giovedì 30 dicembre 2010

Strange Days


This is the end of the year, dear readers, and it is time to sum it up! In 2010, Zazie has been to the movies 67 times. Twenty movies were coming from France, another twenty from the States, few others from Italy and United Kingdom and the remaining from different countries: Argentina, Belgium, Canada, Korea, Philippines, Germany, Israel, Norway, Spain.
This, of course, without mentioning the movies seen in DVDs and all the TV series devoured.
Furthermore, I have written 50 posts for my blog.
Well, I hope you will agree with me on this important point: I have worked very, very hard!

Before letting you know the best and worst of 2010 (this is going to happen next February with the awarding of the Zazie d'Or prizes), here it is for you the top-seven list of
Zazie's Best Cinema Moments of 2010:
1 - April 2010
Twenty minutes talk seated on a bench outside Hampstead Theatre, London, with British actor Jeremy Irons (possibly to be considered also the Best Moment of My Life tout court!)
2 - May 2010
Bumping by chance in a London restaurant into British actor Ralph Fiennes and eating dinner in front of him (but not at the same table, unfortunately). I still can't believe he didn't recognize me!!!
3 - July 2010
Bumping by chance into Woody Allen (and the Première Dame de France, Carla!) filming in Rue Mouffetard some scenes of his next movie, Midnight in Paris
4 - July 2010
Meeting in Rome in flesh and blood Italian film-maker Pietro Marcello after having adored his two movies, Il Passaggio della Linea and La Bocca del Lupo
5 - September 2010
Meeting, having a short conversation and taking a picture at a Los Angeles party with "Hollywood New Rebel", American actor James Franco (!!!)
6 - September 2010
Having the guts to give my "blog card" to American film-maker Wes Anderson, met at a book launch in New York (at my defence, I can say that I already knew him and so he was used to be pestered by Zazie)
7 - December 2010
Bumping by chance at a friend's party in Paris into my favourite film-maker of the year, the young québécois genius Xavier Dolan (in this case, I can't say anything at my defence: he didn't know me and so, not being used to Zazie's enthusiasm, he simply run away...)

It seems I have been a VERY LUCKY girl, in 2010.
Will 2011 be THAT lucky? I doubt it but, well, you never know...

I leave you with two short videos: one is taken from the movie Strange Days (1995) by Kathryn Bigelow, a movie set in the very last days of the year (just to remind you that Miss Bigelow has been the first woman in cinema history to be awarded of an Oscar for Best Director in 2010) and the other one is taken from Aprile (1998) by Nanni Moretti, where Moretti rages against... Strange Days (just to remind you that one of the best things in life is to have different views on the same movie).

HAPPY NEW YEAR, MY DEAR READERS!



giovedì 23 dicembre 2010

Monsters

Lo ammetto: ci sono alcuni generi cinematografici a cui, come si dice a Napoli, non vado tanto appresso. Nello specifico, ho poca passione per i film western, i film di guerra e i film di fantascienza.
Tuttavia, a volte faccio delle eccezioni, quasi sempre legate a quella che io chiamo "La Politique des Acteurs". Eh sì, perché se i Cahiers du Cinéma negli anni '50 hanno inventato "La Politique des Auteurs", teoria in base alla quale ad un regista si possono perdonare anche dei film meno riusciti in virtù della creazione di un intero corpus cinematografico, Zazie, nel suo piccolo, già nei primi anni '80, ha inventato "La Politica degli Attori". Teoria del tutto personale in base alla quale se un attore è bravo e mi piace, gli perdono qualsiasi schifezza nella quale lui si trovi invischiato. Questo, è bene specificarlo, più in virtù del suo corpus tout court che di quello cinematografico, ma che volete farci, anche le bloggers tengono la carne debole. E' un sistema un po' empirico, me ne rendo conto, che però nel corso degli anni ha riservato le sue belle sorprese. Esempio: qualche tempo fa ho visto in un sottopasso del métro parigino l'affiche di un film intitolato Monsters. In circostanze normali lo avrei completamente ignorato, è vero, ma sul poster ho riconosciuto un attore per cui ho un debole mostruoso, e allora mi sono precipitata al cinema. Per fortuna!
La storia di Monsters ha inizio sei anni prima dei fatti raccontati nel film, quando una navicella della Nasa mandata in missione alla ricerca di forme aliene di vita, rientra sulla terra e precipita per sbaglio in America Centrale. Nel giro di poco tempo, creature mostruose seminano distruzione, morte e terrore in tutto il Messico, che viene messo in quarantena. Gli Stati Uniti, per evitare il contagio, costruiscono tutto intorno ai loro confini un'enorme muraglia e cercano di distruggere i mostri con raid aerei e di terra. I viaggi tra la zona contaminata e quella ancora sana, ovviamente, sono difficili e pericolosi. Andrew, fotografo che si trova in Messico alla ricerca di uno scoop sui mostri, è costretto dal suo capo a portare a casa "sana e salva" la figlia di quest'ultimo, Samantha (in fuga da un fidanzato ufficiale e da un matrimonio che si intuisce le sta già stretto prima ancora di essere celebrato). I due, dapprima non proprio entusiasti di dover viaggiare insieme, saranno costretti a coalizzarsi per far fronte a mille problemi e all'incontro con diverse forme di vita aliene e non proprio benevole, e finiranno con l'innamorarsi.

Quello che mi è piaciuto di più di questo film, è che non sembra affatto un film di fantascienza.
Monsters sembra appartenere piuttosto ad un altro genere cinematografico, quello dei road movies, con tutte le caratterische del caso: due personaggi all'apparenza lontani che nel corso del viaggio si avvicinano, le brutte/belle sorprese del percorso, i rapporti con i locali che incontrano lungo il cammino, la trasformazione psicologica, la scoperta, la crescita interiore a contatto con delle nuove esperienze di vita. In Monsters c'è tutto questo ma, in più, come elemento fortemente destabilizzante, ci sono anche loro, i mostri. Che poi, fisicamente, sono delle piovrone gigantesche tutte nere e piene di tentacoli che a volte stritolano e distruggono e altre volte sono capaci di regalare momenti di incredibile intensità emotiva. Tra le righe cinematografiche, non credo sia sbagliato leggere due discorsi legati alla nostra realtà contemporanea più che alla fantascienza: quello ecologista (i mostri si rigenerano "avvelenando" gli alberi della terra) e quello sui rapporti USA/America del Sud (gli sforzi degli americani per lasciare che il paese infetto sia il Messico, la costruzione della grande muraglia per evitare ogni tentativo di immigrazione). Visivamente notevolissimo, il primo lungometraggio del giovane regista inglese Gareth Edwards stupisce per il grande impatto emotivo generato con risorse che si intuiscono piuttosto scarse. Sembra che il fim sia stato girato con pochi soldi "on location" in diversi paesi del Centro America e con la troupe ridotta al minimo: il regista, i due attori protagonisti, qualche operatore. Tutti gli altri attori erano gente presa per la strada, in loco, e molti dialoghi sono stati improvvisati. Per un film di fantascienza, a me sembra un'idea grandiosa.
L'attore per cui Zazie ha voluto vedere a tutti i costi questo film è un giovane attore americano semi-sconosciuto, Scoot McNairy, protagonista qualche anno fa di un piccolo, delizioso film indie in bianco & nero dal titolo In search of a Midnight Kiss. L'attrice protagonista è invece Whitney Able, mai vista né sentita prima, giusta per la parte ma sans plus, come direbbero i francesi (e va bene, ho il dente avvelenato: nella vita reale questa ha la fortuna sfacciata di essere sposata proprio con Scoot McNairy!).
Lo so, mi rendo conto, non ho parlato di un film molto natalizio, ma in fondo anche i mostrini hanno un cuore (e questo film lo dimostra).
E allora Buon Natale dalla vostra Zazie!

sabato 11 dicembre 2010

When Zazie met Xavier

I live in a city where incredible things can happen.
Yesterday night I went to the housewarming party of Alex, a dear friend of mine. He shares an apartment together with 3 or 4 other people in Boulevard Magenta and each of them invited at least 40 friends. The result, as you can easily imagine, was a big mess. I love this kind of parties, where you talk to completely different human beings and you can meet amazing characters. I also love to look at the way girls dress at these parties, because you could see some very cool stuff. Yesterday night I have noticed a girl having a fabulous 50s bag and fabulous 50s glasses, and I stopped her in the middle of the living room to say that I loved her style. I told her: you look like the girl in "Les Amours Imaginaires", the film by Xavier Dolan, did you see it? She thanked me for the compliments and she said that yes, she knew the movie and she liked it a lot. And then she added: You know, there is a guy at the party who really looks like him! But then there was such a mess that was impossible for her to find him. I mentioned this to my friend Gianluca, who loved the movie as much as I do, but it was too crowded even to recognise our own friends, so we gave up the research.
Few hours and many glasses of champagne later, I saw Gianluca rushing towards me. He looked very excited but also very serious: I have something to tell you. I just met Xavier Dolan, he is in the kitchen. I looked at him in disbelief: What do you mean, you just met Xavier Dolan? I swear, he is there, he answered. I could hear Gianluca’s voice telling me something else, but at that point I was already marching through the kitchen, an almost impossible mission considering the number of people around me. I really thought that my friend bumped into the clone of the film maker and, as a matter of fact, I saw this Dolan-look-a-like in the corridor, but then I was very closed to the kitchen, and so I decided to have a look anyway.

And I found myself in a movie.

The scene was exactly the same one at Nicolas party in Les Amours Imaginaires: I could hear Jump Around by The House of Pain in my head, while I was walking in slow-motion through the kitchen to reach Xavier Dolan, who was actually there, standing near the fridge. The 50s style girl was two steps away from him. We looked at each other, both mesmerized. Her eyes seem to say: Hey, do you see? There is the clone... and even the real one! We smiled, très complices. I introduced myself to Dolan, who was stunningly gorgeous in an elegant black suit: Hi, I’m Zazie, I can’t believe I am meeting you.
He smiled, politely. I am one of the co-producers of your next movie.
Sorry? What did you say? I repeated it. And then he seems very surprised: Oh, really? You did that on Internet through Touscoprod? Thank you!
You’re welcome, I am crazy about your movies. He smiled again. While talking in French, I realized I was using the vous, and then I felt ridiculous, because I am 20 years older than this guy, so I advised him that I was about to use the tu (how can I manage to say such stupid things in moments like that?). I told him I knew he was in town because of the Festival du Cinéma de Québec, I told him I had a cinema blog and that I wrote about him a lot and then I looked again at him: you know, I really can’t believe this is happening. I’m so happy. I guess he was a bit embarrassed by my enthusiasm, so to convince him that I was serious, I added: I think you’re a genius!
It was then that I heard another voice and that I saw somebody else standing near him: Xavier doesn’t like to hear that. I looked at that voice: I beg your pardon? I realized there was this friend of him who was trying to protect Dolan from the assault of possible fans. He explained me that they wanted to be quite, there, without people making much of a fuss about his presence. That was exactly what I was doing. I said: you don’t have to worry, 85% of guys and girls here are architects, and believe me, they don’t know who Xavier is. As a matter of fact, while I was talking to them, nobody tried to approach Dolan and I couldn’t see a line of screaming fans behind me. As usual, I was the only screaming fan in the place.
How long are you staying in Paris? I asked Xavier. This is my last night. I have a plane early tomorrow morning for Montreal.
Oh, I see. The other guy told me: this is why we have to go now.
Oh, ok. I shacked my hands again with Xavier, we smiled and then we all tried to reach the corridor. I really don’t know how me made it, since the number of people at that stage was behind human comprehension. But we did.

Gianluca came to see me, asking me all the details of our meeting.
But I couldn't hear what he was saying, because Dalida was singing Bang Bang to my hear in a very loud voice.

giovedì 9 dicembre 2010

Le Quattro Volte

Com’è, come non è, ogni tanto mi ritrovo al Cinéma 1 del Centre Pompidou a vedere film italiani davvero speciali. Qualche mese fa era successo con La Bocca del Lupo di Pietro Marcello, martedì scorso è riaccaduto con Le Quattro Volte di Michelangelo Frammartino.
Oggetto filmico non meglio identificato,
Le Quattro Volte racconta quattro vite molto diverse tra loro ma tutte in qualche modo strettamente legate: la prima è quella di un vecchio contadino che porta al pascolo tutti i giorni le sue capre. Siamo tra le alte colline della Calabria, dove il tempo sembra essersi fermato. La vita del contadino è monotona, povera, e scandita da movimenti sempre uguali. Parecchio malandato in salute, il contadino beve ogni sera una strana pozione a basa di acqua e di polvere raccolta dal pavimento della chiesa del villaggio, che tuttavia non sarà in grado di guarirlo. Dopo la sua morte, il film inizia a seguire le avventure di una capretta appena nata che fa parte del gregge del pastore. La capretta è bianca, buffa e tenerissima, e il film la segue dall’istante della nascita (in una scena molto potente nella quale esce letteralmente dal corpo della madra davanti allo spettatore), ai suoi primi passi, ai tentativi maldestri di socializzazione, fino al momento in cui si perde dietro al gregge sulle colline. Sola e disperata, la capretta si mette a dormire sotto un grande albero, un gigantesco abete che diventerà il protagonista della terza storia. Maestoso e perfetto, viene scelto dagli abitanti di un villaggio per La festa dell’Albero, quindi viene tagliato, scorticato e issato nella piazza del paese, dove tutto intorno la gente balla, mangia e beve. Una volta terminati i festeggiamenti, l’albero è fatto a pezzi e portato via da alcuni uomini. E’ l’inizio della quarta ed ultima storia: con una tecnica antichissima, i legni vengono accatastati, fatti bruciare lentamente e poi trasformati in nero carbone.


Sorprendente e spiazzante, Le Quattro Volte è la dimostrazione che il cinema ha ancora infinite cose da dire in altrettanto infiniti modi. Film privo di dialoghi (le voci sono solo un brusio di sottofondo, le parole sono indistinte, alla maniera dei film di Jacques Tati) e pàrco di essere umani (il pastore, i carbonai, gli abitanti del villaggio), Le Quattro Volte esalta l’aspetto primitivo e fondamentale della natura del cinema, quello della pura forza delle immagini. Si può restare affascinati o meno, da questo mondo, ma non si può fare a meno di entrarci, non si può davvero restarne fuori. E’ un po’ come un ritorno alle origini. I cicli della vita: quella umana, animale, vegetale e minerale, riuniti in un unico luogo, sotto lo stesso cielo, che è quello della Calabria ma potrebbe essere quello di un qualsiasi altro villaggio nel mondo, il silenzio del passaggio sulla terra di questi elementi (persino di quello umano, privato della parola, e quindi allo stesso livello degli altri), la spiritualità (una forza animista, naturale, rurale, quasi anti-religiosa) che inevitabilmente irrompe sullo schermo e fa piazza pulita di tutto il resto. Quello di Frammartino è un cinema che parla alla parte migliore degli esseri umani, quella a cui sembra rivolgersi ancora con tanta fiducia (come lo invidio!) un grande regista italiano come Ermanno Olmi. Ma in queste quattro volte io ci ho visto, soprattutto, qualcosa che mi ha ricordato da vicinissimo il cinema di Andrei Tarkovskij. Lo stesso credere alla natura come luogo della realtà e del metafisico, gli stessi ritmi lenti, ossessivi, la stessa ricerca di spiritualità, pagana o religiosa che sia. Qualcosa che ci ricorda un'evidenza troppo spesso dimenticata: l'essere umano non è il solo a vivere su questa terra, ed è probabilmente quello che che ne capisce di meno.
Alla fine della proiezione, Frammartino (quarantenne milanese di origini calabresi, alla sua seconda prova di regista dopo il film Il Dono del 2003), ha gentilmente risposto alle domande del pubblico presente in sala. Io ne avevo una ma non ho avuto il coraggio di farla. Eppure mi dispiace, perché mi ci arrovello ancora adesso. Avrei tanto voluto chiedergli: ma la capretta, che fine ha fatto la capretta??!


Grazie a Marianna, Jordi, Manù e Nandina che, nonostante una gelida, ventosa e piovosa serata parigina, non hanno fatto una piega nemmeno di fronte ad un film muto con caprette. Grandi!

domenica 5 dicembre 2010

Dove c'è Truffaut, c'è casa

Questa strada nel 17° arrondissement di Parigi non è dedicata, come molti potrebbero pensare, al regista francese François Truffaut.
Tuttavia, c'è un simpatico episodio che riguarda lui e questa via.
Un giorno Truffaut, giovanissimo, è entrato nella sede dei Cahiers du Cinéma, ha guardato i suoi amici seduti alle scrivanie e ha detto: "Buongiorno, mi chiama Truffaut, abito all'Hotel Truffaut, in Rue Truffaut!". Sono scoppiati tutti a ridere.
L'Hotel Truffaut non esiste più, ma ogni volta che passo per questa strada, che volete che vi dica, io mi sento a casa.
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