza, come se fossero miei fratelli di sangue. Forse perché sapevamo di stare per vedere un film straordinario, perché ci eravamo dimenticati di quanto fosse bella e ossessiva la musica di Bernard Herrmann, di quanto fosse perfetta la sceneggiatura di Paul Schrader, di quanto fosse sporca New York, di quanto fosse giovane De Niro, di quanto fosse bravo Scorsese in quel cameo in cui fa il pazzo geloso, di quanto fosse già incredibile Jodie Foster a 14 anni, di quanto la regia fosse talmente straordinaria e fluida e portentosa da lasciarci tutti ancora una volta a bocca aperta, manco fosse la prima volta che lo stavamo vedendo, Taxi Driver.
Robert De Niro (Travis Bickle)
Robert De Niro e Martin Scorsese sul set del film
Travis e il suo taxi
Qualche settimana fa, invece, sono andata al cinema alle 11 di una domenica mattina.
Anche lì, ho pensato: saremo dentro in due.
Ero al Cinéma des Cinéastes, e davano un film che volevo vedere da tempo, e di cui avevo molto sentito parlare: Extérieur, Nuit di Jacques Bral (1980). Anche in quel caso, contro ogni previsione, contro ogni attesa, sala quasi piena. E spettatori attenti, perché alla fine della proiezione c'era il regista che parlava del film e la gente gli faceva domande come se stessimo discutendo dell'ultimo block-buster con Johnny Depp. No, dico, sono soddisfazioni enormi!
Gérard Lanvin, André Dussollier e Christine Boisson in Extérieur, Nuit
Poi a volte succedono cose molto buffe, nei cinema di Parigi.
Ad esempio non tanto tempo fa ero con un amico e siamo arrivati quasi (e sottolineo quasi) in ritardo per la proiezione di un film al Nouveau Odéon. Io ero desolata, anche perché dovevo pure passare in bagno (che le bloggers nel loro piccolo, si sa, fanno pipì!). Ho quindi guardato con aria molto preoccupata il tipo che faceva i biglietti: 
- Scusi, il film è già iniziato? 
No, non ancora, tra un attimo
- Sì, ma io devo anche andare in bagno. Faccio in tempo?
- Tranquilla, sono io il proiezionista. Ti aspetto. 
Il bigliettaio proiezionista, che cosa adorabile! Così sono andata in bagno e poi uscendo ho guardato verso la cabina, gli ho fatto segno che poteva partire, e lui mi ha fatto un sorriso, e un secondo dopo iniziava il film. Poi dicono la magia del cinema...
Un'altra volta mi è capitato, in una bellissima giornata di sole di Giugno, una giornata in cui sembrava assurda (tranne a dei malati di cinema) l'idea di chiudersi in una sala buia, di andare a vedere la copia restaurata di Professione Reporter di Michelangelo Antonioni (1975).
Sono entrata convinta, ma proprio convinta, che saremmo stati in tre.
Ma anche in quel caso, come sempre, la sala era piena, e non era nemmeno troppo piccola. Quel giorno, vi assicuro, mi sono proprio commossa. Mi sono seduta e avevo le lacrime agli occhi. E non ho visto niente dei primi cinque minuti del film (non è grave perché l'avevo già visto almeno altre due volte). Mi sono detta che a Parigi non mi sarei mai sentita sola, che Parigi sarebbe stata per sempre, anche a migliaia di chilometri di distanza, la mia città.
Jack Nicholson in Professione Reporter
C'è un signore americano, un tale Paul Rogers, che ha scritto un libro bellissimo, si intitola Name that Movie (Nomina quel Film), sottotitolo: 100 Rebus Illustrati per Cinefili: 
In pratica, questo disegnatore si è messo a rivedere un sacco di vecchi film, e per ciascuno di loro ha fatto sei vignette, senza mettere la faccia degli attori o altri segni particolarmente riconoscibili, e il lettore deve indovinare il titolo del film. Ce ne sono alcuni facilissimi...
e altri difficilissimi, ma è una pura gioia. Io ogni tanto mi metto lì e cerco di indovinare, ci passo proprio le ore. Ma la cosa che amo di più di quel libro è la dedica. Così semplice, eppure così perfetta: 
For those wonderful people out there in the dark 
(a tutta quella gente meravigliosa seduta lì al buio).
Come dire... touchée!

mercoledì 15 maggio 2013

The proper clothes

I don’t know about you, dear readers, but I personally consider the way people are dressed in movies (and in real life) very important.
It is not by coincidence that my biggest passion in life, besides cinema, is vintage fashion.
In particular, I adore dresses from the ‘50s and '60s.

From the ‘70s on, just forget about them. 
This is why I’m having so much trouble at the moment looking at the Season 6 of Mad Men
Set in 1968, things are getting worse and worse: where are those fabulous dresses that Peggy, Betty and Joan used to wear in 1954? 
And I always have in mind that amazing dialogue between James Stewart and Grace Kelly from one of my favourite movie of all time, Rear Window by Alfred Hitchcock:
Jeff: 
Those high heels would be a lot of use in the jungle, and those nylons and six-ounce lingerie..
Lisa: Three-ounce... 
Jeff: Well, they'd be very stylish in Finland, just before you froze to death. Begin to get the idea? 
Lisa: If there's one thing I know, it's how to wear the proper clothes. 
Well, to avoid thinking about the ugliness of modern fashion, I thought to share with you my TOP 5 of the Best Dressed Women in the whole cinema history: 

N. 5
JEAN SEBERG in A BOUT DE SOUFFLE by Jean-Luc Godard (1959)
 
The white t-shirt of the New York Herald Tribune on the Champs-Elysées, the striped dress and top, the short haircut. The modern style is born. And the rest is history!
N. 4
MAGGIE CHEUNG in IN THE MOOD FOR LOVE by Wong Kar-Wai (2000)
Her body is the most fascinating silhouette of the cinema history. Wrapped in these magnificent chinese style dresses, it is almost too beautiful to look at. The word classy
 has been invented for her!
 N. 3
KIM NOVAK in VERTIGO by Alfred Hitchcock (1958)
Double role for Kim Novak but just one genius behind her absolutely fabulous collection of clothes: Miss Edith Head. I have vertigo looking at them!  

 N. 2
GRACE KELLY in REAR WINDOW by Alfred Hitchcock (1954)
The woman who knew "how to dress the proper clothes", it is showing exactly what she meant in this movie. The dresses are (again!) by Edith 
Head. Simply irresistible!
N. 1
AUDREY HEPBURN in SABRINA by Billy Wilder (1954)
She is THE Best Dressed Women of the human history, not only of cinema, and I could have named ANY of her movies, but the dresses of Sabrina (by appointment to his majestyHubert de Givenchy) are just to die for. Elegance, is an attitude!

If you want to know more about the vintage dresses I like (and many other things), you can always have a look at Zazie's PINTEREST page!

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...