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venerdì 16 dicembre 2011

Le Havre

Mi basta un semplice dettaglio.
Una sola frase, un solo volto, una sola inquadratura, e vi saprò riconoscere con assoluta certezza un film a caso del regista Finlandese Aki Kaurismäki
Kaurismäki io lo amo in maniera totale, non solo per quello che gira e come lo gira, ma anche per le interviste che rilascia, per il festival di cinema che organizza ogni anno a metà Giugno in Lapponia, per la sua cinefilia spinta e senza confini, per il suo essere volutamente vintage e completamente al di fuori della società contemporanea (dei suoi credo, dei suoi ritmi e delle sue inutili cazzate). Lui è uno di quei meravigliosi registi che nel corso di una carriera hanno creato un vero e proprio universo parallelo, una famiglia cinematografica circoscritta e fedele, un'oasi di pace e felicità a cui potersi rivolgere in caso di bisogno. 
Che i suoi film siano ambientati a Helskinki, Londra, Parigi o Le Havre, poco importa. Tutte le città sono uguali, tutte le case sono identiche, in Kaurismäki Land. Il sole splende appena. Di solito fuori è buio, piove e fa freddo. Tutti sono poveri, con rarissime eccezioni (e se sono ricchi, allora sono cattivi). Nessuno corre. La gente cammina lenta, e parla (quando lo fa) altrettanto lentamente. Nessuno ha il cellulare. I telefoni hanno ancora le tastiere a disco. I mobili, i vasi, gli orologi, i vestiti, sono anni '50. Le macchine, delle vecchie trabant di origine russa con porta-termos incorporato. I taxi hanno le tendine di pizzo sul vetro in fondo. Si fuma e si beve molto, questo sì. Ci sono sempre bar con un vecchio bancone di zinco, un jukebox, e delle facce da galera (che poi si rivelano buonissime) appoggiate al suddetto. La musica è puro rock & roll. I musicisti hanno capelli lunghi con bananone sulla fronte, scarpe a punta, look che neanche Elvis nei giorni peggiori. E se non è rock, allora è un tango finlandese o un improbabile pezzo melodico giapponese. Sempre ascoltati attraverso una vecchia radio o uno stereo, s'intende. Gli amici sono veri amici che non si tradiranno mai, pronti a qualsiasi cosa gli uni per gli altri. Gli amori sono totali, iniziano con un semplice sguardo e durano tutta la vita. Il sesso non esiste, non è contemplato. I baci sono rari e castissimi. Anche di violenza ce n'è poca. Ogni tanto la gente viene picchiata, ma sembra un po' una scena da ridolini. I personaggi hanno una dignità, una gentilezza, un'ironia, da lasciare incantati. Non piangono mai, e se provano un dolore insensato, si limitano a guardare nel vuoto con aria perduta. Gli attori, è ovvio, sono sempre gli stessi: come la mitica Kati Outinen, attrice eccezionale e protagonista assoluta della filmografia kaurismakiana. E quando gli attori non ci sono più (come nel caso del suo alter ego, il compianto e mai dimenticato Matti Pellonpää), allora lui li fa vedere da bambini in una foto, e li trasforma nei figli perduti della coppia protagonista di un film, oppure fa appendere il loro dagherrotipo a una parete del Moskova Baari (un bar di Helsinki proprietà dei fratelli Kaurismäki, dove leggenda narra che accanto al bancone stia appeso un cartello: Facciamo credito solo a Lenin, gli altri devono pagare in contanti).
Da buon fanatico della Nouvelle Vague, il regista è stato anche capace di ridare vita ad una leggenda come quella di Jean-Pierre Léaud, al quale Kaurismäki ha affidato, dopo 15 anni di inattività e silenzio seguiti alla morte di Truffaut, il ruolo da protagonista in Ho affittato un killer (1990). Nei suoi film si ritrovano spesso, del resto, artisti francesi che lui ha amato, come Serge Reggiani e, proprio in Le Havre, il regista Pierre Etaix. Altra presenza fondamentale e costante: Laika, la sua cagnetta. In questo mondo sopra le righe, anche i titoli delle sue opere sono spesso molto buffi: Total Balalaika Show, Calamari Union, I Leningrad Cowboys incontrano Mosé, Amleto si mette in affari, Tieni il tuo foulard, Tatjana. Non sono adorabili? 

Le Havre è la continuazione a colori, 20 anni dopo, di Vita da Bohème, un film in bianco e nero che Kaurismäki aveva girato a Parigi. Il tempo è passato ma i protagonisi sono rimasti esattamente gli stessi, e vivono poveri ma dignitosi in un quartieraccio della città portuale. Quando Marcel Marx (omaggio a chi, questo nome? Groucho? Karl? Entrambi?), che si guadagna da vivere come lustrascarpe (!!?) incontra per caso un piccolo clandestino africano, non ha un attimo di esitazione ad accoglierlo in casa, nutrirlo e cercare di aiutarlo a realizzare il suo sogno, quello di raggiungere la madre che vive in Inghilterra. Nonostante una moglie, Arletty (a proposito di omaggi...), all'ospedale e in fin di vita, e un poliziotto esistenzialista che gli sta alle calcagna, Marcel si farà in quattro per trovare i soldi che riusciranno a regalare a Idrissa un passaggio su un'imbarcazione che fa Le Havre-Londra.  Grazie al denaro raccolto con un concerto benefico di Litte Bob (ma dov'è andato a recuperarlo Aki questo Roberto Piazza, improbabilissimo Little Tony ante litteram??!), il sogno può diventare realtà, ma non sarà l'unica sorpresa in serbo per i protagonisti del film.
Con il consueto stile: essenziale, ironico ed efficace, inquadrature semplicissime ma di una bellezza sconcertante (ah, quel genio di Timo Salminen, il direttore della fotografia di TUTTI i suoi film!), e dialoghi inverosimili, Kaurismäki sforna l'ennesimo capolavoro di grazia e lucidità. Su un tema, quello dell'immigrazione, da molti considerato troppo spinoso e difficile da affrontare. Ma Aki non ha paura di niente, ci mette dello humour finlandese (André Wilms che si spaccia per il fratello albino del padre di Idrissa), un tocco alla Frank Capra, un omaggio truffautiano (Léaud, again) e un messaggio chiaro su come risolvere il problema. Che sta tutto in una parola sola: solidarietà.
L'ho sempre pensato, io: se la gente fosse come nei film di Kaurismäki, questo mondo sarebbe il migliore dei mondi possibili.

domenica 20 giugno 2010

Army of Shadows






Sometimes it is a tough job, to be a cinéphile.
For the 70th anniversary of the famous "Appel du 18 Juin 1940" made by Charles De Gaulle at the BBC radio, last Friday the Centre Pompidou organized an event en plein air: the vision of the movie L'Armée des Ombres (Army of Shadows/L'Armata degli eroi) by Jean-Pierre Melville. The idea was great: to put a gigantic screen on the main façade of the building and let the people gather on the plateau Beabourg, finding a seat wherever they want. What the nice guys from the museum didn't think about, was the Parisian weather. I know, tomorrow it is Summertime, but on Friday in Paris there were 15 C°, plus a cold wind was blowing and, hey, a stone pavement is not exactly the most comfortable cinema seat ever tested.
I told a lot of friends about this amazing event, I even posted a link on my FB page to invite people to come, but in the end there were just a couple of friends who actually came (thanks Gradiva! Thanks Jordi!).
To be a real cinéphile, is not for everybody. I have to say that, in this case, the border between cinema freakness and complete craziness was very subtle. Not only we had to fight against adverse atmospheric conditions, but we had to deal with real crazy people and various drunks who took advantage of the big screen to share their thoughts and ideas with us. No thanks, maybe another time. A couple of pathetic "street artists" started a performance in the middle of the movie... what kind of mental illness they had? We were watching a Melville movie, no way our eyes could be caught by other scenes.
I had seen this film before, many years ago, and watching it again was an incredible experience. I am no surprised to read that this is considered a masterpiece of cinema history. And THE movie about French Resistance during the Second World War and the Nazi occupation of France.
Based upon the novel of Joseph Kessel, the movie follows the adventures/misadventures of a group of French resistance fighters: their tough day by day life, ruled by the fear of being captured and tortured by the Nazis. Fear that very often becomes a cruel reality: and sometimes they are able to escape, sometimes they die in prison in terrible circumstances.
This movie is so rigourous, dense, moderne. Every scene is right and necessary. Melville (who was a resistance fighter in his youth) took off all the useless things, getting to the core of the narration, so that the audience feel the fear of these men, suffer with them and want to fight with them. It is easy to do such a great job, I have to say, when you can count on such an outstanding cast: Lino Ventura, Paul Meurisse, Jean-Pierre Cassel, Serge Reggiani and Simone Signoret. Ventura's performance, in particular, should be studied in every cinema class. He is simply perfect: so dignified and human. There is this magnificent scene: he is in London during a mission and he enters by chance into a jazz club. The way he is looking at the boys and girls dancing and having fun, unaware of the bombs falling on to the city, the way he stands uneasily at the entrance, knowing he will never belong to a place like that or people like that.
It is unforgettable.

I don't know how I managed to arrive at the end of the screening without starting a freezing process, but I did. I was so taken by the images, that I actually forgot about the cold, the crazy men, the drunks. I was looking at the people seated all around the plateau Beaubourg, in the dark, and I thought that we were an army of shadows too.
We didn't have to fight in a war, it is true, but I hope that, up in the heaven of great film-makers, Melville was looking at us, feeling proud.

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