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martedì 15 settembre 2020

Zazie dans le théâtre

Devo confessarlo: non ho mai particolarmente amato il teatro.
Troppo reale, per i miei gusti. Vuoi mettere lo schermo buio e il salto in un altro mondo, in un’altra vita, che il cinema ti può regalare?
Però, per assurdo, è stato il cinema che mi ha portato più spesso a teatro.
Nel senso che ci sono sempre andata per veder recitare i miei attori cinematografici preferiti. Perché quasi tutti, lo ammetto, è da lì, che arrivano.
Negli anni ho accumulato ricordi bellissimi che oggi, nell’era di questo stramaladetto virus, brillano ai miei occhi di una luce speciale: oh, stare seduta in un teatro accanto ad altri esseri umani, oh, poter applaudire, scoppiare a ridere o a piangere tutti insieme, oh, aspettare allo stage door il tuo attore preferito nella speranza che ti faccia un autografo o scatti una foto con te.
Insomma tutte quelle piccole cose meravigliose che oggi non si possono avere.
Il mio più grande cruccio è stato quello di non essere riuscita a vedere Daniel Day Lewis quando ancora recitava a teatro. L’ultima volta è stato per un Hamlet al National Theatre di Londra nel 1989: una sera, nella scena in cui appare ad Amleto il fantasma del padre, a Day Lewis è apparso il fantasma del suo, di padre (il poeta irlandese Cecil Day Lewis). Risultato: il nostro DDL ha piantato la rappresentazione a metà e non ha mai più messo piede su un palco. Oggi minaccia di non mettere mai più piede nemmeno su un set. Vedi a volte le crudeltà della vita.

Con gli altri miei attori preferiti sono stata più fortunata.
Nel 2000, ad esempio, sono stata a Broadway a vedere Gabriel Byrne recitare in una pièce di Eugene O’Neill, A moon for the misbegotten, ed è stata una cosa indimenticabile. Con lui recitava un’attrice straordinaria, Cherry Jones, oggi piuttosto famosa grazie al piccolo schermo (è la mamma di Elisabeth Moss in The Handmaid’s Tale, per dirne una). Ho fatto stage door e sono riuscita a parlare con Byrne, un signore gentilissimo (e bellissimo!) che mi ha pure fatto l’autografo (i tempi del selfie erano ancora di là da venire).

Ma è stata Londra la città che mi ha dato le più grandi soddisfazioni.
Un paio di volte sono stata a vedere Ralph Fiennes, a teatro. La prima in una pièce di Henrik Ibsen (Brand) durante la quale ho seriamente temuto di morire di inedia e di noia (Ibsen è peggio di Bergman in quanto a pessimismo cosmico e calvinismo spinto) e la seconda in The Tempest di Shakespeare, e quella volta è andata decisamente meglio.

In ogni caso, l’attore che ho visto più spesso a teatro, ma tu pensa che strano, è Jeremy Irons. L’ho visto recitare in un evento storico, il suo ritorno sulle scene dopo 18 anni di assenza, in Embers di Christopher Hampton (tratto dal romanzo di Sandor Marai), al Duke of York Theatre. Era l’ormai lontano 2006. All’epoca ancora non lo conoscevo di persona, ero stata ad una matinée e avevo aspettato per più di un’ora fuori dal teatro nella vana speranza di vederlo comparire. Niente. 

Mi sono rifatta con gli altri due spettacoli a cui ho assistito: uno è stato (nel 2010) l’incredibile The God’s Weep di Dennis Kelly all’Hampstead Theatre, sorta di moderno King Lear nella quale Irons per 3 ore mesmerizzava l’audience con una performance fisicamente e psicologicamente provante, e l’altro il classico A long day’s journey into night di O’Neill al Wyndham theatre, in pieno West End londinese, un paio d’anni fa. Anche in questo caso si trattava di una matinée, ma qui mi ero fatta furba, il giorno prima lo avevo avvertito che ci sarei andata e quando ho bussato alla stage door e un signore è venuto ad aprirmi, gli ho detto che Mr. Irons mi stava aspettando. Lui mi ha guardato dubbioso, anzi diciamo pure molto dubbioso, ma ha preso lo stesso il mio nome ed è andato ad informarsi. Quando è tornato, mi ha sorriso e mi ha fatto passare. Le confermo che la sta aspettando, mi ha detto.  Solo questo episodio avrebbe meritato un post, ammettetelo!

Il mio ultimo attore preferito in ordine di tempo, come certo saprete (ho l’inconfondibile vizio di far partecipi le persone delle mie ossessioni), è l’irlandese Andrew Scott. Anche nel suo caso ho un grande cruccio: ricordo ancora come fosse ieri di essere passata davanti all’Almeida Theatre nel 2017 ed essermi detta che dovevo assolutamente andare a vedere il suo Hamlet. Ero a Londra per lavoro e la pièce durava quasi 4 ore. Mi sono scoraggiata e ho lasciato perdere. Ancora oggi non me lo perdono.
Così, quando l’anno scorso, in pieno delirio Fleabag, l’Old Vic ha annunciato una nuova produzione di Present Laughter di Noël Coward con Andrew Scott nel ruolo di Garry Essendine, il protagonista, non me lo sono fatto ripetere due volte e ho comprato subito un biglietto. Nello spettacolo Scott era in grado di generare fragorose risate nel pubblico ad un ritmo forsennato, e baciava con la stessa giubilatoria passione uomini e donne indistintamente, lasciando noi povere fanciulle nella transitoria speranza che questa benedetta bisessualità potesse per osmosi traslare nella sua vita reale. Ahimé, invano.  

Alla fine della rappresentazione, mi sono messa pazientemente in fila, insieme ad un gruppo foltissimo di ragazze, davanti alla fatidica stage door. Metà delle fanciulle erano fans di Moriarty e metà dell’Hot Priest. Io di entrambi, ma più del secondo. L’età media era chiaramente 20 - 25 anni al massimo. Che cosa ci facessi lì io, senza cena, al freddo, con il doppio dei loro anni, in attesa di un attore dichiaratamente gay, è un mistero pari a quello non svelato di Fatima. E chi sono io per rivelarlo, direte voi. E infatti. Quando è arrivato il mio turno, Scott mi ha spiazzato parlando lui per primo: Wow, you look so stylish! (in effetti avevo un vestitino vintage giallo veramente niente male, ero strafelice del complimento ma anche atterrita dal fatto che quella fosse la prova incontrovertibile della sua gaytudine… quale etero al mondo avrebbe degnato quel vestito di uno sguardo?!). La sua frase è bastata a farmi perdere la testa, tutte le cose belle e intelligenti che avevo pensato di dirgli sono sparite dalla mia mente tipo lavagnetta magica e l’unica cosa che mi ricordo è che abbiamo fatto insieme questa foto qui (nella quale tutto sommato sembra che io sia ancora in possesso delle mie facoltà mentali, cosa della quale dubito fortemente): 

In questo 2020 annus horribilis per cinema e teatro, prima dell’estate è arrivata una notizia portentosa: The Old Vic proponeva una serie di spettacoli teatrali virtuali che si potevano tranquillamente seguire sullo schermo del proprio computer. Tra questi, un nuovo lavoro con protagonista assoluto Andrew Scott, in una pièce in 3 atti scritta apposta per lui dal drammaturgo inglese Stephen Beresford (sceneggiatore del film Pride nonché compagno di Scott in un recente passato… certa gente ha proprio tutte le fortune) dal titolo Three Kings. Lo spettacolo era previsto per l’inizio di agosto ma, pochi giorni prima della rappresentazione, il teatro ha inviato un messaggio per avvertire che sarebbe stato posticipato a data da destinarsi: Scott doveva fare una piccola operazione (ci rassicuravano sul fatto che si trattasse di una cosa non seria e che nulla avesse a che vedere con il Covid) e quindi bisognava dargli il tempo di riprendersi. Non vi dico la preoccupazione delle fans, lo so perché su FB sono iscritta a qualsiasi gruppo che abbia Scott nel nome, e c’era gente che diceva di non riuscire a dormire perché troppo in ansia per la salute del nostro idolo. Ammetto con un certo sollievo di non essere arrivata a tanto. Mi spiaceva molto per lui ma ho continuato a dormire sonni tranquilli (anche perché è rassicurante sapere che in giro c’è gente mooolto più pazza di te, che già pensavi di esserti piazzata bene in classifica).
Lo spettacolo, alla fine, è stato riconfermato agli inizi di Settembre. Per cui qualche giorno fa io e la mia amica Giulia, con la quale condivido questa insana passione per gli hot priests, eravamo davanti al mio computer di casa in trepidante attesa. 

Ad essere sincera, non sapevo bene che cosa aspettarmi da uno spettacolo virtuale e temevo un po’ sia la freddezza del mezzo che lo straniamento della situazione. E invece, niente di tutto questo.
Per prima cosa, dopo esserci collegate al sito del teatro via zoom, ci siamo rese conto che si sentiva un simpatico sottofondo: proprio come quando si è a teatro in attesa che inizi lo spettacolo, si sentiva il brusio delle gente che chiacchierava, un effetto molto rassicurante. Ad un certo punto, a circa 15 minuti dall’inizio della rappresentazione, si è sentito un campanello e poi la voce di una donna che invitava i signori e le signore a prendere posto perché lo spettacolo stava per cominciare. Insomma hanno cercato in tutti i modi di ricreare un vero teatro, e la sensazione era piacevolessima.
Quando Scott è comparso nella sala vuota, solo, leggermente al buio, la magia ha operato immediatamente. Storia di un padre poco amorevole, inaffidabile, incapace di essere presente nella vita dei figli, pieno di donne e concentrato solo su se stesso, Three Kings è raccontato da uno dei suoi figli, Patrick, in tre scene successive, e in tre momenti diversi della sua vita. Nello spazio di un'ora, Scott interpreta un bambino di 8 anni, un adolescente, un adulto sconsolato, un padre, due figli, varie donne, e passa dalla serietà al cinismo al riso al pianto con una bravura che lascia letteralmente senza fiato. Far piangere attraverso lo schermo di un computer non è da tutti, ma lui ci riesce senza nessun problema, e possiamo testimoniarlo in due. 
Insomma ci sono giorni in cui arrivo a pensare che in fondo vedere una pièce non sia così male! Però, certo, se mi chiedete qual è stata la più grande emozione che ho provato a teatro, vi devo sinceramente rispondere che non è stata proprio dentro una sala ma piuttosto appena fuori. Quella volta in cui all'Hampstead Theatre io e Jeremy Irons (ve l'avevo detto che ero stata ampiamente ripagata da quella prima vana attesa!) ci siamo seduti a parlare su una panchina che avevamo letteralmente rubato nella hall e piazzato fuori dalla porta, perché lui potesse fumare. Il teatro dietro di noi era ormai al buio e si sentivano solo le nostre voci e io non riuscivo a credere che fossimo lì a chiacchierare del più o del meno come se nulla fosse. Ogni tanto uno degli altri attori partiva e noi lo salutavamo da lontano, con le voci che scomparivano nel bellissimo silenzio del parco lì davanti. E per quanto mi sforzassi di ricordare che fossimo a teatro, la verità è che a me sembrava proprio di stare in un film.

 

mercoledì 18 gennaio 2017

Great Expectations

Il mio più grande problema nella vita, così come al cinema, è quello delle aspettative.
Sono una ragazza che sogna in grande, che non si accontenta, con una fantasia molto, molto sviluppata, dalle uscite a dir poco roboanti.
Hai voglia a sentirmi dire che no, non si dovrebbero avere aspettative, che è sbagliato, che non bisogna aspettarsi niente così poi quello che arriva è tutto bello.
Ma come si fa? Perché bisogna vivere e sognare al ribasso, dico io?
Certo, a furia di batoste, dalla vita comincio ad aspettarmi sempre meno (in effetti è molto più saggio, ne convengo), dal cinema però no: caparbiamente, assurdamente, continuo a richiedere un grado di meraviglia che stia alla pari con le mie più great expectations.
Metti ad esempio questo film che riuniva i miei due attori più amati al mondo, che sono notoriamente Jeremy Irons e Michael Fassbender. Quando ho sentito per la prima volta che questi due sarebbero stati insieme sullo schermo la lancetta dell'aspettativa è schizzata a dei livelli che chi la ferma più. Mi mancava il respiro solo all'idea.
Poi mi sono chiesta: ma che film sarà mai? Quando ho capito che era tratto da un videogioco, già mi sono cadute le braccia, quando ho saputo che il regista era Justin Kurzel (lo stesso di Macbeth), l'entusiasmo non si è esattamente impossessato di me, però mi sono detta, vabbè dai, vedrai, sarà comunque bellissimo. Qui in Francia usciva lo stesso giorno in cui partivo per le vacanze natalizie in Italia. Pianti e stridor di denti. E' andata a finire che è stato il primo film che ho visto nel 2017. 
Ecco, diciamo, non proprio un inizio con il botto.  
Assassin's Creed è uno dei film più brutti e inutili che abbia mai visto, e ne ho visti tanti, credetemi, uno di quei film per cui ti chiedi: ma perché? perché l'hanno fatto? (a parte i soldi, intendo). E passi il tempo a pensare a quanto sarebbe stato interessante vedere quelle scene di Irons e Fassbender insieme in un film - non dico tanto - ma almeno decente.
Allora ho pensato di rifarmi andando a vedere Paterson di Jim Jarmusch, di cui tutti mi avevano detto un gran bene, sicura e felice del fatto che, trattandosi di un signor regista (a parte qualche stronzata qua e là) mi avrebbe regalato un bellissimo momento di cinema.

Solo che è andata a finire che non mi è piaciuto neppure questo film.
Avevo la netta impressione che Jarmusch volesse fare un film alla Kaurismäki, solo che se non sei Aki Kaurismäki quella cosa lì non ti riesce. Quel misto meraviglioso di poesia della quotidianità, di ironia sottile, di semplicità nel racconto, di ripetizioni impacciate, di personaggi strani e tenerissimi. 
Ecco, se non sei Kaurismäki succede che viene fuori una cosa lenta, ripetitiva e ai limiti dell'irritante (il personaggio di lei non si poteva proprio sopportare).
E capisco che tutti si aspettavano che mi piacesse ma no, non mi è piaciuto, ridatemi Kaurismäki (che è dal 2011 che non fa film e io sto per raggiungere il limite estremo di sopportazione di questa situazione).
Ho invece trovato davvero notevole, un po' a sorpresa (i giudizi che avevo sentito erano dei più disparati) il film di Tom Ford, Nocturnal Animals.

Di Ford avevo già apprezzato il primo film (anche se, essendo basato su uno dei miei romanzi preferiti di tutti i tempi, A Single Man di Christopher Isherwood, pure in quel caso non era stato facile essere all'altezza delle mie aspettative!).
Qualcuno trova irritante l'estetica estrema dei film di Ford.
Non io. Personalmente, trovo irritante quando dietro l'immagine perfetta c'è l'assoluto nulla, il vuoto cosmico, la mancanza di intenti. Se dietro scene di una formalità ricercata c'è una storia importante e ben scritta, quella formalità per me è benvenuta.
Basato sul romanzo Tony and Susan di Austin Wright, Nocturnal Animals racconta la storia di Susan, una ricca signora di Los Angeles con galleria d’arte e famiglia (fintamente) perfetta, che un giorno si vede recapitare un manoscritto destinato a sconvolgerle la vita. Si tratta di un romanzo, Nocturnal Animals appunto, scritto da Tony, il suo ex marito, qualcuno che lei non vede e non sente da quasi 20 anni. I due si erano lasciati malissimo, all’epoca: lui era un giovane romanziere di belle speranze, e lei voleva essere un’artista, ma il richiamo della vita agiata da borghese a cui era abituata avrà la meglio. Lascerà Tony, le sue velleità da pittrice, e si metterà con un bello senza anima ma pieno di soldi. Il romanzo che Tony le invia è potentissimo. Una storia nera ed inquietante dal finale terribile e straziante, che avrà un effetto dirompente sulla vita di Susan.

Film che hanno come tema principale la vendetta non sono certo rari, al cinema, eppure questo ha un sapore completamente nuovo. Di solito le vendette sono spettacolari, a volte un po’ assurde, quasi mai sottili e sistematiche. Qui invece si coglie perfettamente tutta la scia di dolore che Tony si porta dietro da innumerevoli anni. Una ferita aperta che si è imputridita, che gli ha tolto notti di sonno, e una bella fetta di vita. Costruire una vendetta attraverso un romanzo non è da tutti ma è anche un cosa che chiunque di noi potrebbe fare, volendo, a differenza di quei gesti sconsiderati che la maggior parte delle rivalse si portano dietro. La camera di Ford è elegante e fluida, si muove tra gallerie d’arte, appartamenti glaciali, vestiti perfetti di seta dai colori sgargianti e con la stessa forza cattura la follia e la violenza notturna nella trasposizione cinematografica del romanzo di Tony.    

Nocturnal Animals è un film che fa veramente paura, permeato da un’inquietudine ai limiti del sopportabile, e un senso di ineluttabilità difficile da scrollarsi di dosso.
Gli attori sono tutti bravissimi, ma non è certo una sorpresa, trattandosi di Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Armie Hammer e Aaron Taylor-Johnson (il migliore in assoluto, nel ruolo di un cattivo ferocissimo).
In questo freddo Gennaio parigino, Nocturnal Animals è stato il primo brivido caldo cinematografico dell’anno.
Speriamo che le mie alte aspettative avranno pane per i loro denti nel 2017!


lunedì 31 ottobre 2016

New York Stories

The last week of October I was in New York for my job.
It is always amazing to be in this city, which I really adore. 
One of the things I like most is that, very often, incredibile things happen. More easily than in other places. I have no idea why, but I just love it!
This time, I found out completely by chance that my favorite actor of all time, Jeremy Irons, was in town, and I was lucky enough to be invited (by one of the most adorable human beings I know, Sally Fischer, who is Jeremy's agent) to a special screening of the movie The Man who knew Infinity by Matthew Brown, followed by a Q&A with Irons himself at the IFC Center!
The movie relates a true story, the one of Srinivasa Ramanujan, a very poor Indian guy from Madras who happened to be a genius in mathematics. Discovered through a letter by the Cambridge professor G.H. Hardy, he is invited to join the prestigious Trinity College to show his work and theories. The moment is not the most favorable one, though: First World War is about to break, and indifference or, worse, prejudice towards foreigners in the UK is at his highest peek. Thanks to the help and support of Hardy, Ramanujan's work will be recognized and he will become a Fellow of the Royal Society. Having left a young wife in India and being affected by tuberculosis, Ramanujan will go back to his native country, where he died in 1920 only 33 years old. His contributions to mathematical analysis, number theory, infinite series and continued fractions are even at the base of black holes discovery.
I confess I didn't know anything about this man and I was fascinated by his story: the movie is well crafted and well made, even if it's not exactly my kind of cinema. I thought the Indian part was a bit too weak (the whole wife/mother story wasn't convincing) but by far the best thing of the film is the relationship between Ramanujan and his mentor, G. H. Hardy, brilliantly played (useless to say) by Jeremy Irons.
At the end of the screening, as promised, the actor was in the theatre for a Q&A moderated by an American film critic. Funny thing, Jeremy's dog, Smudge, was at his side all the time. He was very quite and actually slept from the beginning till the end, in a very sweet way, at Jeremy's side:
The Q&A was a lot of fun: Jeremy answered to all different kind of questions, from his method of approaching a role, to the challenges of this particular movie, till the fact that he has scared almost all the children of the planet playing Scar in The Lion King. To somebody who asked him if he enjoyed playing the bad guy in a Die Hard with a Vengeance, he replied: I loved it, they payed me so well! Irons perfectly knows how to entertain and amuse an audience. It is not by chance he is such an incredible actor. 
After the Q&A, Irons talked and took pictures with a lot of fans who came to see him. A warning: don't ask him to take selfies because he doesn't do that! Just ask for pictures, he will be very glad to take one with you.
I didn't ask for one this time (not that I didn't want to!) because the theatre switched off the lights and the next minute Jeremy and Sally were kind enough to get me out with them from a secondary door. When Sally told me they will get me back to my hotel with their car I just couldn't believe it. 
Now I know that my idea of paradise is to sit on the back of a car with Jeremy Irons at my side. I know because I had it.
And yes, dear readers, it was HEAVEN!!!

Another little, funny and incredible story that happened to me in New York, was about one of my favourite things in life, the TV Series MAD MEN (as all my readers know).
Last year in NY, always by chance, I bumped into an antique shop that sell beautiful collections of cocktails sets from the '50s and '60s, and I noticed they had whisky glasses very similar to the ones used by Don Draper. I didn't buy them at that time because I have fallen in love with some other kind of glasses, but I kept thinking about them and so I went back, hoping they would have been still around.
The owner of the shop is a lovely old man, very elegant, who could be easily chosen to play a role in any period drama, and so I started talk to him (he said he remembered me from my last visit, but I have no idea if he was telling the truth... how could he?). I told him I was coming back because of those glasses, that reminded me so much of the glasses used in Mad Men.
I wasn't prepared for his answer: "Oh, well, my dear, actually, it is not that they remind you of those glasses... the production of Mad Men bought them from me. They ARE the Mad Men whisky glasses".
I looked at him in disbelief.
"Well, in this case, I want four of them!"
And then I called the air company I was flying with: "Do you mind if I have two suitcases plus a hand luggage with me on my flight back to Paris?"
Because dreams, as you know, are very fragile, and it is safer to carry them with you.
Old Fashioned, anyone?

lunedì 19 settembre 2016

venerdì 8 aprile 2016

Girls just want to have fun

Questa settimana ho visto due film totalmente diversi tra loro (oserei dire agli antipodi) ma che hanno in comune di avere come protagoniste due figure di donne complesse e bellissime delle quali bisogna assolutamente parlare.
E’ anche un momento in cui ho voglia, come sempre più spesso mi accade, di parlare di film minori, distribuiti in poche copie, mentre là fuori nel mondo impazzano dibattiti di cui mi frega davvero poco, tipo la rappresentazione fedele (o meno) dei supereroi in Batman v Superman: Dawn of Justice. Che poi che ci sarà mai da dire su un film di una bruttezza rara e che andrebbe tagliato di circa 2 ore e 25 minuti, cioé di tutto il tempo in cui non compare Jeremy Irons nel ruolo di Alfred, il butler di Batman? Mah... Misteri...  

Parliamo piuttosto di queste donne!
Sunset Song di Terence Davies (UK)
Che bello pensare che al mondo ci sia un regista come Terence Davies. Lo adoro.
Ha iniziato a fare film alla fine degli anni ’70 (è nato a Liverpool nel ’45) e, nonostante tratti temi che definire poco allegri è un eufemismo (un critico una volta ha scritto che al suo confronto Bergman sembrava Jerry Lewis), nonostante abbia uno stile assolutamente particolare, nonostante a volte ci siano solo canzoni e pochissimi dialoghi nei suoi film, è miracolosamente riuscito a farsi spazio, con 12 opere, nel panorama del cinema britannico contemporaneo.
Devastato, per sua stessa ammissione, dalla religione cattolica, schiacciato dal senso di colpa per essere omosessuale, Davies è stato cresciuto in una famiglia dove il padre violento e ubriacone ha fatto di tutto per rovinare la vita alla moglie e ai figli, e si può dire che questo sia il tema di tutti i film del regista (in particolare di quel capolavoro assoluto che è Distant Voices, Still Lives). 

Nel suo cinema gli uomini sono sempre rappresentati al peggio. Quando non sono esseri brutali, restano comunque crudeli, egoisti e superficiali, mentre le donne risplendono di una luce speciale, di una forza ciclopica, esseri straordinari che non si lasciano abbattere dalla sorte avversa e che trovano il coraggio di continuare ad amare, nonostante tutto e tutti. 
E le donne sono anche le protagoniste assolute di ogni suo film (qualche volta se la giocano con i bambini). 
Terence Davies
Non stupisce dunque che Davies abbia voluto firmare la trasposizione cinematografica di Sunset Song, un classico della letteratura scozzese del primi del 900 (di Lewis Grassic Gibbon). Chris, una ragazza nata e cresciuta in una fattoria nella valle di Aberdeen, non è stata esattamente baciata dalla fortuna: il padre è ottuso e violento, picchia continuamente la moglie e la mette altrettanto continuamente incinta e quando ha finito con lei, frusta a sangue il figlio maggiore. La ragazza, sveglia e intelligente, vorrebbe fare l’insegnante, ma quando la madre si suicida portando con sé anche i due ultimi nati, questa possibilità sfuma. Il fratello più grande se ne va a vivere in Argentina, i due fratelli minori con una zia e lei resta sola ad occuparsi del padre e della fattoria. Alla morte del padre, per Chris sembra iniziare un momento più allegro. Incontra l’amore e ha un figlio, ma, ahimé, scoppia la prima guerra mondiale.
Chris (Agyness Deyn) e suo padre John (Peter Mullan)
Sunset Song è un fim all’apposto di quelli che vanno di moda adesso: lento, essenziale, con immagini statiche che sembrano dei quadri, la luce naturale che illumina i campi, gli interni poveri delle case, i volti distrutti dalla fatica e dal dolore. Anche la recitazione è inusuale. Gli attori sembrano essere in bilico tra un palco teatrale e uno schermo, immersi nell’avvolgente accento scozzese, pronti a riversare i loro trattenuti sentimenti in una canzone cantata in coro, con le lacrime agli occhi. L’aggettivo poetico è quanto di più adatto per definire questo film. La figura di Chris (interpretata in maniera un po' lunare ma estremamente efficace dalla ex-modella Agyness Deyn) spicca su tutti gli altri: perno sul quale questo piccolo mondo antico sembra girare. La sua forza, la sua pazienza, la sua determinazione, sembrano riuscire a salvarla dagli orrori che la vita le infligge. E, al suo confronto, padri, fratelli, mariti ed amici, semplicemente, scompaiono.

Per amor vostro di Giuseppe M. Gaudino (Italia)
Presentato l'altra sera in anteprima al cinema 5 Caumartin, alla presenza dell'attrice Valeria Golino (che per questo ruolo ha vinto il Premio Coppa Volpi all'ultimo Festival di Venezia) e della produttrice francese del film, Per Amor Vostro è un film italiano anomalo e speciale, originale ed intensissimo, che si spera avrà il successo che merita qui in Francia.
Valeria Golino al Cinema 5 Caumartin, Parigi - 5 Aprile 2016
Anna Ruotolo vive a Napoli con suo marito Ciro e i tre figli adolescenti: Cinzia, Santina e Arturo, un ragazzo sordomuto. I rapporti con il marito sono ai minimi termini: Anna vorrebbe che se ne andasse di casa, ma lui, possessivo e violento, non ha nessuna intenzione di lasciarli. Nello studio televisivo in cui la donna fa la “suggeritrice umana” (scrive i dialoghi per gli attori smemorati su dei grandi fogli), Anna incontra Michele, un attore bello e sciupafemmine che sembra essersi invaghito di lei. Nella sua vita sempre così dura (da bambina si è dovuta persino fare quattro anni di riformatorio per evitare la prigione al fratello maggiore), Anna ha voglia di abbandonarsi a questo amore che le sembra la cosa più bella che può avere. Ma la realtà reclama il conto: che cosa fa veramente suo marito di lavoro? E quest’uomo che la corteggia, è veramente innamorato di lei? Suo malgrado, Anna sarà costretta a trovare una risposta a queste domande. 
Anna (Valeria Golino)
Che meraviglia vedere un film italiano che ha finalmente il coraggio di essere “altro”, di discostarsi da qualsiasi canone, stile, e strada già percorsa. Girato un po’ in bianco e nero e un po’ a colori, infarcito (mi sembra l’aggettivo più adatto) di inserti onirici manga e super kitsch, Per Amor Vostro è un film dall’atmosfera originalissima nel quale è bello lasciarsi andare, cadere dentro, per godere di tutta la sua bellezza visiva e la sua forza narrativa. E’ un vero viaggio nel quale imbarcarsi, avendo come guida la figura sottile, sognante e luminosa di Anna. Impossibile non amarla, questa donna bambina, fragile e cazzuta, bellissima ed eterea. La Golino le regala un fascino degno di una regina: non c’è una singola espressione fuori posto, una sola piccola sbavatura.
Solo un’immensa luce colorata, in mezzo al buio più assoluto.


giovedì 25 febbraio 2016

Zazie d'Or 2015


Dear Readers,
Yes, I know, this is the moment of the year you are all waiting for.

And I am aware that you don't give a damn about Oscars, Golden Globes, Golden Lions, Golden Palms, Golden Bears, BAFTAs and Césars when you can have the most important and most fabulous award of all: the ZAZIE D’OR! 
And here they are, the lucky ones...

The LITTLE ZAZIE D’OR (Best First Feature Film Prizegoes to 
VINCENT N'A PAS D'ECAILLES by Thomas Salvador (France)

If you think super-heroes are coming just from the US, well, you need to change your mind because France has his super-heroe too, and he is the funniest and the sweetest one you can ever imagine: Vincent. This was the most cheerful film of the whole year. 
Zazie can't wait to see the next adventures in cinema of Monsieur Salvador!

The Zazie d'Or for BEST DOCUMENTARY goes to

AMY by  Asif Kapadia (UK)
One of the greatest voices of music history and one of the saddest human stories ever.
Amy Winehouse tragically died at 27 years old and this intense documentary tries to relate her short but poignant life from the very beginning till the end, passing through all the different phases: young girl from the London outskirts having a great voice and a passion for jazz, the planetary success with Back to Black, the disastrous marriage to a very dangerous (and incredibly stupid) man, the abuse of alcohol and drogues.
It is almost a tour de force but a worthy one. Winehouse’s dad could win awards as Worst Father Ever, while Kapadia confirms himself as one of the most serious and accurate documentarists around.


The Zazie d'Or for BEST COSTUME DESIGN goes to 
JOANNA JOHNSTON for THE MAN FROM U.N.C.L.E. by Guy Ritchie (UK)
This movie is set in Berlin and Rome in the '60's. This is why it was extremely easy for Zazie to go nuts about the dresses Alicia Vikander is wearing all along the movie. The men are dressed very well too. I wish we were living in a world where all this could be real and not just vintage. Joanna Johnston, please save us!

The Zazie d'Or for BEST CHOREOGRAPHY goes to
OSCAR ISAAC for his dancing number in EX MACHINA by Alex Garland (UK)
Not only Oscar Isaac is one of the most interesting and talented actors of these last years, but he's also an amazing dancer. I just can't get enough of this scene (very intriguing movie, by the way...):

The Zazie d'Or for BEST CINEMATOGRAPHY goes to  

ROGER DEAKINS for SICARIO by Denis Villeneuve (US)
Roger Deakins is the historical cinematographer of the Coen Brothers and in these last years he has started a fruitful collaboration with québécois film-maker Denis Villeneuve. Sicario's light is breathtaking and so fitting to the story: it follows the shadows, it enlightens hell on earth. Basically, it's one of the reasons why Sicario is one of the best (and also one of the most underestimated) films of the year.


The Zazie d’Or for BEST ACTRESS(ES) goes to

GÜNES SENSOY, DOGA ZEYNEP DOGUSLU, TUGBA SUNGUROGLU, ELIT ISCAN and ILAYDA AKDOGAN for MUSTANG by Deniz Gamze Erguven (Turkey/France)
I have adored the strength, the irony, the intelligence and the courage of these 5 Turkish sisters against the stupid, narrow minded, macho and oppressive world lead by men. And I think these five young Turkish actresses have been great to embody them. They have given me so much faith and hope in women’s future.
Girls Power!!! (fuck, it’s about time!)



The Zazie d’Or for BEST ACTOR goes to
GEZA RÖHRIG for SAUL FIA by László Nemes (Hungary)
When you appear for the first time on screen in a movie set in a concentration camp, and your face is in front of the camera for two hours, it probably means you’re a very good actor.
In Geza Röhrig’s case, this means actually more than that. It means that you become 
unforgettable.


 

but Zazie really loved also:
VINCENT LINDON in LA LOI DU MARCHE by Stéphane Brizé (France)

and DANE DEHAAN in LIFE by Anton Corbijn (US)


The ZAZIE COUP DE COEUR & the Zazie D'Or for BEST SCREENPLAY go to 
THE LOBSTER by YORGOS LANTHIMOS (Greece/Ireland)
In a not-so-far away future, singles are not accepted anymore. Men and women who can’t find their soul-mates within 45 days, will be transformed into animals. The genial idea of Greek film-maker Yorgos Lanthimos gives birth to one of the most unsettling, original and brilliant movies of these last years. One of those works that divides audiences in two. 
As the French say: ou ça passe, ou ça casse.
Zazie has adored it.

The Zazie d'Or for BEST DIRECTOR & the SPECIAL ZAZIE D’OR go to   

LASZLO NEMES for SAUL FIA (Hungary)
The best movie about the Holocaust ever made.
You don’t spend two hours at the movies, you spend two hours in Auschwitz.
The experience is far beyond cinema, and it is almost unbearable. If you manage to arrive till the end, you’ll see what a man is capable of. When it’s over, you don’t know if you’re still alive, but you’ll see the world with different eyes.
First feature film of a 38 years old guy, László Nemes, who dared to film the most unfilmable thing of all in the most intelligent and subtle way. Mazel tov!

László Nemes on the set of Saul Fia
The ZAZIE D’OR 2015 goes to    
AS MIL E UMA NOITES - Vol. 1 O Inquieto
AS MIL E UMA NOITES - Vol. 2 O Desolado
AS MIL E UMA NOITES - Vol. 2 O Encantado
by MIGUEL GOMES (Portugal)
This is not a simple movie: this is a monster, a protean creature, a space oddity.
6 hours divided into 3 volumes, As Mil e uma noites is a new form of cinema, the weirdest mix of fiction, documentary, real life, poetic vision and mythological tale.

As you must have guessed, this is also a masterpiece.



And since Mr. Gomes came to Paris last January, Zazie seized the opportunity to advise him about the award (and also about the past awards he has received with his previous movie, the wonderful Tabu). This is the lovely dedication he wrote on the first page of a book dedicated to his cinema:  
To Le Blog de Zazie (that gives me prizes!). Thanks, Miguel Gomes
Isn't that cute???!
The JEREMY IRONS PRIZE (Man of my Life Award) 2015 goes to
JEREMY IRONS HIMSELF!
Because it doesn't happen every year that you actually meet your favourite actor of all time and you can give him the prize in flesh and blood! In 2015, this has happened.
And, hey, I can prove it:
As usual, thanks to Sergio Saccingo Tanara for the design of the Zazie D'Or Award!
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