domenica 27 settembre 2009

Il faisait bon vivre...

Questo Settembre parigino è spettacolare.
Cielo blu, sole sfolgorante, temperatura mite. Persino io faccio fatica ad andare al cinema (e comunque ieri sera ci sono andata, e ho recuperato un film di Gus Van Sant che avevo sempre perso per qualche misteriosa ragione: My Own Private Idaho).
Gran bel film, ma non è di questo che vorrei raccontare.
Oggi, di ritorno verso casa dopo un brunch con amici, anziché fare il solito percorso, ad un certo punto ho deviato in una stradina poco conosciuta. Nel mio quartiere, anche di domenica, è quasi tutto aperto. Non faceva eccezione questa minuscola libreria di seconda mano. Mi sono fermata a dare un'occhiata e in una delle due vetrine ho visto una vecchia copia dei Cahiers du Cinéma. Di quelle degli anni '50-'60, con la copertina gialla. Ho sgranato gli occhi: quello non era un numero qualsiasi, era il numero dedicato ad André Bazin (il fondatore della rivista), morto nel 1959, proprio l'anno in cui tutti i suoi redattori, scatenati cinéphiles, passavano dalla penna alla macchina da presa.
Chabrol e Godard nella sede dei Cahiers du Cinéma
Truffaut stava girando Les 400 coups, quando Bazin è morto, e infatti il film è dedicato proprio a lui. Insomma tempo zero sono entrata nella libreria, già mezza rassegnata al fatto che, trovandomi di fronte a questo pezzo raro, il prezzo sarebbe stato di quelli che ti fanno subito passare la voglia. Ho chiesto alla proprietaria, che non si ricordava la cifra, così siamo andate insieme verso la vetrina, ma il negozio era talmente piccolo che io sono dovuta uscire, mentre lei tirava giù la rivista dallo scaffale. Era una scena un po' surreale, in effetti. Lei ha controllato la prima pagina, poi mi ha guardato, io ero sempre fuori, e mi ha fatto segno, aprendo un palmo delle mani. Ecco, ho pensato, costa 50 euro, figurati. Poi ho guardato le sue labbra, stavano dicendo: cinque. Sono rientrata, ho urlato: Lo prendo!
Mentre facevo gli ultimi metri verso casa e guardavo felice la foto in copertina: André Bazin, sua moglie Janine e il loro pappagallo Coco, riflettevo divertita a quanto possa variare, nella vita, la scala di valori che ciascuno di noi ha. Per me questa rivista di cinema poteva valere 50 euro (ma anche se mi avessero detto 100 non avrei battuto ciglio) e per questa libraia soltanto 5. Non è incredibile?
Poi sono arrivata a casa e ho iniziato a sfogliare il numero, ovviamente bellissimo, nel quale tutti i redattori hanno scritto un omaggio a quest'uomo considerato straordinario. Quello di Truffaut inizia con queste parole: Il faisait bon vivre avant la mort d'André Bazin (era bello, vivere, prima della morte di André Bazin). E continua spiegando quanto Bazin lo avesse aiutato, prima tirandolo fuori dal riformatorio, poi salvandolo dalla corte marziale militare (perché quel fuori di testa di Truffaut si era arruolato volontario per combattere tre anni in Indocina a causa di una delusione amorosa, salvo poi cambiare idea... v'ho già detto tutto del mio regista preferito) e infine trovandogli lavoro come critico cinematografico per le riviste Arts e Cahiers du Cinéma.
Ma il pezzo sublime è questo: Non sono che uno dei tanti che Bazin ha aiutato nel corso della sua vita, ma sono probabilmente quello che ha aiutato di più. Gli devo in ogni caso di avermi fatto colmare la distanza che separa il pazzo di cinema dal cineasta, gli devo il mio essere felice e il mio poter rendere felici gli altri.
Et oui, il faisait bon vivre avant la mort de Bazin et de Truffaut...

venerdì 25 settembre 2009

Charles Ryder For Ever


Come vanno le cose, e cosa le guida? recitava l'inizio di un racconto che ho letto tantissimi anni fa. 
Già, come vanno?
Vanno così: che una persona ha un attore preferito per 25 anni e poi, la settimana in cui decide di aprire un blog cinematografico (dopo mesi e mesi di dubbi e ripensamenti), un bel mattino arriva al lavoro, apre la sua casella mail e TA TAAAMMM, ci trova un messaggio da parte di quell'attore. E allora succede che se quella persona aspettava un segno, anche uno piccolo, capisce di averlo ricevuto.
Un attore lo si può amare per le più diverse ragioni: perché è bravo, perché è bello, per il modo in cui cammina, in cui fuma, in cui parla, per il suo carisma, perché ci ricorda qualcuno che abbiamo amato. Ogni scusa è buona e altrettanto valida. Io questo attore lo amo per tre motivi: perché fisicamente rappresenta il mio ideale maschile, per la sua voce (mai sentito niente di paragonabile in tutta la mia vita), ma soprattutto perché, quando avevo 15 anni, lui è stato Charles Ryder. Charles Ryder e Sebastian Flyte sono i protagonisti di uno dei più bei romanzi della letteratura inglese del novecento, Brideshead Revisited, di Evelyn Waugh:

Da questo libro, nel 1981, la Granada Television ha tratto uno sceneggiato straordinario. Ancora oggi venerato da folte schiere di fans.
Sia come storia che come ambientazione, non ci poteva essere niente di più lontano dalla mia vita di allora, eppure non c'era niente di più vicino a quello che ero io. Che avevo dentro ma non si vedeva. Potrei dire di Brideshead quello che Charles dice di Sebastian ad un certo punto della storia: I loved him. He was the forerunner (L'ho amato. E' stato il precursore).
Non ho mai smesso di amare Charles Ryder. In tutti questi anni, ho gioito vedendolo recitare in film meravigliosi, ho sofferto nel vederlo recitare in film indifendibili. Ho sempre, costantemente, ascoltato la sua voce. Mi ha sussurrato interi romanzi all'orecchio, prima su cassetta, poi su CD, infine sul mio I-pod. E poi, una sera di Maggio del 2009, per una serie di fortunate circostanze, me lo sono trovato davanti nella hall della Morgan Library di New York. Lui, in carne ed ossa. Abbiamo passato tutta la serata insieme (non ha avuto scelta, poverino, mi ci sono appiccicata come la famosa cozza allo scoglio), parlando di cinema, teatro e di progetti per il futuro. Io sembravo sotto l'effetto di un cocktail micidiale di cocaina, anfetamine e LSD. Mesmerizzata, è l'aggettivo che mi viene in mente per definirmi. Da fuori dovevo sembrare ridicola, ma da dentro, vi assicuro, era bellissimo. E lui era proprio come lo aspettavo. 
Charles Ryder, c'est lui!
Altre fortuite circostanze hanno portato alla breve ma deliziosa mail ricevuta questa mattina. Dopo averla letta, non mi sono messa ad urlare ballando per tutto l'ufficio, come mi sarei aspettata di fare. Non so perché ma ero stranamente calma, come se fosse normale, come se fosse stato sempre lì, nella mia vita, proprio come dicevano le ultime parole della sua mail:
As ever, Jeremy
Ecco, appunto.

mercoledì 23 settembre 2009

C'est la Rentrée! - 1° Film

Quando si vive a Parigi, non si può assolutamente sfuggire al favoloso concetto di “Rentrée”.
La rentrée ufficiale sarebbe quella scolastica, ma la verità è che a partire dal 1° di Settembre la definizione si espande e si applica a tutto lo scibile umano, aree culturali incluse. Quindi ci si può godere con gioia sia la rentrée litéraire che quella cinématographique.
Tornata dalle ferie, ho capito che se volevo stare alla pari con tutti i film interessanti in uscita, avrei praticamente dovuto chiedere subito altre ferie. Intendiamoci, non che non lo abbia già fatto. Nell’estate 2008 mi sono presa una settimana di vacanza per seguire l’integrale Kaurismaki al cinema Reflét Medicis, ma era luglio, e le ferie ancora le dovevo fare. Insomma, a Settembre la cosa è più difficoltosa. Comunque, armata di buona volontà e della mia mitica tessera (LE PASS) che per la modica cifra di Euro 19,80 al mese udite udite signore e signori mi permette di entrare tutte le volte che voglio in tutti i cinema della catena Pathé-Gaumont e in un gruppo di sale indipendenti della città di Parigi, ho “attaccato” la famosa rentrée.
Eccovi, a puntate, il risultato del mio duro lavoro (cosa non si fa per un blog):

Partir di Catherine Corsini

Avevo intravisto prima delle vacanze alcune immagini di questo film, che mi ispirava parecchio per i seguenti motivi:
1 - si trattava chiaramente di un mélo, genere cinematografico da me molto amato
2 - l’accoppiata degli attori principali (da un lato l’inglese très rangée Kristin Scott Thomas e dall’altro lo spagnolo depardieunesco Sergi López) mi pareva alquanto improbabile ma altrettanto interessante
Onde per cui sono andata al cinema fiduciosa e incuriosita, e le aspettative non sono state disattese. Anzi, a dire il vero, ho avuto anche una piacevole sorpresa. Io e la regista Catherine Corsini (ho dato un’occhiata alla sua filmografia e mi sono resa conto di conoscere un paio di titoli ma di non aver mai visto nessuno dei suoi lavori precedenti), abbiamo in comune il nostro regista preferito. Che di nome fa François e di cognome Truffaut. Se posso proprio dirla tutta, questo film è un frullato di tre film di Truffaut: in primis La femme d’à côté (La Signora della Porta Accanto), a seguire La Sirène du Mississipi (La mia droga si chiama Julie – poi uno di questi giorni faccio un post su quello stronzo o più stronzi che negli anni ‘70 in Italia hanno MASSACRATO i titoli originali dei film di Truffaut) e infine La Peau Douce (La calda amante – e anche in questo caso NON faccio commenti che è meglio).
L’omaggio è cosi poco velato che la Corsini arriva addirittura ad usare le musiche di questi film. Cosi, tanto per non lasciare dei dubbi a nessuno. Infine (ma questa è veramente un po’ ai confini della realtà), nella parte del padre di Yvan Attal, che nel film è il marito della Scott Thomas, compare (una sola scena) l’attore francese Philippe Laudenbach, uno degli interpreti principali di Vivement Dimanche (Finalmente Domenica) di Truffaut. Inutile specificare che lo abbiamo riconosciuto soltanto io e sua moglie.
Allora, la trama: una signora borghese del sud della Francia, sposata e con figli adolescenti, casa moderna e asettica progettata da qualche architetto alla Mies Van Der Rohe de noantri, sente che la sua vita è un po’ vuota e vuole riprendere a lavorare. A mettere a posto il locale dove pensa di aprire uno studio da fisioterapista, viene chiamato un operaio spagnolo. Una serie di circostanze li fa avvicinare e poi innamorare follemente, al punto che la signora decide di mollare tutto e tutti per stare con lui. Il marito, ça va sans dire, non la prende benissimo. Non aggiungo altro, perché non voglio rovinarvi la visione, ma trovo che questo film funzioni soprattutto grazie agli attori.
La Scott Thomas, che da anni vive a Parigi e sfoggia un francese perfetto, si è finalmente lasciata alle spalle quei ruoli da britannica fredda e con la puzza sotto il naso con i quali all’inizio ha costruito la sua carriera (anche se ogni tanto ci ricasca, vedi il recente Easy Virtue di Stephan Elliott.) E’ un’attrice bravissima, capace di essere credibile e straziante nella parte della donna pronta a tutto pur di stare con l’uomo che ama. E a proposito di carriera, se c’è un attore che ha saputo costruirne una di tutto rispetto è proprio Sergi López. Coraggioso e versatile, erede naturale di Dépardieu (anche nel fisico), ha saputo fare di tutto: francamente stronzo in Dirty Pretty Things di Stephen Frears (un film che è un gioiellino), ambiguo e pauroso in Harry, un ami qui vous veut du bien di Dominik Moll, cieco e carismatico in Peindre ou faire l’amour dei fratelli Larrieu, tenero ed erotico insieme in Une Liaison Pornographique di Frédéric Fonteyne. Insomma, avercene, di attori così. Da anni non vedevo un mélo di questo tipo, un vero classico, dove la gente fa follie per la persona che ama e va fino in fondo, senza paura, senza compromessi o ripensamenti.
E mi sono resa conto con malinconia che faccio molta più fatica a crederci, oggi. Sono felice, però, che la Corsini ci ricordi che storie così ancora esistono.
Almeno al cinema.

lunedì 21 settembre 2009

Bienvenus, mes amis!

Non succederà.
Ma se qualcuno dovesse chiedermi qual è il personaggio cinematografico in cui mi sia maggiormente identificata nel corso della mia esistenza, non avrei alcuna esitazione a rispondere.
Risponderei: Cecilia di The Purple Rose of Cairo (La Rosa Purpurea del Cairo) di Woody Allen. Una donna che in piena depressione economica (siamo negli Stati Uniti negli anni ’30), con un marito disoccupato che la picchia e si fa trovare a casa con le amanti, un misero lavoro da cameriera in un piccolo ristorante dove la trattano come una serva, senza soldi e senza una vera prospettiva per il futuro, ha come unica forma di felicità quella di andare al cinema.
Cecilia la vedi seduta sulla sedia di un piccolo cinema di periferia: un attimo prima è un essere triste e spento, un attimo dopo (quello in cui inizia il film) è trasfigurata dalla luce dello schermo, dalle immagini, dalla musica. In pratica, è una donna felice. Non c’è dolore al mondo che il cheek-to-cheek di Fred Astaire e Ginger Rogers non possano alleviare.
E questo lo sa lei, e lo so anch’io.
Non che io mi senta come Cecilia, nella vita. Nonostante la crisi economica (non lontana dalla depressione degli anni ’30), continuo ad avere un fantastico lavoro con il quale posso mantenermi (a Parigi!), non ho nessun marito che mi picchi (se è per questo, non ho neppure un marito), ma quello che prova Cecilia entrando in una sala cinematografica, quello sì, ce l’abbiamo proprio in comune. So di cosa sta parlando.
Non c’è niente al mondo, per me, pari alla sensazione di entrare in una sala cinematografica ed aspettare l’inizio di un film. E nel momento in cui si fa buio in sala, appena prima che partano i titoli di testa, in quell’attimo sospeso, sublime, che precede la visione di qualsiasi film, io penso che tutto può essere, tutto può accadere. E non c’è dolore che tenga, preoccupazione che mi riempia le testa, brutto ricordo o problema contingente. Non c’è più NIENTE.
Ma solo quel film. Un nuovo film da vedere. Che potrebbe essere il più brutto o il più bello mai visto. Non si può sapere. Non importa, ma si sta lì in bilico su questo niente, dimentichi di tutto il resto. Immagino sia questa felicità ad avermi fatto venire voglia di scrivere un blog cinematografico.
Benvenuti nel mio mondo, allora. Heaven, I’m in heaven…


Je remercie l'illustrateur québecois Pascal Blanchet pour son dessin de Zazie. I love it, Pascal!
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