martedì 27 marzo 2012

Talking to Francis

Francis Ford Coppola at the Gaumont Parnasse, Paris, March 15 - Photo by Zazie
I will start with a confession: I'm not a huge fan of Francis Ford Coppola.
I’m not one of those people whose life has been changed by the vision of Apocalypse Now and I don’t consider The Godfather Trilogy the best movie of cinema history, but I think Francis Ford Coppola is a very interesting film-maker and I have loved many (if not all) of his movies.
This is the reason why, when my friends from Pathé invited me to see the avant-première of his last movie, Twixt, followed by a conversation with Coppola himself, I was more than happy to accept.
Arriving at the Gaumont Parnasse there was a first surprise: a pair of 3D glasses near every seat. Due to some strange circumstances, I never had the chance to see a movie in 3D (yes, I’m also one of those people who never saw Avatar), and so I was thrilled that Twixt was that kind of movie. Well, it turned out it wasn’t or, to be more precise, I found out that the movie had only two scenes filmed in 3D. Isn’t that weird? Somebody explained us that an image with a pair of glasses would pop out from the screen to let us know when we will need to put the glasses on.
It was already so much fun!
I don’t know if you have noticed it, but Coppola stopped making films circa 1997.
He was back only in 2007 with the movie Youth without Youth, then he filmed Tetro in 2009 and Twixt in 2011. Coppola conceived these movies as a trilogy and as a new way of making films. He said he was feeling like a student at his first steps in the cinema business. He wanted to experiment, to try new things, to make movies with less money he used to need. I didn’t see Youth without Youth, but judging from Tetro and this last one, it is true that he is experimenting a lot, both from the technical point of view that from the one of themes/genres/inspiration. Tetro, I have to say, was a very bizarre movie. Set in Argentina, filmed in black and white, had a final “à la Almodovar” (Carmen Maura included) that left almost speechless. It is clear, though, that Coppola likes this kind of oddity, because Twixt is another alien object. 
Hall Baltimore (an overweight Val Kilmer) is a mystery books writer which fortune is in decline. During a book tour, he arrives in a lonely, small town, and he gets caught up in a series of strange events involving the ghost of a young girl who’s been killed (Elle Fanning, passing from a movie by Sophia to a movie by her father) and the ghost of… Edgar Allan Poe! (the too rare on screen, in my opinion, Ben Chaplin). These events will lead Hall to the creation of a new and successful story, but he has to pass through some very tough moments (and to remember a terribly sad family event) to go back to life. I'm sure you're wondering which were the two famous scenes that needed the 3D glasses.. well, no, I'm not going to tell you, you'll find out by yourself when you see the movie.
I can't really say I liked Twixt, but I have enjoyed very much watching it.
Anyway, the most enjoyable thing of the evening was the time (more than 90 minutes!) spent with Coppola after the movie. I don’t know why I expected Mr. Coppola being a grumpy old man, while in reality he was a lovely, cheerful, and super interesting guy. I’ve rarely seen somebody so keen on talking to people about his passion for cinema. Coppola was genuinely happy to be there among many cinema students to share his ideas, experiences, and also many funny stories. Seriously, he was a real joy listening to him.
He answered every single question of the audience and when he realized that many fans were asking for an autograph on a DVD or a book, he said: Well, let’s do like this: you, ten or fifteen people, you come down and I sign your stuff while I keep talking, ok? Of course, more than 15 people went to see him, but he didn’t care: he patiently kept signing and talking at the same time. The scene was so funny that I couldn’t resist filming it:


To a young cinema student who was looking for good advice on his future profession, Coppola asked: How old are you? And the guy: 22. Oh boy – Coppola exclaimed – get married! And then he introduced his wife, seated among us, with whom he has been married for 49 years!
To another person who paid a lot of compliments to one of his movies, Coppola replied: Thank you! You know, it is always a pleasure when somebody told you he liked your movie. It is like when you cook a dinner for some friends… If at the end of it they tell you how much they have loved and enjoyed what you have cooked for them, it is such a joy. Don’t you agree?  
We certainly do, Mr. Coppola!

mercoledì 21 marzo 2012

Terraferma

Qualche sera fa, grazie à l’amie d’un ami (come nei film di Rohmer), ho potuto assistere all’anteprima parigina dell’ultimo film di Crialese, Terraferma, al Cinéma des Cinéastes.
La cosa interessante è che Crialese stesso (insieme agli attori principali Donatella Finocchiaro e Filippo Pucillo) era presente in sala, e alla fine del film ha risposto alle domande di Jean-Jacques Beineix (il regista, per intenderci, di Diva e 37°2 le Matin/Betty Blue) e del pubblico. 

Avevo molto amato i precedenti film di questo regista siciliano, Respiro e Nuovo Mondo (soprattutto quest’ultimo, per la verità), ed ero davvero curiosa di vedere Terraferma, perché avevo sentito pareri piuttosto discordanti sul film.
Terraferma affronta il non facile tema dell’immigrazione clandestina in Italia e in particolare dello sbarco di centinaia di africani in fuga dalla Libia e paesi limitrofi sull’isola di Lampedusa. Tema, purtroppo, che continua ad essere di grande attualità in Italia. Luogo prediletto dal regista (già Respiro era ambientato qui), l’isola e la sua bellezza selvaggia hanno un ruolo da protagonista, anche se al centro della storia c’è una famiglia: il nonno Ernesto, vecchio pescatore, suo nipote Filippo, sua nuora Giulietta (madre di Filippo e vedova di uno dei figli di Ernesto, morto in mare), e suo figlio Nino. Per arrivare a fine mese, la famiglia fa quello che può: Ernesto, aiutato da Filippo, esce in barca a pescare, Nino gestisce con la moglie un chiosco su una spiaggia e Giulietta affitta la casa ai turisti (andando a vivere con il figlio in un garage reso più o meno abitabile). Un giorno, mentre sono in mare, Ernesto e Filippo salvano alcuni africani scappati da un barcone. Tra di loro, c’è una donna incinta accompagnata da un altro figlio piccolo. La decisione, da parte di Ernesto, di nasconderla e di aiutarla, obbligherà tutta la famiglia ad affrontare, loro malgrado, il dramma dei profughi.
Con un tema come questo, scadere nel patetico, dire delle banalità, scivolare nella docu-fiction da isola dei non-famosi, è veramente un attimo. E infatti un po' temevo. Invece niente di tutto questo, anzi. Forse perché, nella sua storia, Crialese riesce a dare il giusto spazio e la giusta voce a tutti. Fa capire le ragioni e la filosofia di vita dei vecchi pescatori (parecchio buon senso, poche parole e tanti fatti), la spregiudicatezza che viene dal bisogno delle nuove generazioni (perfettamente incarnata da Nino), il desiderio di una vita migliore per lei e il figlio di Giulietta e la disperazione e il coraggio di una donna che affronta l’inaffrontabile per abbandonare una terra di povertà e desolazione e raggiungerne una che sembra (almeno sulla carta) un sogno. Ognuno ha pari dignità e pari umanità, in questo film, ognuno incarna una buona ragione per la quale lottare, disperarsi e compiere errori. La regia di Crialese è potentissima. Dà spazio ai volti, che sono così forti ed espressivi da non avere quasi bisogno di parole, dà spazio alla natura, al mare, ed è capace di mischiare le carte in tavola in maniera impressionante, come nella scena del barcone carico di turisti che ballano e bevono in un desiderio quasi ridicolo di divertimento ad ogni costo che al momento di buttarsi in acqua ricordano tanto da vicino i disperati che si buttano dai barconi per cercare di raggiungere la riva e la salvezza. 
Il cast si dimostra all’altezza della situazione. Donatella Finocchiaro è una donna del sud forte e sensuale, come la Loren nei suoi tempi migliori (le basta stare seduta su una sedia a fissare il sole con un abitino a fiori per dare dei punti alle modelle delle campagne pubblicitarie di Dolce&Gabbana), Filippo Pucillo (l’Antoine Doinel di Crialese, gli fa fare film da quando ha 9 anni) è talmente naturale e vero che con uno sguardo alla macchina da presa è capace di sconvolgere anche l'animo più insensibile, e la giovane attrice africana Timnit T. (che ha vissuto sulla sua pelle la storia che qui si racconta) è di rara e profonda dignità.
Il dibattito seguito al film è stato lungo e appassionante. Il regista, che ha sfoggiato a sorpresa un ottimo francese, ha parlato con piacere dell'esperienza di girare il film sull'isola di Lampedusa, dove la troupe ha passato diversi mesi, degli inizi difficili della sua carriera (è stato un emigrante "clandestino" a New York), dei temi che gli sono cari, del suo amore per la Francia, a cui deve praticamente il fatto di poter continuare a fare il regista (è stato grazie al successo di Respiro qui che sono arrivati i soldi per girare le altre sue pellicole) e infine della deprimente situazione del cinema italiano. 
Dopo il dibattito, nell'atrio del cinema avevano allestito un piccolo buffet italiano con tanto di Prosecco. E' stato lì che ho avuto modo di scambiare qualche parola con Donatella Finocchiaro, che da vicino, se possibile, è ancora più bella che sullo schermo, oltre ad essere una persona piacevolissima. Un'attrice bella, brava e simpatica. Si può forse chiedere di più?
Zazie e Donatella Finocchiaro - Photo by Jacques Koubi
Terraferma mi ha fatto pensare, anche se con uno stile completamente diverso, a Le Havre di Kaurismaki. Ho davvero apprezzato il fatto che questi due registi non abbiano avuto paura di affrontare di petto, ciascuno a suo modo, un soggetto dal quale la maggior parte dei loro colleghi sarebbe scappato a gambe levate. Il coraggio, alla fine, dovrebbe sempre essere premiato. 
Al cinema, come sulla terraferma. 

domenica 18 marzo 2012

Great Expectations

As you all know, I'm a huge fan of young québecois film director Xavier Dolan.
I have adored his first two movies, J'ai tué ma mère et Les Amours Imaginaires, and I have already dedicated many posts to him.
When, for his third movie, Dolan and the web site Touscoprod launched a subscription to raise money for its production, Zazie, and many other Dolan fans, answered the call and helped to finance the film. The plot was more than intriguing: Québec, during the 90s, Laurence, at his 30th birthday party, announces to his girlfriend and friends that he wants to become a woman. 
Well, how could you resist not to help Dolan on a story like that
The cast was also very promising: Melvil Poupaud as Laurence, Nathalie Baye as his mother, Suzanne Clément (the teacher of J'ai tué ma mère) as his girlfriend and Monia Chokry (the fabulous Marie of Les Amours Imaginaires) as one of his friends.
This week, there was a great surprise: the Dolan site published two different versions of the movie poster and it was possible to see the trailer of Laurence Anyways!
We all hope, of course, that the movie will participated to the next Cannes Film Festival competition, but in the meantime, looking at these images, I can already tell you that I'm feeling EXTREMELY proud of the first movie I have co-produced.
Bravo, Xavier!

lunedì 12 marzo 2012

Aimez-vous le cinéma?

Yesterday morning I mixed up the time of my yoga class.
I wasn't the only one, though. A couple of other  girls made my same mistake and we were outside the gym 45 minutes before the lesson. I live in front of the gym, so I suggested to have a coffee (an Italian one!) at my place while waiting for the right time, and they accepted. 
Even if we see each other every week, we don't know anything about our lives. 
So, when they entered into my apartment and simultaneously asked me: Do you love cinema? Are you working in cinema?, I was a bit surprised. Well, I don't work in cinema but cinema is my biggest passion, I asnwered. Why did you think that? They looked around and they made a gesture with their hands, pointing at some cinema posters I had in my living room.
Uhm... I see... I guess I need to face reality. 
When I was back from yoga, I decided to count all the cinema things I had on my walls. In a 38 square meters apartment, I actually managed to have 8 movie posters, 10 film pictures, one stage program, and a couple of doors covered with cinema stuff. 
Yes, I know, I am THAT obsessed.
I declare myself guilty, ladies and gentlemen of the jury, and this is the evidence:
Zazie dans le métro by Louis Malle (of course!!!)
Ingrid Bergman Smile in Indiscreet by Stanley Donen
Roman Holidays by William Wyler... a classic!
Audrey Hepburn in a Philippe Halsman picture
Michael Caine in The Ipcress File by Sidney J. Furie
In The Mood for Love by Wong Kar-Wai (much more than a simple movie to me!)
In The Mood for Love Collection Pictures 1
In The Mood for Love Collection Pictures 2
In The Mood for Love Collection Pictures 3
In The Mood for Love Collection Pictures 4
In The Mood for Love Collection Pictures 5
In The Mood for Love Collection Pictures 6
In The Mood for Love Collection Pictures 7
Jules et Jim by François Truffaut (Poster 1)
Jules et Jim by François Truffaut (Poster 2)
A bout de souffle by Jean-Luc Godard 
A bout de Souffle again! (poster of the pictures exhibition by R. Cauchetier)
La Notte by Michelangelo Antonioni (my favourite italian movie of all time)
Stage program of Embers by C. Hampton with Jeremy Irons (che ve lo dico a fare??!) 

And I leave you with a little (and adorable) Zazie's thing:

venerdì 9 marzo 2012

Sono nate due stelle!


Matthias Schoenaerts in Bullhead
Elizabeth Olsen in Martha Marcy May Marlene
Quando (poche settimane fa) ho attribuito gli Zazie D'Or, ero molto spiaciuta di non aver assegnato il premio alla Migliore Opera Prima. Ne avevo viste poche, nel 2011, e quelle poche non mi avevano entusiasmato. Nel 2012, apparentemente, non avrò problemi di questo tipo. Nel giro di pochi giorni, ho visti due film che sono altrettanti ottimi candidati. 
Si tratta del film belga Bullhead, di Michael R. Roskam, e di Martha Marcy May Marlene dell'americano Sean Durkin. Non solo questi giovani registi hanno dimostrato, alla loro prima prova nel lungometraggio, di avere padronanza del mezzo, idee di regia particolarmente fluide e al tempo stesso precise, una storia molto originale da raccontare, una solida sceneggiatura (forse un po' troppo "pesante" nel caso di Bullhead), ma hanno anche il merito di aver scoperto due attori bravissimi. Che viene davvero voglia di seguire da vicino.
 Matthias Schoenaerts è un attore belga (classe 1977) con già una discreta carriera alla spalle in patria, ed è il protagonista assoluto di Bullhead. Il film, cupissimo, ambientato in una zona rurale, piovosa e triste, ha per tema (giuro, non pensavo che esistesse niente del genere) il traffico di ormoni illegali per bestiame che, a quanto pare, infesta il Belgio fiammingo e francese. Jacky, il protagonista, è un ragazzo dal fisico possente ma dal carattere riservato e ai limiti dell'autismo. Gestisce con il fratello un allevamento di mucche e si trova coinvolto in un giro loschissimo (con tanto di giornalista morto ammazzato) di traffici illeciti e mafiosi dall'aria truce. Ma queste vicende non sono che il semplice contorno a quello che è il nocciolo del film, che è proprio Jacky, quest'uomo che sembra nascondere qualcosa di molto, molto inquietante. Perché, ad esempio, si inietta gli stessi ormoni riservati alle bestie? Perché non riesce a comunicare, ad avere rapporti normali con le persone? Il film svela a poco a poco le ragioni di questo disagio, ed è subito disperazione senza possibilità di riscatto. 
La performance di Matthias Schoenaerts è da urlo. L'attore ha messo su 27 kg di soli muscoli (Raging Bull di Scorsese vi dice qualcosa?), trasformando il suo corpo in una specie di uomo/toro impressionante da vedere e da capire. Il contrasto tra questo corpo possente e l'animo devastato e fragilissimo di Jacky, è una piccola magia. Con questo sguardo malato,  questi scoppi improvvisi di rabbia, questo dolore debordante, Schoenaerts dimostra di essere un attore di categoria superiore. Non stupisce, pertanto, che il regista francese Jacques Audiard lo abbia scelto come protagonista del suo prossimo film. Non so voi, ma io mi vedo già in fila fuori dal cinema!
Elizabeth Olsen è invece la giovane protagonista (classe 1989!) del notevolissimo Martha Marcy May Marlene. Con pochi film alle spalle e forse più famosa per essere la sorella minore delle insopportabili gemelle Mary-Kate e Ashley, con questa prova d'attrice ha lasciato tutti di stucco e ha ampliamente dimostrato di avere un gran talento (è pure bellissima, ce le ha proprio tutte!). 
Martha è una ventenne in fuga: ha appena lasciato una fattoria dove ha vissuto due anni in una setta di pericolosi fanatici new-age capitanati dall'inquietante Patrick. Si rifugia dall'unica famiglia che le resta: la sorella maggiore Lucy, che la accoglie in una grande casa sul lago dove sta trascorrendo le vacanze con il marito Ted. Lucy è felice di rivederla e pronta a qualsiasi cosa pur di ricostruire il loro rapporto dopo due anni di totale assenza, ma le cose non sono così semplici. Traumatizzata da quanto ha visto e vissuto nella fattoria, incapace di esprimere a voce le sue paure e i suoi drammi, Martha è una specie di enigma vivente. Apatica, incostante, strana, taciturna, il suo malessere si propaga in breve tempo alla coppia, che è invece alla ricerca (parecchio forzata, per altro) di una presunta vita perfetta: bel lavoro + bella casa + desiderio di mettere su famiglia. Prigioniera della sua stessa confusione, Martha si rende conto di dover affrontare il suo passato, per quanto doloroso esso sia.
Non era per niente facile essere credibili in questo ruolo tutto fatto di non detto, non espresso, non spiegato. La Olsen fa vivere lo stato di confusione perenne di Martha, in bilico tra l'accettabile presente e il difficile passato, attraverso semplici sguardi, gesti, oscillazioni. E' un personaggio non simpatico, anzi, è spesso al limite dell'insopportabile. In più scene si avrebbe voglia di andare lì e scuoterla, talmente la sua apatia è raggelante e indisponente. Del resto, è questa la forza del film, far capire quanto possa essere sottile il discrimine tra fascinazione e repulsione, tra identità e identificazione. La Olsen attraversa il film con questa specie di magnetismo costante, ed è sempre misurata, composta, perfetta.
Anche il resto del cast è ottimo, devo dire, con menzione speciale a John Hawkes (di cui già ho scritto in questo blog), nel ruolo del leader della setta. 
Hawkes è un bravissimo attore indie: tenerissimo e impacciato in Me, and you, and everyone we know, spietato in Winter's Bone e pericoloso ma carismatico in questa pellicola. Si merita da anni valangate di premi, secondo me.


Insomma, la vostra Zazie pensa che siano nate due stelle.
E si sa, tanto in cielo come al cinema, di stelle non ce n'è mai abbastanza...


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