Visualizzazione post con etichetta Alfred Hitchcock. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Alfred Hitchcock. Mostra tutti i post

mercoledì 11 novembre 2015

Les Fauvettes

Paris is not, as everybody would like to think, the City of Love.
Paris is the City of Cinema. Or, even better: the City of Cinemas.
There are more movie theatres per person in this town than in any other place on planet earth, and the most incredible thing is: they’re always crowded.
If you love cinema, you have so many choices every week that you almost get nuts about it (a while ago I even wrote a post on this subject).
Last week, there were two news, one very bad and one very good, concerning cinemas in Paris.
The bad one is that La Pagode,
one of the most historical movie theatres in town, announced that it is closing down starting from today, November 11, and for an undefined time. 
And nobody knows what it will happened next.
I was particularly sad reading this.
I am in love with La Pagode, which has a hall and a magnificent garden decorated in old Japanese style, and where they always show intelligent and interesting movies:

 
 

Few weeks ago I was there for the avant-première of Umimachi Diary (Notre Petite Soeur) by Kore-Eda Hirozaku: the hall was fully booked, the film-maker was there for a debate at the end of his movie and the atmosphere was pretty magical.
I can’t believe I will not have more nights like this! 

For a cinema closing down, though, there is one opening… last week I was invited to the opening night of the cinema Les Fauvettes, a new Pathé multi-screenings set in the 13th arrondissement, which has a very particular characteristic: it shows just old movies!
Only in the City of Cinemas a dream like this could become true…
Imagine: a shiny and bright new cinema with 5 theatres showing your favourite movies from the past! 

The night I was there, together with a great cocktail, there was the possibility of choosing between these movies: Blade Runner-Final Cut (1982) by Ridley Scott, On the Town (1949) by Stanley Donen, Le Corniaud (1965) by Gérard Oury and Dial M for Murder (1954) by Alfred Hitchcock.
My friend Nico and I were very indecise, but in the end we opted for Blade Runner: we both saw the movie several times but so long ago that it felt like a previous life, so we thought it could be a good idea:
I was a bit afraid that the movie would have badly aged but, to my happy surprise, it wasn't.
Well, Rachael's dresses were too '80s, the computers of the future looked like the Commodore 74 and the Vangelis music was a bit too much, but besides these three elements, Blade Runner is still the great science-fiction movie it used to be.
This was the Final Cut version, the director's cut made by Scott in 2007, because the studios at the time obliged him to have a different final scene and, also, to add a voice off that has now been removed. 
I have to confess that I prefer the old end, but who knows, maybe it is just a sentimental thing. 
Anyway, it was so good to see the movie on a big screen and to know that, from now on, this will be the case for so many other old movies!
This is why I find Les Fauvettes' slogan particularly appropriate: Versions Restaurées, Émotions Intactes (Restored Versions, Intact Emotions).
You bet! 

domenica 18 gennaio 2015

La Dolce Vita (che se ne va)

Ammettiamolo : non è stato il miglior inizio d’anno possible.
Aver vissuto quello che abbiamo vissuto a Parigi la scorsa settimana, avrebbe rattristato davvero chiunque. Per qualche giorno, tutto è passato in secondo piano: le nostre vite, i nostri problemi, il nostro quotidiano. Atterriti, sommersi dagli eventi, ci siamo trascinati stremati fino alla manifestazione di domenica pomeriggio. Che certo è stato un momento bellissimo: tutta quella gente per strada, quel desiderio di restare uniti, compatti, quel sentimento di dover dire qualcosa di importante al resto del mondo.
Negli stessi drammatici giorni degli attentati, sono morti a distanza di poco tempo l’uno dall’altra due attori che appartenevano un po’ ad un’altra era, sia del cinema che del mondo: Rod Taylor

e Anita Ekberg
Australiano il primo, Svedese la seconda, avevano fatto fortuna, rispettivamente, a Hollywood e in Italia. A sentire della loro scomparsa, mi sono rattristata ancora di più.
Era un po’ come se l’ultimo barlume di innocenza e spensieratezza se ne fosse andato via da qui, trascinato insieme a tutto il resto in quel baratro buio e profondo a cui assomiglia sempre più spesso il mondo moderno. La Dolce Vita (1960), il film che ha creato il mito della Ekberg, è sì uno dei film più disperanti della storia (l’ho rivisto di recente e sono rimasta impressionata dalla sua angosciosità), ma nel nostro immaginario collettivo sarà sempre legato al mito dei paparazzi, di Via Veneto, di Roma quando era la città più bella del mondo, dell’Italietta della fine degli anni ’50, di un paese in cui c'era ancora speranza, il boom economico, Cinecittà, Hollywood sul Tevere, e dove due si potevano buttare nell'acqua della Fontana di Trevi dando vita ad un'immagine iconica riconoscibile da chiunque in qualunque parte del pianeta Terra:
La Ekberg, Dolce Vita a parte, non ha fatto una grande carriera. E lo stesso si può dire di Rod Taylor, che viene soprattutto ricordato per il suo ruolo in Birds (1963) di Alfred Hitchcock:
Io però l'ho notato in un altro film, sconosciuto ai più, scoperto per assoluto caso quando ero molto giovane e che ho sempre adorato: Sunday in New York (1963) di Peter Tewksbury:
Sunday in New York è una commedia romantica di quelle che si facevano solo una volta: ben scritta, con dialoghi brillanti e intelligenti, situazioni buffe e una morale da e tutti vissero felici e contenti
Che sollievo! Qui, come simpatico bonus, c'è un'ambientazione anni '60 che è seconda in delizia solo a Mad Men. New York non è mai stata così bella, e l'appartamento in cui si svolge quasi tutto il film è talmente meraviglioso che il desiderio di trasferirsi subito a vivere lì e farsi un Martini Cocktail sorge spontaneo dopo due secondi netti che lo si guarda. 
L'alchimia tra i due protagonisti, Rod Taylor e Jane Fonda (di una bellezza strepitosa), dà il tocco finale al tutto.
Ho iniziato a sognare di vedere New York guardando quel film, e posso assicurarvi che ancora oggi, e ogni qual volta mi è capitato di andarci, la domenica è il mio giorno preferito per stare in città. Passeggio per le strade di Manhattan e ripenso alla canzone di Peter Nero che fa da colonna sonora al film, e mi dico che la vita è ben strana. 
I film ci guidano, ci trasportano, ci accompagnano, e non ci lasciano mai.
La Dolce Vita se ne va, il cinema resta.


lunedì 15 settembre 2014

Moon River (o dell'utilità del cinema)

Me la prendo sempre un po' quando sento dire che il cinema è inutile.
Inutile nella vita di tutti i giorni, intendo. 
In effetti, a che cosa vuoi che ti serva, in termini pratici, sapere a memoria le canzoni di Les Demoiselles de Rochefort di Jacques Demy? O i dialoghi tra James Stewart e Grace Kelly in Rear Window di Hitchcock? O conoscere il nome del magnetofono con cui Truffaut e Chabrol registravano le interviste ai loro registi preferiti?
A nulla, presumibilmente (o forse a vincere un quiz su Truffaut, se solo esistesse).  
E invece ecco che, quando anche la vostra Zazie stava per soccombere ad una sana dose di cinismo e arrendevolezza alla vita, salta fuori - nella dura lotta della magia del cinema contro la banalità del mondo - l'alleato meno prevedibile che ci sia: un neonato di tre mesi e mezzo.
Com'è possibile? - vi chiederete giustamente voi.
E' possibile, credetemi. E' successo che sabato pomeriggio ho fatto la baby-sitter di Giacomino, il figlio di miei cari amici qui a Parigi. I suoi erano in mezzo ad un trasloco e mi avevano chiesto una mano per dargli un'occhiata, mentre loro caricavano e trasportavano scatoloni. Ad un certo punto, siamo rimasti da soli in casa io e Giacomo e vi assicuro che intrattenere un bimbo così piccolo non è facile.
Sua mamma mi aveva detto che gli piace molto sentire la musica, ma lo stereo era già inscatolato, e fargli sentire le canzoni dall'I-phone mi sembrava brutto.
Così guardo negli occhi Giacomino e, non so perché, ma mi viene da pensare che potrebbe piacergli Moon River di Henry Mancini, la canzone che canta Audrey Hepburn in Breakfast at Tiffany's.
Non chiedetemi come, ma mi ricordavo a memoria quasi tutto il testo, e ho cominciato a cantarla, dondolando dolcemente Giacomino. E boum! Gli è piaciuta talmente tanto che quasi si metteva a cantarla con me (giuro che mi accompagnava con dei piccoli suoni bellissimi). Non abbiamo fatto altro per ore. Io non avevo più voce, ma lui sembrava felice, e i suoi hanno finito il trasloco. 
Piccoli cinéphiles crescono.
E voi non mi venite ancora a dire che il cinema non serve a niente!   

lunedì 19 maggio 2014

Le Musée Imaginaire d'Henri Langlois

Ho sempre amato la Cinémathèque Française
Per me è come un punto fermo, una stella che brilla e che indica il cammino, una certezza assoluta in un mondo che se ne va un po’ per conto suo. Anche solo pronunciarne il nome mi evoca tutto un universo parallelo che non saprei bene a cos’altro paragonare nella mia vita.
Ovviamente, ho imparato ad amarla grazie a Truffaut e i suoi amici, gente che, ammassata nelle prime file e più spesso per terra sotto lo schermo, era capace di vedersi anche 4 film di fila.
Tutti questi matti che passavano la loro vita nei dintorni dello schermo buio, avevano trovato casa, alla Cinémathèque, e avevano anche trovato un padre "spirituale", un signore grasso dall’aria simpatica che adorava il cinema quanto loro e che quel luogo lo aveva creato dal nulla: Henri Langlois.

Nel centinario della sua nascita, la Cinémathèque gli dedica, giustamente, una bella mostra (la potrete vedere fino al 3 Agosto!), in cui si ripercorre la vicenda umana e professionale di questo cinéphile scatenato.
Nato nel 1914 a Smirne, in Turchia, e rientrato a Parigi con la famiglia nel 1922, Langlois si appassiona alla settima arte sin da giovanissimo. Per protestare contro il padre che gli vuol far fare a tutti i costi degli studi di diritto, il ragazzo consegna pagina bianca all’esame finale delle superiori, e se ne va al cinema come se niente fosse. Giusto per dirvi il tipo. Quasi subito capisce di avere una missione, che poi è quella di cercare e conservare le copie dei vecchi film che rischiano di sparire per sempre dagli schermi. Insieme all’amico Georges Franju, nel 1936, dà vita alla Cinémathèque, che negli anni cambierà diverse sedi e si ingrandirà sempre di più. Langlois, oltre che bobine di film, si mette anche a collezionare cineprese, poster, e altri oggetti. Questi costituiranno la base per la creazione di un piccolo museo al quale contribuiranno diversi registi.
Famosa, ad esempio, è rimasta la donazione di Hitchcock. Un giorno del 1960 un impiegato della Cinémathèque ha aperto un pacco appena arrivato dall’America e con sua grande sorpresa (ed orrore) ci ha trovato dentro un teschio. Pochi giorni dopo, Langlois riceve una lettera da parte di Hitchcock: "Spero che le sia piaciuto il mio regalo". Era il teschio della madre di Anthony Perkins in Psycho:
Il destino di Langlois si intreccia a quello dei giovani regista della Nouvelle Vague soprattutto nella sede “storica” del Palais de Chaillot. Quando nel Febbraio 1968 l’allora Ministro della Cultura André Malraux decide di sospendere Langlois dalla sua funzione di direttore della Cinémathèque accusandolo di poca accortezza nella gestione, Truffaut & Co., compatti, si schierano a favore di Langlois e iniziano una campagna per sostenerlo. Tutti i registi del mondo sono con loro: Chaplin, Hitchcock, Kubrick, Welles, Buñuel e molti altri scrivono in suo favore, mentre davanti ai cancelli chiusi della Cinémathèque, migliaia di persone manifestano in favore di Langlois:
Truffaut, che in quel periodo sta girando Baisers Volés, la mattina va sul set e il pomeriggio a manifestare. E finirà con il dedicare il film proprio a lui. Guardate qua:
Dopo poco tempo Malraux, sconfitto, dovrà accettare di far reintegrare Langlois nella sua funzione. Il cinema ha trionfato. “L’Affaire Langlois”, è concluso!
Truffaut, Léaud e Langlois
Insomma, spero proprio di avervi fatto venire voglia di andare a vedere questa mostra, perché sarebbe un peccato perderla, e perché è un po' grazie ad un tipo bizzarro come Langlois se oggi possiamo ancora godere di alcuni film che hanno fatto la storia del cinema.
Accorrete numerosi, gente!



mercoledì 15 maggio 2013

The proper clothes

I don’t know about you, dear readers, but I personally consider the way people are dressed in movies (and in real life) very important.
It is not by coincidence that my biggest passion in life, besides cinema, is vintage fashion.
In particular, I adore dresses from the ‘50s and '60s.

From the ‘70s on, just forget about them. 
This is why I’m having so much trouble at the moment looking at the Season 6 of Mad Men
Set in 1968, things are getting worse and worse: where are those fabulous dresses that Peggy, Betty and Joan used to wear in 1954? 
And I always have in mind that amazing dialogue between James Stewart and Grace Kelly from one of my favourite movie of all time, Rear Window by Alfred Hitchcock:
Jeff: 
Those high heels would be a lot of use in the jungle, and those nylons and six-ounce lingerie..
Lisa: Three-ounce... 
Jeff: Well, they'd be very stylish in Finland, just before you froze to death. Begin to get the idea? 
Lisa: If there's one thing I know, it's how to wear the proper clothes. 
Well, to avoid thinking about the ugliness of modern fashion, I thought to share with you my TOP 5 of the Best Dressed Women in the whole cinema history: 

N. 5
JEAN SEBERG in A BOUT DE SOUFFLE by Jean-Luc Godard (1959)
 
The white t-shirt of the New York Herald Tribune on the Champs-Elysées, the striped dress and top, the short haircut. The modern style is born. And the rest is history!
N. 4
MAGGIE CHEUNG in IN THE MOOD FOR LOVE by Wong Kar-Wai (2000)
Her body is the most fascinating silhouette of the cinema history. Wrapped in these magnificent chinese style dresses, it is almost too beautiful to look at. The word classy
 has been invented for her!
 N. 3
KIM NOVAK in VERTIGO by Alfred Hitchcock (1958)
Double role for Kim Novak but just one genius behind her absolutely fabulous collection of clothes: Miss Edith Head. I have vertigo looking at them!  

 N. 2
GRACE KELLY in REAR WINDOW by Alfred Hitchcock (1954)
The woman who knew "how to dress the proper clothes", it is showing exactly what she meant in this movie. The dresses are (again!) by Edith 
Head. Simply irresistible!
N. 1
AUDREY HEPBURN in SABRINA by Billy Wilder (1954)
She is THE Best Dressed Women of the human history, not only of cinema, and I could have named ANY of her movies, but the dresses of Sabrina (by appointment to his majestyHubert de Givenchy) are just to die for. Elegance, is an attitude!

If you want to know more about the vintage dresses I like (and many other things), you can always have a look at Zazie's PINTEREST page!

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...