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venerdì 3 febbraio 2017

La La Land

Non l’avrei mai detto, ma ecco qua che mi ritrovo a scrivere su La La Land.
Quando ho iniziato a capire che il film stava diventando un fenomeno di portata mondiale, pur non avendolo ancora visto, avevo immaginato che non gli avrei mai dedicato un post.
Che cosa ci sarà mai da aggiungere ai litri di inchiostro già versati su questa pellicola? – pensavo.
Avevo cercato in queste ultime settimane di non leggere nulla, di non vedere nemmeno il trailer (e ci ero magicamente riuscita!), insomma avevo cercato di arrivare al film senza eccessive aspettative (ma è proprio il tema dell’anno questo delle aspettative, non trovate?) o eventuali pregiudizi.
Poi ho visto il film.
E BADABADABUUUUUUUUUUM!!!

Ah, quanto me lo sono goduto! Ah, quanto mi sono divertita! Sono uscita dal cinema con la voglia di mettermi a ballare per strada anziché camminare, sensazione non proprio quotidiana e dunque benvenuta (e comunque non preoccupatevi, non avendo trovando Gosling-look-a-like intorno mi sono limitata ad una corsetta).
E fino a qui, tutto bene, come si diceva in un altro film.
Poi La La Land è uscito anche in Italia e lì, apriti cielo.
Amici e amici di amici hanno cominciato a scrivere su Facebook recensioni e contro-recensioni, con centinaia di commenti in cui i pro e i contro si davano addosso senza pietà.
Era dai tempi di Tree of Life di Terrence Malick che non vedevo infuriare una polemica simile.
All’epoca, avevo discusso con persone che lo trovavano il film più bello degli ultimi 20 anni, quando invece per me era (ed è tuttora) la sòla del secolo, e ricordo di essermi sentita dire da un perfetto sconosciuto che “se non mi era piaciuto il film è perché non avevo i mezzi culturali per capirlo”.
Ah, ecco, buono a sapersi.
Nel caso di La La Land, mi sento di dire che abbiamo tutti (evviva!) i mezzi culturali per capirlo.
Quello che fa la differenza, semmai, è la passione (o meno) per il genere “commedia musicale”. 

Attenzione, non sto dicendo che a chi piace la commedia musicale piacerà di sicuro il film. 
Anzi, piuttosto, il contrario: chi ha passione per i musicals trova al film un sacco di difetti: loro non sono bravi a ballare come Fred Astaire e Ginger Rogers, il regista ha scopiazzato qua e là da diversi capolavori del genere, e manca del tutto la magia di questi vecchi film. Non me la sento di dire che non hanno ragione, ma nemmeno che ce l’hanno.
Penso che questo film, in effetti, se lo godono di più quelli che dei musicals non sanno niente.
E indovinate perché? Perché non hanno nessuna aspettativa, perché quei famosi film manco li hanno visti e quindi La La Land diventa il loro West Side Story, il loro Singing in the Rain.
Io, teoricamente, dovrei far parte del primo gruppo.
Adoro le commedie musicali, e un gradino sotto gli Dei Celesti e Truffaut, io piazzo al terzo posto Jacques Demy.
Eppure, ecco, la vita è bella perché riserva delle sorprese: io questo film l’ho veramente amato.
Provo qui a fare un piccolo elenco semi-serio delle ragioni, sperando che gli animi si addolciscano e che qualche nuovo adepto del genere si vada a riscoprire i vecchi film che qui Chazelle stra-celebra. 

Ho amato La La Land...
Perché inizia dove finisce Les Demoiselles de Rochefort di Jacques Demy.
Nel film di Demy era un ponte appena fuori la città di Nantes, dove un ragazzo e una ragazza che si cercano e si rincorrono per tutto il film, finalmente riusciranno a conoscersi (ma attenzione, la chicca è che il film non lo mostra, lo fa solo capire). Chazelle invece fa vedere fisicamente l’incontro/scontro tra i due protagonisti e lo fa su una highway appena fuori Los Angeles. In entrambi i casi: bellissima musica, ottima coreografia, ballerini che levati e colori sgargianti ovunque. It’s another day of Sun! 

Perché la storia è romantica nel vero senso del termine e i film davvero romantici scarseggiano in questo simpatico mondo moderno. E come tutti i film romantici che si rispettino, La La Land è pervaso da una malinconia che lo rende ancora più speciale. Le commedie musicali sembrano allegre e spensierate, ma in realtà sono tra le cose più struggenti che esistano (Les Parapluies de Cherbourg docet).
Perché è bello che si parli di quanto si è disposti a sacrificare per arrivare a realizzare i propri sogni (il volersi esprimere creativamente è essenziale o è una enorme fregatura?). 
In fondo non sono molti i film che affrontano l'argomento in maniera tanto diretta.
Perché Emma Stone e Ryan Gosling non saranno bravi come Ginger Rogers e Fred Asataire ma insieme funzionano strabene (e lo avevano già dimostrato in Crazy Stupid Love). La loro alchimia è perfetta: sono belli, sensuali, ma anche estremamente divertenti. 
Perché le canzoni del film sono STUPENDE, sfido chiunque a uscire dal cinema e a non avere voglia di canticchiare City of Stars e/o a non volersi iscrivere ad un corso di tip tap tempo zero!
Perché la rappresentazione di Parigi nel film è quella cartonata, totalmente irreale ma assolutamente adorabile di Funny Face e An American in Paris (la città dove tutti vorremmo abitare...)
Perché comunque, a prescindere, vorrei vivere tutta la vita in una La La Land.
E, infine, perché Ryan Gosling che si cucina un uovo vestito come negli anni ’30 e con un asciugamano appoggiato sulla spalla è, ammettiamolo, davvero tanta, tanta roba (and, by the way, ARE YOU PHOTOSHOPPED???).
In un'intervista, Chazelle ha detto: "Volevo cercare di richiamare certe cose del passato che sentivo erano andate perdute e non dovevano andare perdute. E, inoltre, l'obiettivo principale era quello di modernizzare quelle cose. In un certo senso: o cerchi di perorare la loro causa dicendo che quelle cose sono ancora vitali, essenziali, oppure cerchi di attualizzarle, e di continuare la loro tradizione".
Non so a voi, ma a me sembra un'ottima idea.




martedì 27 ottobre 2015

25 ans déjà!

Jacques Demy davanti al Passage Pommeraye, Nantes
Stamattina alla radio passava La Chanson de Maxence in un nuova versione. 
Che bello! - ho pensato: fuori c'è il sole e ascolto una canzone delle Demoiselles de Rochefort.
E’ stato solo qualche minuto più tardi che ho capito perché: oggi, 27 Ottobre, è l’anniversario della morte di Jacques Demy, che ci ha lasciato 25 anni fa, nel 1990.
Conosco pochi registi amati quanto Demy, qui in Francia.
E’ come se avesse operato nella mente di tutti, bambini e adulti, una specie di magia, in base alla quale è assolutamente impossibile dimenticarlo.
La magia è dovuta ad una manciata di film che hanno rivoluzionato la storia del cinema, con il loro carico di canzoni, colori, e un’allegria mista a malinconia alla quale è impossibile resistere:

Forse la particolarità di Demy è che le immagini dei suoi film ti si imprimono dentro, e poi non escono più, talmente forte è il loro impatto.
Impossibile per me vedere un garage senza che nella mia testa non scatti in automatico la musica dei Parapluies de Cherbourg

E’ l’effetto Demy. Non ci si può fare niente. Tanto vale smettere di lottare.
La settimana scorsa, mentre visitavo la mostra su Martin Scorsese alla Cinémathèque (a proposito, è bellissima, andateci appena potete), non potevo fare a meno di pensare che la più bella di tutte quelle che ho visto sino ad ora è stata proprio quella su Demy.
La serata inaugurale aveva dell'incredibile: con le ragazze all’ingresso che portavano i cappelli delle Demoiselles, lo champagne, Agnes Varda e tutta la sua famiglia, gli attori dei suoi film, la ricostruzione dei set cinematografici. 

Ne ho un ricordo indelebile, magico, appunto.  
Qualche giorno dopo, avevo partecipato ad un flash mob "Demoiselles de Rochefort" sul parvi dell’Hotel de Ville: centinaia di persone (di tutte le età) avevano imparato a memoria una coreografia da ballare tutti insieme sulla Chanson des Jumelles.
Una cosa tanto assurda quanto divertente e gioiosissima.
Uno di quei giorni in cui mi è sembrato evidente perché ho deciso di vivere qui, nonostante il brutto tempo, la vita che costa troppo cara e i musi lunghi dei parigini.
Finché c’è amore per Demy, c’è speranza.
Finché esiste il Demy-Monde, continuerò a viverci dentro. 
Evviva!

mercoledì 10 aprile 2013

La soirée des sœurs jumelles

Les Demoiselles de Rochefort (Catherine Deneuve and her sister Françoise Dorléac)
Have you ever had a twin sister?
I was personally so lucky to find one in my life some years ago: her name is Patricia, like Jean Seberg in À bout de Souffle, and not only she has her same name but she really looks like her. 

This was, of course, the reason why I talked to Patricia the first time I met her. 
Few months later (I was still living in Italy) I went to visit her in Paris and from that very moment on it was "friendship at first sight"!
Patricia and I found out to have in common, among many other things, an unconditional love for Jacques Demy

We even made together some pilgrimages on Demy’s movies places: Nantes (where Patricia comes from, by the way) and Rochefort, because “our” movie is Les Demoiselles de Rochefort.
When a couple of weeks ago I received from the Cinémathèque Française the invitation to a very special avant-première of their exhibition on Jacques Demy, I didn’t even have to think about the person who has to be there with me. Evidently enough, c’était ma jumelle!
So, Monday night at 7 pm, we were ready to enter the enchanting world of Monsieur Demy.
And enchanted we were! 
The exhibition is a must-see for any Demy fan in the world: the entire fifth floor of the Cinémathèque has been split in small rooms containing the different Demy universes, corresponding to each of his movies. 
From the Nantes of Lola, to the one of Une chambre en ville, from the wonderful papier-peints of Les Parapluies de Cherbourg, to the reproduction of the art gallery in Les Demoiselles de Rochefort, you are happy to be swallowed up by the world created by Jacques Demy and his collaborators (oh, the magnificent costumes of Peau d'Âne!). 
I particularly liked the pictures taken on the different sets by Agnès Varda, and the small objects that make a big difference, like the congratulations letters received by his friends (Truffaut, Cocteau...) and the card invitations to the avant-première of his movies.
Madame Emery and Roland Cassard - Les Parapluies de Cherbourg
Invitation to the avant-première of Les Demoiselles de Rochefort
The sumptuos costumes of Peau d'Ane
Around 8 pm, the space was full, and one can easily imagine to be in a Demy movie: besides his family (wife Agnes Varda, son Mathieu and stepdaughter Rosalie), many of the actors of his movies were there: Anouk Aimée, Michel Piccoli, Jacques Perrin, Dominique Sanda, Mathilda May, Richard Berry, Jean-François Stévenin, were walking around, amazed.
Many cinema stars were at the appointment as well: Michel Gondry, Jane Birkin, Virginie Ledoyen, Costa Gavras, Lambert Wilson, Salma Hayek, Claudia Cardinale, Valérie Donzelli et Jérémie Elkaïm, Louise Bourgoin, Déborah François, Agathe Bonitzer, Guillaume Gouix (Serge, the killer of Les Revenants), Melvil Poupaud (at his best!), and even secretive French film-maker Leos Carax, with his unavoidable black glasses. 

The royal touch was gently provided by the Prince Albert of Monaco, who apparently is a huge Demy fan. The only one missing, evidently enough, was Catherine Deneuve. Was she out of France? Difficult to believe, but not hard to understand why this event could be way too emotional for her. 
Geneviève and Madame Emery - Les Parapluies de Cherbourg
And emotional is the word I would use to describe the next best thing of the soirée: a special concert by one of Jacques Demy’s best friends and most precious collaborators, Michel Legrand. The musician, 81 years old and the enthusiasm of a 20something, played with his small band many songs from Demy’s movies with a new, jazzy, fabulous arrangement.
Patricia and I burst into tears several times, trying (uselessly enough) not to let the other being aware of that, but at the end, when a picture of Jacques Demy invaded the screen, and Legrand kept looking at him, waving a good bye, we both cried without restraint.  
Les soeur jumelles ont le cœur doux! 
Michel Legrand - The Cinémathèque Concert
We definitely needed a glass of champagne to overcome the difficult moment. 
Luckily enough, the Merveilleux Cocktail offered by Dalloyau was the grand final de la soirée
The problem with my twin sister and I, is that we really love champagne, and when we start drinking it, well, it is difficult to stop us. And then we become even more sociable than we normally are. 
This basically means we went to talk to any actor/actress we vaguely love who was in the room (I personally wanted to put my arms around Melvil Poupaud but since there was his family there I just told him how fabulous he was in the last Dolan's movie). 
I have to confess that the one who had to pay dearly for our uncontrollable enthusiasm was Mathieu Demy: we first met him in the exhibition, while we were taking a pictures of ourselves near Les Demoiselles de Rochefort (and he was already laughing a lot), but then we saw him from a balcony where the cocktail was taking place and we kept stupidly waving at him, and in the end we just blocked him in a corner. He looked scared. We said: "Don’t worry, we are not as crazy as we look!" We confessed him all our love for his father, and all the things we have done because of that, and once our speech was over, Mathieu looked really impressed and he even drank a glass of champagne with us. 
Truth is, he couldn’t stop laughing. 
My twin sister and I can be pretty funny, c'est vrai... At least five different people that night came to see us, asking: "Are you twin sisters?" Of course we are, can’t you see THAT??!
And this is La chanson des Jumelles of Les Demoiselles de Rochefort:

giovedì 7 marzo 2013

Les Parapluies de Cherbourg need you!

Dear Readers,
If you regularly follow my blog, you certainly noticed that I have already written several posts about the French film maker Jacques Demy
As a matter of fact, any excuse is good for me to talk about him.
The reason is simple: I'm totally crazy about his cinema.
When the other day I read the news that the family Demy-Varda (through their distribution company Ciné-Tamaris) was launching a petition to find 25.000 € to restore Les Parapluies de Cherbourg, Demy's masterpiece, I immediately adhered to the initiative.
The movie has been originally shot in 1963 using a 35 mm negative film, that now needs to be transformed, through a very complicated, long and expensive process, into digital files able to be used to show the movie in nowadays cinemas.
The whole thing will cost much more than that, but Ciné-Tamaris already received the support from different contributors:
Festival de Cannes : 50 000€
LVMH : 25 000 €
Ville de Cherbourg : 10 000€
Région Basse-Normandie : 5 000€
for a total of 90 000 €
Now, it is necessary to find the remaining 25.000 € (in 39 days, so be quick!).
Depending on the amount you are giving, you'll receive some cinematographic "gifts" related to the movie to thank you for your help.
You can find all the details of the initiative on this site:
http://www.kisskissbankbank.com/il-faut-sauver-les-parapluies-de-cherbourg
And on the film Facebook page:
https://www.facebook.com/LesParapluiesDeCherbourgOfficiel

If you don't know this movie, the only example of cinema en-chanté (the dialogues are sung, not told), I strongly suggest you to see it. The film won the Palme D'or at the Cannes Film Festival in 1964, and it is very easy to understand why.
This is a unique movie in the cinema history.
It is so part of my life that any time I pass near a gas station, I immediately start singing (in my head) the Garage Song. I can't help it. It is just there, and I know it will be there for ever.

If you love cinema, you love Les Parapluies de Cherbourg.
Please help them to live FOR EVER!
Zazie

domenica 2 settembre 2012

Lola

Vado PAZZA per Jacques Demy, questo ormai si sa.
Adoro i suoi film, il suo mondo e la sua idea di cinema. Adoro persino la sua famiglia: sua moglie Agnès Varda, suo figlio Mathieu. Non mi stancherò mai di trovare scuse per scrivere di lui in questo blog, anche se è morto nel 1990 (ma perché tutti i miei registi preferiti se ne sono andati troppo presto? qualcuno me lo spiega?). 
A fine Luglio qui in Francia è ri-uscito nelle sale il suo primo film, Lola (1961), in versione restaurata. Quale migliore occasione per approfittarne ed andare nel mio amatissimo Ciné Studio 28 (con quelle meravigliose lampade di Cocteau al'interno che sembra già di stare in una fiaba) a vederlo sul grande schermo? Lola è davvero la prova che il cinema migliore non invecchia mai e che, se un film è speciale, rimane speciale anche a 50 anni di distanza.
Demy sul set del film, alla Cigale di Nantes
Siamo a Nantes (la città natale di Demy), è l'estate del 1960, e Lola, una ballerina ritornata in città dopo una lunga assenza, si esibisce all'Eldorado. Madre single del piccolo Yvon, avuto sette anni prima dal grande amore della sua vita, Michel (poi fuggito in America), Lola si imbatte per caso in un vecchio amico di infanzia, Roland Cassard. L'incontro suscita in entrambi numerosi ricordi, e fa nascere in Roland un sentimento per la donna, purtroppo non corrisposto. Lola, che a volte esce con uomini di passaggio (come Frankie, un marinaio americano in permesso a Nantes), in realtà è sempre innamorata di Michel e spera in un suo ritorno. Roland, stanco e annoiato dalla vita, dopo il rifiuto di Lola decide di accettare una proposta di lavoro piuttosto equivoca (un traffico di diamanti) e vola in Sud Africa. Prima di partire, conosce per caso in una libreria una vedova e la sua giovane figlia, Cécile, che gli ricorda molto Lola da giovane. Cécile, a sua volta, conosce per caso Frankie, che diventerà il primo amore della sua vita. E proprio quando Lola decide di accettare un lavoro di due mesi a Marsiglia, ecco che una cadillac bianca sfreccia per le strade di Nantes... chi sarà alla sua guida?

Lola, opera prima (dedicata a Max Ophüls), possiede già tutte le caratteristiche tipiche del demy-monde e schiera quei collaboratori che diventeranno parte della famiglia cinematografica del regista (e della Nouvelle Vague) nel corso della sua carriera: i decori e i costumi sono del geniale Bernard Evein, le musiche di Michel Legrand, la fotografia di Raoul Coutard, la segretaria di produzione Suzanne Schiffman (la stessa di Truffaut) e le parole della canzone di Lola sono di Agnès Varda. I legami non appartengono solo al mondo reale, però. I film di Demy si parlano, si allacciano gli uni agli altri, in una girandola di citazioni, di personaggi che ritornano, di ammiccamenti ad altri registi. Roland Cassard, ad esempio, ritorna tale e quale in un film successivo di Demy, Les Parapluies de Cherbourg, e il tema musicale che lo accompagna in Lola, si trasforma nell'altro in una vera e propria canzone. Cassard, diventato importatore di diamanti (carriera che aveva iniziato a svolgere alla fine di Lola), cita nella strofa del suo pezzo: Autrefois j'ai aimé une femme, Elle ne m'aimait pas, On l'appelait Lola, Autrefois... (Un tempo ho amato una donna, lei non mi amava, la chiamavano Lola). Cassard è il personaggio dei film di Demy destinato agli amori non corrisposti: nei Parapluies de Cherbourg si innamorerà, non ricambiato, di Catherine Deneuve (anche se finirà con lo sposarla). E ancora: l'unico amico che Cassard dice di avere, in Lola, è un tale Poiccard che, stando alle sue parole: "E' andato a finire male, si è fatto ammazzare..." Poiccard è il nome di Jean-Paul Belmondo in A bout de Souffle, girato da Godard l'anno prima (questa cosa me l'ha fatta notare la mia amica Laura, che ringrazio!). 
La stessa Lola sarà la protagonista di una successiva pellicola di Demy: Model Shop, film del 1968, ambientato a Los Angeles. Una delle colleghe-danzatrici di Lola, invece, è Corinne Marchand, che sarà la protagonista di Cléo de 5 à 7  di Agnès Varda. Altra chicca: il figlio di Lola si chiama Yvon, come il fratello minore di Demy. Insomma, si potrebbe andare avanti all'infinito, anche perché a sua volta Demy continua ad essere citato dai giovani registi francesi. L'esempio più eclatante, ne ho già scritto in questo blog, è Christophe Honoré, il cui primo film ha per titolo 17 fois Cécile Cassard. Avrete certamente notato il cognome... il nome Cécile invece è il vero nome di... Lola! Ah, quanto adoro questo genere di cose! Mi fanno proprio sentire a casa.
Lola e Roland Cassard
Film fintamente leggero e spensierato, come qualsiasi altra opera di Demy, Lola parla della forza e dell'intensità del primo amore, con tutto quello di magnifico e terribile che lo può accompagnare: la sorpresa, l'estasi, la felicità improvvisa, ma anche l'attesa, la delusione, la consapevolezza che non sarà mai più la stessa cosa. Le immagini, m e r a v i g l i o s e, della giovane Cécile sulle giostre con il marinaio Frankie, ne sono un perfetto esempio. C'è la gioia incontenibile di quei pochi attimi di felicità assoluta e subito dopo l'arrivo, implacabile, della realtà: Frankie sta per tornare in America e lei è solo una ragazzina di 14 anni. Ma quell'attimo è fondamentale, quell'attimo potrebbe farle decidere, come era stato per Lola in passato, di aspettare fiduciosa il ritorno dell'amante tanto amato. Nel film, Michel ritorna a prendere Lola dopo 7 lunghi anni, nella vita vera questa ipotesi mi sembra davvero un po' improbabile, ma come dice giustamente una delle protagoniste del film: 
"C'est toujour plus beau, au cinéma!" (Al cinema, è sempre più bello!).
Parole sante.

La Chanson de Lola versione Demy:

La Chanson de Lola versione Honoré
(cantata da Roman Duris in 17 Fois Cécile Cassard - 2002):

La Chanson de Roland in Les Parapluies de Charbourg (1964):


NB Lola in Italia è stato distribuito con un titolo a dir poco infame: Donna di vita. Ecco, io spero che il povero stronzo che l'ha deciso abbia sofferto per tanti anni ed in maniera continuativa di prurito alle parti basse. Donna di vita sua zia!

sabato 2 aprile 2011

New York City Movie Theatres












Let’s face it: there is no city like Paris, for movie goers.
But besides the place where I live, the other city in the world allowing you to see an old Hollywood picture, a Pasolini movie or a Japanese retrospective at 11 am on a Tuesday morning… definitely IS New York City!
This is why, every time I have the chance to be there, I go to the movies as much as I can. And this is exactly what I did last week: Breakfast at Tiffany’s and movies at will!
But I also walked around to take pictures of my favourite movies theatres. Places where they really care for the pictures they show, places where I feel at home.
I went to the Sunshine Cinema (Lower East Side), an old movie theatre with a great programming and posters of Les Parapluies de Cherbourg by Jacques Demy hanging on its walls. To the lovely Angelika Film Center (near Washington Square), a chain of arty cinemas with different locations in the States (Dallas, Houston, Plano and NY), where I enjoyed a good cup of tea in their beautiful café (if I knew what I was about to see, I would have opted for a glass of whisky, but well…). To the IFC Center, the kingdom of independent cinema in the middle of Greenwich Village, and to the Film Forum (Soho), a place specialised in American independent cinema and foreign art movies (the evidence: they are now showing Le Quattro Volte by Michelangelo Frammartino).
I will write about the movies I have seen in New York in my next posts, but I wanted first to share these places with you.
Because no matter where you are in the world: home is where the movie theatres are!

venerdì 29 ottobre 2010

Jacquot de Nantes

Ci sono registi che amiamo lo spazio di un film, registi che detestiamo dalla prima all'ultima inquadratura, registi che (peggio ancora) ci lasciano completamente indifferenti, e poi ci sono loro, i registi che ci cambiano la vita. Per i quali c'è un prima, e c'è un dopo. In questi giorni si celebra in tutta la Francia il ventesimo anniversario della morte di un uomo che ha fatto un'enorme differenza per tante persone, blogger che scrive inclusa: Jacques Demy.
Avrei così tante cose da dire, su di lui, che un post mi sembra davvero ridicolo. Ma ci proverò comunque.
Nato nel 1931 in un paesino della Loire-Atlantique, figlio di un garagista e di una parrucchiera, Demy è cresciuto a Nantes, che lascia nel 1949 per trasferirsi a Parigi ed entrare in una scuola di cinema, da sempre il suo più grande sogno. Diventa amico della banda dei Cahiers du Cinéma, inizia a scrivere delle sceneggiature, e nel 1958 incontra la regista Agnès Varda. E' il grande amore: si sposano nel 1962, hanno un figlio (Mathieu, ma della famiglia fa parte anche Rosalie, la figlia che Agnès ha avuto da una precedente relazione) e staranno insieme, salvo brevi separazioni, fino alla morte del regista, nel 1990. La filmografia di Demy non è sterminata: 14 lungometraggi in tutto, e include anche opere piuttosto bruttarelle ed assurde, ma grazie ad una manciata di titoli, Demy si è imposto come un maestro assoluto, come il creatore di un universo particolare ed inedito, modernissimo e retrò allo stesso tempo, con uno stile che ancora oggi rimane un punto di riferimento e un modello inimitabile per schiere di registi.
Sto parlando soprattutto di un film-pietra miliare della storia del cinema: Les Parapluies de Cherbourg, Palma d'Oro al Festival di Cannes 1964 e, almeno che io sappia, primo (e unico?) esempio di film cantato. Sì, avete capito bene, non sto parlando di un musical, dove la gente dialoga normalmente e ad un certo punto c'è una canzone e/o un balletto. Qui la gente invece di parlare, canta. Sempre. Lo so cosa state pensando: oddio, ma che roba è? questo è pazzo! No, credetemi, una volta che vi lasciate rapire dalla musica, dai colori, dal volto sognante di Catherine Deneuve, dalla dolcezza un po' maladroite di Nino Castelnuovo (eh, si, proprio lui... vi siete mai chiesti come mai Anthony Minghella gli avesse affidato una parte in The English Patient? La risposta è questo film!), dalla storia romantica ma crudele, dai dialoghi cantati che sono dei gioielli in rima, dalla mise en scène precisa e splendida di Demy, capirete perché per questo film la parola CAPOLAVORO non è spesa invano. Fondamentale, per la creazione di questo personalissimo universo, la sua collaborazione con due grandi artisti: il musicista jazz Michel Legrand e lo scenografo Bernard Evein (la carta da parati più bella della storia del cinema, la dobbiamo a lui), che non a caso saranno quasi sempre al fianco di Demy nel corso della sua carriera.
Ma già con il suo lungometraggio d'esordio, il bellissimo Lola (1960), Demy aveva fatto capire di cosa era capace, ed aveva introdotto alcuni dei temi a lui più cari, che ritorneranno come un ritornello in tutta la sua opera: la ricerca (e a volte la lunga attesa) dell'amore assoluto, la differenza di classe sociale come motivo di separazione tra gli amanti, la crudeltà del destino, la favola/il sogno come dimensione ideale per sopportare la realtà di questo mondo. Non è dunque un caso che uno dei suoi film più riusciti sia stato la trasposizione in immagini di Peau D'Ane (Pelle d'Asino), sempre con Catherine Deneuve.
Ma c'è un altro gioiello che Demy e la Deneuve hanno girato insieme, il solo film del regista in cui la sua vena malinconica viene messa da parte per far spazio ad una gioia di vivere incredibilmente contagiosa: Les Demoiselles de Rochefort (1966). La storia di due sorelle gemelle (interpretate dalla Deneuve e da sua sorella nella vita, la deliziosa Françoise Dorleac, purtroppo morta in un incidente d'auto un anno dopo la fine delle riprese) alla ricerca dell'uomo ideale e della loro realizzazione come artiste, il tutto nella cornice di una città militare ma allegra e coloratissima, di marinai in libera uscita, con Gene Kelly e il protagonista di West Side Story che si aggirano indisturbati, ballando nelle strade. Insomma, il mondo en-chanté à la Demy, il mondo come ci piacerebbe che fosse.

Ovviamente, non si può parlare di Demy senza parlare di Varda.
Nel 1990, mentre Demy, già gravemente ammalato, si mette a scrivere le sue memorie di infanzia, la moglie decide di rendergli omaggio trasformando subito in pellicola quegli stessi ricordi. Il risultato è il commovente Jacquot de Nantes, dove alle immagini dell'infanzia di Demy si sovrappongono immagini tratte dai suoi film e primissimi piani fatti al regista stesso, malato e con uno sguardo dolcissimo, in silenzio davanti al mare. Una dichiarazione d'amore di una tenerezza sconvolgente. E sempre la Varda ha girato, nel 1993, un documentario intitolato Les Demoiselles ont eu 25 ans, nel quale ritorna a Rochefort con Catherine Denevue per le celebrazioni del venticinquesimo anniversario del film, intervistando gli abitanti che avevano preso parte alla lavorazione e andando alla ricerca di ricordi, scene, momenti divertenti, musiche e paesaggi.
Ma vorrei anche ricordare che Demy ha avuto una grandissima influenza su diverse generazioni di registi, e non solo francesi. Wong Kar-Wai ha più volte dichiarato il suo amore per lui e John Woo ha confessato di costruire le scene di sparatorie ispirandosi all'armonia delle scene di ballo dei suoi film. In Francia, ça va sans dire, ci sono registi che gli fanno dichiarazioni d'amore a ogni inquadratura. Il caso più eclatante è quello di Christophe Honoré, una specie di clone in versione moderna di Demy: nel film 17 Fois Cécile Cassard (Cassard è il cognome di un personaggio che compare sia in Lola che nei Parapluies de Cherbourg), Honoré gli rende un buffissimo omaggio, con un Romain Duris in versione osé che canta la canzone di Lola sulla riva di un fiume. E comunque, Honoré è come se rifacesse Demy ad ogni film, e ogni occasione è buona per far cantare e ballare i protagonisti dei suoi film. Piuttosto incredibile, poi, è il caso di Jeanne et le garçon formidable di Olivier Ducastel et Jacques Martineau, del 1998. Questa coppia (nel lavoro e nella vita) di registi ha creato un film anni '80 alla Demy, il cui protagonista è (niente-poco-di-meno-che) Mathieu, suo figlio. Benché il tema non sia per niente allegro: il protagonista è malato di AIDS e sta per morire, il tono è leggero e sognante, pieno di canzoni e balletti scatenati e una scena di manifestazione presa pari pari da Une chambre en Ville, altro film di Demy.

Mi dispiace, come temevo, questo post è lunghissimo, e spero non me ne vogliate. Ma ditemi voi: come si fa ad essere brevi, quando si sta parlando dell'uomo che si ama?







martedì 15 dicembre 2009

ANNA

E proprio quando pensavo di sapere tutto ma veramente tutto della Nouvelle Vague, ecco che spunta fuori un film per la TV del 1967 di cui ho sempre ignorato l'esistenza: Anna, di Pierre Koralnik.
L'ho scoperto grazie al mio settimanale preferito, Télérama, il cui acquisto ogni mercoledi mattina all'edicola di Rue Burq mi riempie di una gioia un po' sconsiderata. Sull'inserto speciale dedicato ai regali di Natale pubblicato un paio di settimane fa, ecco che trovo la recensione di un cofanetto il cui sottotitolo avrebbe potuto essere: scritto, diretto e interpretato espressamente per far felice Zazie.
Allora, andiamo con ordine: in questo cofanetto (una meraviglia che sembra un vecchio LP, con una grafica perfetta) ci potete trovare un DVD, un CD e una serie di fotografie in bianco & nero che come le vedete le volete già incorniciare e appendere in salotto.
Ovvio, vi starete chiedendo come mai c'è un CD, e la risposta è molto semplice, c'è perché questo è un film musicale alla Jacques Demy (del resto il suo capolavoro, Les Parapluies de Cherbourg, è del 1964, quindi immagino che l'influenza all'epoca fosse fortissima) ma a scriverlo, comporre la colonna sonora e avere una piccola parte in questo film è niente-poco-di-meno che il grande Serge Gainsbourg.
Gli interpreti principali, invece, sono Anna Karina (all'epoca moglie di Jean-Luc Godard e volto femminile per eccellenza della Nouvelle Vague) e Jean-Claude Brialy (che con Jean-Pierre Léaud è stato il volto maschile più rappresentativo dello stesso movimento).
Il film, che si avvale dei dialoghi di Jean-Loup Dabadie (diventato poi famoso come sceneggiatore di tanti straordinari film di Claude Sautet), racconta la storia di Serge, un pubblicitario di successo, che un giorno per caso fotografa in una stazione parigina il volto di una ragazza e se ne innamora perdutamente. Per ritrovarla, stampa delle fotografie giganti (e vai di Blow Up) che fa appendere per tutta la città, ma non si rende conto che in realtà quella ragazza lui la conosce. E' Anna, una giovane che lavora come disegnatrice nella sua stessa agenzia, una tipa dall'aria un po' buffa e sognatrice, che nasconde il volto dietro dei grandi occhiali tondi alla Corbusier (ecco perché lui non la riconosce). Gainsbourg interpreta invece l'amico dandy e très blasé di Serge, un po' voce narrante, un po' testimone lievemente cinico dell'ossessione di Brialy.
Insomma, la trama non è niente di che, ma il film è eccezionale.
Perché c'è una libertà, un accumulo di idee, un nuovo modo di rappresentare i sogni, i sentimenti, le ossessioni, le stravaganze e i desideri che ancora oggi, a distanza di 40 anni, suonano assolutamente moderni. Insomma, sono gli anni '60 in tutto il loro splendore, con un pizzico di '7o e le prime avvisaglie di psichedelia.
Visivamente questo film è un inno alla gioia di vivere: le strade di Parigi non sono mai state così meravigliose (ma perché hanno cambiato quegli autobus, qualcuno me lo spiega?), l'esplosione di pop art è contagiosa (il balletto iniziale, una specie di versione video di un quadro di Pollock, e tutta la scena surreale del finto funerale di Brialy), gli abiti sembrano usciti da una collezione di Yves Saint Laurent e Courrège, i balletti sono di un'innocenza disarmante, il cameo di Marianne Faithfull pure e Gainsbourg che fuma una gitane seduto al caffé con cappotto color cammello... eh, niente, quello è di una classe, di un'eleganza e di un carisma che si capisce perché in Francia lo venerano come Gesù.
Le sue canzoni, poi, sono dei capolavori. E non a caso alcuni pezzi (tutti cantati dagli interpreti del film) sono entrati nella storia della musica, come il famosissimo "Sous le soleil exactement".
E alla fine della visione si resta, come sempre in questi casi, con la semplice domanda: ma perché al giorno d'oggi in un posto come l'Italia è impossibile trovare in TV (oddio, pure al cinema...) questa libertà assoluta, questa voglia di rischiare, osare, sperimentare, mischiare i generi, elevare il pubblico e non farsi trascinare dal gusto corrente? Insomma di andare oltre, di essere avanti. Forse si potrebbe mandare qualche sceneggiatore italico in America, dove in questi ultimi anni con le serie TV stanno facendo quello che la Nouvelle Vague faceva con il cinema negli anni '60. Mah...
Nel frattempo, per consolarvi, vi consiglio la visione di Anna, che Télérama ha definito "il telefilm più leggendario di tutta la storia del piccolo schermo francese".
Un mythe, exactement...
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