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martedì 8 aprile 2014

Cléo de 5 à 7


L’ho scritto spesso, in questo blog: di donne che fanno cinema ce ne dovrebbero essere molte di più, e spero che questo desiderio un giorno si trasformi in una realtà acquisita. 
Nel frattempo, posso dire che la qualità compensa parecchio la quantità. 
Sono rare le registe donne scarse. Quasi non me ne viene in mente neanche una. E quando penso a quella che potrebbe essere un modello per tutte, la vera “precorritrice”, penso subito a lei: Agnès Varda, classe 1928.
Una donna di questa età, direte voi, a 86 anni starà a casa a godersi la pensione.
E invece no, a parte il fatto che continua a fare film, trova anche il tempo di andare nei cinema di Parigi a presentarli. Da pochi giorni infatti è possibile rivedere, in alcune sale della capitale, il capolavoro assoluto della Varda, un film del 1962 recentemente restaurato: Cléo de 5 à 7.
Sono andata a vederlo la settimana scorsa allo Champo, e prima del film Agnès Varda è venuta a fare una piccola, deliziosa spiega. Mi sono amaramente pentita di non averla filmata, perché quello che è riuscita a dire in 4 minuti di presentazione, era di una intelligenza e di una delizia rare. I capelli metà bianchi metà di un violetto aubergine, la Varda parlava come un piccolo elfo: divertente, coinvolgente, buffa, ha detto cose profonde con una leggerezza disarmante.

"Questo film parla di bellezza e di morte", ha esclamato concludendo con un gran sorriso e con l’aria sbarazzina. Come si fa, dico io, a non trovarla irresistibile?
Agnès Varda allo Champo, 1° Aprile 2014

Florence ‘Cléo’ è una giovane cantante di successo di 25 anni. Corteggiata, di successo, giovane e bella, non le manca niente per essere felice, ma in questo primo giorno di primavera del 1961, Cléo è angosciata e impaurita. Sta infatti aspettando i risultati di un’analisi medica fatta qualche giorno prima e che le saranno comunicati proprio quella sera: potrebbe esserle diagnosticato un cancro. Il film segue, quasi minuto per minuto, le due ore che la separano da quel momento. Cléo non riesce ad aspettare tranquilla a casa e quindi, dopo aver provato qualche pezzo con i suoi musicisti, se ne va e cerca di distrarsi come può: fa acquisti, beve qualcosa in un caffé, va a trovare un’amica, esce con lei, va a camminare in un parco. E’ qui che incontra un perfetto sconosciuto, un giovane soldato in licenza che sta per tornare in Algeria (quindi ancora più spaventato di lei), che la convincerà ad andare insieme a lui all’Ospedale per conoscere i risultati delle analisi.
Rohmer ha scritto: Si è moderni solo se lo si merita.
Credo che questo a Cléo spetti di diritto: raramente un film è stato così moderno nella sua forma come nel contenuto. Mi sono spesso chiesta perché La Nouvelle Vague abbia avuto tanta influenza sui film di oggi (più di qualsiasi altro movimento cinematografico), e forse la risposta sta nella particolare capacità dei suoi registi a trasformare la materia più pesante in immagini super leggere. Questo loro uscire per le strade, una camera a spalla, due luci, pochi attori, mettersi al tavolino di un caffé e parlare di vita, amore, morte, filosofia, amicizia, felicità, dolore, e poi magari alzarsi, cantare una canzone e ballare. 

Prima di loro nessuno faceva cinema così, e mi verrebbe da dire che pure dopo sono stati pochi quelli che l’hanno fatto con tanta grazia e stile.
In Cléo c’è un breve, divertentissimo film in bianco & nero tipo ridolini che, per stessa ammissione della Varda, è stato inserito per stemperare un po’ la grande tristezza che pervade il film. La cosa carina, è che i protagonisti sono gli amici della Varda, che di nome fanno Jean-Luc Godard, Anna Karina, Sami Frey, Jean-Claude Brialy. E ad altri amici sono affidati delle piccole ma gustose parti: Michel Legrand (il leggendario compositore di tutte le musiche dei film di Jacques Demy, il marito di Agnès Varda) è il musicista di Cléo, mentre Raymond Cauchetier (IL fotografo della Novuelle Vague, è a lui che si deve l’epocale scatto di Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo sugli Champs-Elysées ai tempi di À bout de Souffle) è il proiezionista fidanzato dell’amica di Cléo che fa vedere alle ragazze il film ridolini:



Cléo è un film capace di farti assistere al miracolo di un cambiamento profondo nel giro di un paio d’ore. La giovane cantante delle prime scene del film, non è certamente la stessa che sta seduta su una panchina nel giardino di un ospedale alla fine. Cléo è passata attraverso tutte le fasi: dalla negazione alla disperazione, dal cercare gli sguardi ammirati degli altri al nascondersi al riparo da tutti, dalla spensieratezza alla rassegnazione. Ha soprattutto capito l'importanza di vedere, ascoltare, parlare con gli altri. Perchè è la presenza degli altri a fare la differenza nelle nostre vite. E questo valeva negli anni ’60 ma anche, e forse soprattutto, nel 2014.
Cléo (Corinne Marchand)


Non lo faccio spesso, ma vorrei dedicare questo post a qualcuno.
Vorrei dedicarlo a Sugako, che ci ha lasciato in questi giorni.
Una donnina speciale, dolcissima e super gentile, che non avrebbe certo avuto bisogno della diagnosi di una malattia grave per capire la bellezza del mondo e l’importanza degli altri. Perché questi valori ce li ha sempre avuti. E li ha regalati in abbondanza a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrarla. Io l’ho avuta, questa fortuna, e so che adesso mi mancherà per sempre. Ma so anche che siamo in tanti a portarla nel cuore. Come un piccolo film a colori che possiamo andare a riguardare ogni qual volta la vita ci sembrerà un luogo troppo buio e troppo triste.
ありがとうございます, Sugako-san! (Grazie, Sugako!)
 

martedì 15 dicembre 2009

ANNA

E proprio quando pensavo di sapere tutto ma veramente tutto della Nouvelle Vague, ecco che spunta fuori un film per la TV del 1967 di cui ho sempre ignorato l'esistenza: Anna, di Pierre Koralnik.
L'ho scoperto grazie al mio settimanale preferito, Télérama, il cui acquisto ogni mercoledi mattina all'edicola di Rue Burq mi riempie di una gioia un po' sconsiderata. Sull'inserto speciale dedicato ai regali di Natale pubblicato un paio di settimane fa, ecco che trovo la recensione di un cofanetto il cui sottotitolo avrebbe potuto essere: scritto, diretto e interpretato espressamente per far felice Zazie.
Allora, andiamo con ordine: in questo cofanetto (una meraviglia che sembra un vecchio LP, con una grafica perfetta) ci potete trovare un DVD, un CD e una serie di fotografie in bianco & nero che come le vedete le volete già incorniciare e appendere in salotto.
Ovvio, vi starete chiedendo come mai c'è un CD, e la risposta è molto semplice, c'è perché questo è un film musicale alla Jacques Demy (del resto il suo capolavoro, Les Parapluies de Cherbourg, è del 1964, quindi immagino che l'influenza all'epoca fosse fortissima) ma a scriverlo, comporre la colonna sonora e avere una piccola parte in questo film è niente-poco-di-meno che il grande Serge Gainsbourg.
Gli interpreti principali, invece, sono Anna Karina (all'epoca moglie di Jean-Luc Godard e volto femminile per eccellenza della Nouvelle Vague) e Jean-Claude Brialy (che con Jean-Pierre Léaud è stato il volto maschile più rappresentativo dello stesso movimento).
Il film, che si avvale dei dialoghi di Jean-Loup Dabadie (diventato poi famoso come sceneggiatore di tanti straordinari film di Claude Sautet), racconta la storia di Serge, un pubblicitario di successo, che un giorno per caso fotografa in una stazione parigina il volto di una ragazza e se ne innamora perdutamente. Per ritrovarla, stampa delle fotografie giganti (e vai di Blow Up) che fa appendere per tutta la città, ma non si rende conto che in realtà quella ragazza lui la conosce. E' Anna, una giovane che lavora come disegnatrice nella sua stessa agenzia, una tipa dall'aria un po' buffa e sognatrice, che nasconde il volto dietro dei grandi occhiali tondi alla Corbusier (ecco perché lui non la riconosce). Gainsbourg interpreta invece l'amico dandy e très blasé di Serge, un po' voce narrante, un po' testimone lievemente cinico dell'ossessione di Brialy.
Insomma, la trama non è niente di che, ma il film è eccezionale.
Perché c'è una libertà, un accumulo di idee, un nuovo modo di rappresentare i sogni, i sentimenti, le ossessioni, le stravaganze e i desideri che ancora oggi, a distanza di 40 anni, suonano assolutamente moderni. Insomma, sono gli anni '60 in tutto il loro splendore, con un pizzico di '7o e le prime avvisaglie di psichedelia.
Visivamente questo film è un inno alla gioia di vivere: le strade di Parigi non sono mai state così meravigliose (ma perché hanno cambiato quegli autobus, qualcuno me lo spiega?), l'esplosione di pop art è contagiosa (il balletto iniziale, una specie di versione video di un quadro di Pollock, e tutta la scena surreale del finto funerale di Brialy), gli abiti sembrano usciti da una collezione di Yves Saint Laurent e Courrège, i balletti sono di un'innocenza disarmante, il cameo di Marianne Faithfull pure e Gainsbourg che fuma una gitane seduto al caffé con cappotto color cammello... eh, niente, quello è di una classe, di un'eleganza e di un carisma che si capisce perché in Francia lo venerano come Gesù.
Le sue canzoni, poi, sono dei capolavori. E non a caso alcuni pezzi (tutti cantati dagli interpreti del film) sono entrati nella storia della musica, come il famosissimo "Sous le soleil exactement".
E alla fine della visione si resta, come sempre in questi casi, con la semplice domanda: ma perché al giorno d'oggi in un posto come l'Italia è impossibile trovare in TV (oddio, pure al cinema...) questa libertà assoluta, questa voglia di rischiare, osare, sperimentare, mischiare i generi, elevare il pubblico e non farsi trascinare dal gusto corrente? Insomma di andare oltre, di essere avanti. Forse si potrebbe mandare qualche sceneggiatore italico in America, dove in questi ultimi anni con le serie TV stanno facendo quello che la Nouvelle Vague faceva con il cinema negli anni '60. Mah...
Nel frattempo, per consolarvi, vi consiglio la visione di Anna, che Télérama ha definito "il telefilm più leggendario di tutta la storia del piccolo schermo francese".
Un mythe, exactement...
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