Swedish actress Ingrid Bergman was born today 100 years ago.
A great actress, an amazing and stunningly beautiful woman, she worked with some of the best film-makers of cinema history during her long and rich career. She could play anything: she could be intense, funny, mysterious and seductive in the most perfect way.
Of all her movies, these are the ones that Zazie loves in a very special way:
Casablanca by Michael Curtiz (1942)
Notorious by Alfred Hitchcock (1946)
Stromboli by Roberto Rossellini (1950)
Europa 51 by Roberto Rossellini (1952)
Viaggio in Italia by Roberto Rossellini (1954)
Indiscreet by Stanley Donen (1958)
Goodbye Again (Aimez-vous Brahms?) by Anatole Litvak (1961)
Cactus Flower by Gene Saks (1969)
On my kitchen's wall, I have a picture of Ingrid Bergman that I simply adore.
It is taken from Indiscreet, and it shows her smiling half hidden by the door, with her own kitchen in the back ground:
I don't know why, but that picture always puts me in a very cheerful mood.
I see it every day, and I think it is the best Good Morning I can possibly have.
So thank you, Ingrid, for all the joy you gave us just being you on a silver screen.
E 100 di questi giorni!
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sabato 29 agosto 2015
giovedì 25 giugno 2015
Più buio di mezzanotte
Mi piace tanto questa cosa che gli amici mi segnalano dei film da vedere, sapendo quanto io ami il cinema, e sapendo anche che scrivo questo blog.
L’altra sera, su invito del mio amico Enzo, sono andata all’MK2 Beaubourg per l’avant-première (seguita da dibattito con il regista) del film italiano Più Buio di Mezzanotte, di Sebastiano Riso.
Il film, selezionato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2014, è uscito in questi giorni in tutte le sale francesi.
Il film racconta la storia di Davide, un ragazzino di 14 anni che vive a Catania con la sua famiglia: padre, madre (quasi cieca) e fratellino più piccolo. Siamo negli anni ’80, e Davide non è un ragazzino come tutti gli altri: ha una sensibilità ed un aspetto speciali. Ma se la madre lo ama per quello che è, il padre non è disposto a tollerare un figlio che sembra una femmina e coltiva interessi del tutto estranei a quelli degli altri ragazzi della sua età. Quando il padre distrugge il piccolo mondo creato dal figlio in soffitta (un collage di icone pop dalla sessualità ambigua come David Bowie e Boy George), il ragazzo capisce di dover prendere una decisione radicale e se ne va di casa. Solo e senza amici, Davide finisce a Villa Bellini. Un parco che di notte è frequentato dai reietti della società: barboni, poveracci, e ragazzi come Davide che, rifiutati dalle famiglie, si arrangiano per tirare a campare, facendo la vita e rubando.
E’ il modo più duro e spietato per entrare nell’età adulta, è un posto più buio di mezzanotte, ma è tutto quello che Davide ha.
Ispirato alla storia vera della Drag Queen romana Fuxia (presente in una scena del film nella parte della cantante Louvre), il film di Riso è un bellissimo esempio di film italiano privo di quei difetti che si solito infestano le opere prime provenienti dal nostro paese. Film di (difficilissima) formazione e su un tema tanto delicato quanto complesso, il regista sembra avere ben chiaro in testa cosa raccontare e come raccontarlo agli spettatori.
Il rischio di fare degli amici di Davide una simpatica macchietta era appena dietro l’angolo, ad esempio, ma Riso riesce nel piccolo miracolo di farne dei personaggi veri e vivi (è perchè li “guarda” con rispetto e ammirazione) a cui ci si affeziona subito, lasciandoci trascinare nel loro colorato girone dantesco, metà infernale metà irresistibile.
Del resto, i modelli a cui Riso dichiara di ispirarsi sono tra i migliori: Les 400 coups di Truffaut e Germania Anno Zero di Rossellini. Esempi di film in cui non si fa alcuna concessione alla crudeltà del mondo e degli adulti, e nei quali ragazzini che dovrebbero essere protetti e aiutati si ritrovano a dover affrontare da soli situazioni più grandi di loro, trasformando per sempre il loro sguardo sulla vita.
L’altra trappola che Riso riesce ad evitare, è quella di non cadere nel sordido. Il film non fa sconti su quello che succede a Davide, ma l’occhio del regista è attento a far capire senza mostrare, risparmiando all’opera quell’abbondanza di violenza (il più delle volte inutile e compiaciuta) spesso troppo presente in molte pellicole che raccontano storie dure.
Questo è uno di quei film che con l’attore sbagliato avrebbe rischiato il disastro, ma per fortuna è stato trovato Davide Capone. Il regista ha raccontato di aver fatto il provino a centinaia di ragazzini senza mai incontrare quello giusto, e poi ha visto per caso Davide nel cortile di una scuola e ha capito di aver finalmente trovato il suo protagonista. Accanto a lui, alcuni attori nostrani molto bravi: Micaela Ramazzotti nel ruolo della madre, Vincenzo Amato in quello del padre e Pippo Delbono in quello di un inquietante magnaccia.
Uscito in Italia con un assurdo e ridicolo divieto ai minori di 18 anni (ma questi tutori dell’ordine morale lo sanno che cosa si vede su internet di questi tempi???), poi ridimensionato ai minori di 14, il film è rimasto poco nelle sale italiane ma ha goduto di un passa parola che lo ha fatto diventare uno dei film più ricercati in rete, e all’estero è stato invitato a tutti i festival che contano.
Io l’ho trovato un film spiazzante (ma anche molto commovente) e necessario, soprattutto in un paese come l’Italia, dove c’è gente che ha ancora il coraggio di organizzare manifestazioni idiote come il Family Day per spiegarci che ragazzi come Davide non hanno il diritto di esistere, o tutt’al più possono esistere ma rimanere discreti e nell’ombra.
Sembra sempre più buio di mezzanotte, dalle nostre parti, ma io spero tanto che un bel giorno, a voi gente convinta di essere superiore e nel giusto, un urlo liberatorio e una grande risata vi seppelliranno.
Nel frattempo, noi ci consoleremo cantando a squarciagola la Rettore. Tiè!
giovedì 11 giugno 2015
Jean Gruault, L'ultimo dei Romantici
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Truffaut e Gruault sul set di L'Enfant Sauvage (1970) |
Di prassi, si è sempre circondato di uno o più sceneggiatori con i quali collaborava regolarmente: Marcel Moussy, Jean-Louis Richard, Claude de Givray, Suzanne Schiffman, Jean Aurel e... Jean Gruault. E’ proprio con quest’ultimo che ha avuto la collaborazione più lunga e “produttiva”.
Cinque film scritti insieme: Jules et Jim (1962), L’Enfant Sauvage (1970), Les Deux Anglaises et le Continent (1971), L’Histoire d’Adèle H (1975) e La Chambre verte (1978).
Praticamente cinque capolavori.
E’ di questi giorni la notizia della morte di Gruault, avvenuta all’età di 90 anni (era nato fuori Parigi nell’Agosto del 1924).
Truffaut non era il solo regista della Nouvelle Vague con cui Gruault aveva lavorato, anzi... Da Rivette (Paris Nous Appartient e La Religieuse), passando per Godard (Les Carabiniers), sino ad arrivare ad Alain Resnais (con il quale scriverà tre film: Mon Oncle d’Amérique, La vie est un Roman e L’Amour à mort), Gruault sarà uno sceneggiatore di predilezione per tutti i registi del gruppo.
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Gérard Depardieu in Mon Oncle d'Amérique (1980) |
Grualt aveva per altro scritto due sceneggiature per Truffaut che non sono mai state girate dal regista ma che sono state riprese da altri, in particolare, all’ultimo Festival di Cannes, Valérie Donzelli ha presentato Marguerite & Julien, una storia d’amore tra due fratelli.
Uomo di grande cultura e dal piglio molto ironico, lo sceneggiatore era un personaggio simpaticissimo. L'ho sentito parlare una volta alla Cinémathèque ad una tavola rotonda dedicata a Truffaut, e aveva subito rubato la scena agli altri partecipanti, con una sfilza di aneddoti e di battute, si era conquistato il pubblico in men che non si dica (date un'occhiata al filmato qui sotto per capire).
Se uno scorre la filmografia di Gruault, appare chiaro che a lui piacesse scrivere soprattutto di una cosa: della passione.
Quella con la P maiuscola, quella amorosa, quella eccessiva, quella che sconfina nella follia, quella così totalizzante da superare anche la morte.
Insomma mi viene da pensare che Jean Gruault fosse l’ultimo dei romantici.
Non a caso, c’è un film nella sua filmografia a cui io sono particolarmente affezionata, e che penso nessuno al mondo ricordi.
Si tratta di Australia, film del 1989 di un oscuro regista belga, Jean-Jacques Andrien, che Gruault ha scritto, niente poco di meno che, con (un allora sconosciuto) Jacques Audiard.
Il motivo per cui all’epoca mi ero precipitata a vedere il film, stava tutto nella scelta degli attori.
I protagonisti di questa love story segnata dal contrasto tra la luce, il calore, lo spazio sconfinato del paesaggio Australiano e il buio, il freddo e lo spazio ristretto del paesaggio Fiammingo, erano Fanny Ardant e Jeremy Irons.
Ancora oggi bellissimi, all’epoca facevano quasi male agli occhi talmente risplendevano di luce propria:
Stranamente, nel sentire la notizia, più che ad un capolavoro assoluto come Jules & Jim, è a questo strano film che ho pensato, perché in qualche modo di opere così, pur con i loro difetti, non se ne scrivono più.
Il romanticismo non è più quello di un tempo.
E senza Jean Gruault, lo sarà ancora meno.
lunedì 30 giugno 2014
Nel deserto non ci sono cinema
DeLillo è uno che di interviste ne rilascia pochissime. Questa l’aveva concessa perché stava facendo il giurato al Festival del Cinema di Estoril invitato dal produttore portoghese Paulo Branco. Era lì e ha chiesto a questi giornalisti francesi di raggiungerlo al ristorante dell’albergo. E’ rimasto con loro solo 40 minuti ma è riuscito a dire un sacco di cose interessanti.
DeLillo, ad un certo punto, si è messo a parlare di Salinger e del suo essersi ritirato dal mondo (argomento che gli interessa parecchio visto che è persona super schiva e si fa vedere in giro raramente), e ha pronunciato queste parole: “Ammiro questa sua capacità di scomparire. Accade spesso anche ai personaggi dei miei libri, ma io non potrei mai riuscirci. Scegliere un punto sperduto su una mappa, un deserto, ad esempio, e sparirci dentro. Non ce la farei. Perché? Perché nel deserto non ci sono cinema”.
Insomma viene fuori che DeLillo va al cinema tutti i pomeriggi. Da solo.
Viene fuori che questa malattia che ho io ce l’ha anche lui. Che cosa bellissima!
La sua frase mi ha ricordato un episodio abbastanza emblematico della mia vita: tanti anni fa ho trascorso le vacanze estive sull’isola di Stromboli, sottovalutando il fatto che su un’isola così piccola i cinema non esistono. Dopo qualche giorno, pensavo di morire. L’idea di stare in un posto in cui, fisicamente, non esistesse un luogo in cui le persone si sedevano davanti ad uno schermo, mi faceva uscire di testa. Hai voglia ad andare a fare la foto davanti alla casa in cui aveva vissuto Ingrid Bergman al tempo in cui girava Stromboli... era una particella di cinema infinitesimale che si esauriva in tempi rapidissimi.
Un giorno, allo stremo, scopro una piccola libreria con un bel giardino dove di sera proiettano su uno schermo un po’ artigianale i film fatti alle Eolie. Gaudio e gioia immensi! E ovviamente trascino tutta la banda di amici che era con me a vedersi Stromboli di Roberto Rossellini (ma vuoi mettere, vedere Stromboli con dietro lo Stromboli?) e L’Avventura di Michelangelo Antonioni. Insomma mi sono salvata! E capite bene che quando DeLillo dice che non vivrebbe mai nel deserto, con me sfonda una porta più che aperta.
Una sera a New York, devo raccontarvelo, mi sono ritrovata ad una cena dove c’era anche DeLillo.
In un momento in cui la conversazione aveva avuto un attimo di pausa, lui si era guardato intorno e aveva chiesto: “Qualcuno di voi per caso ha visto Hunger?”. Sono stata l’unica ad alzare la mano.
Non ci siamo detti niente. Ci siamo guardati, sorridendo.
Due che, mettili in un deserto, anziché l’acqua ti chiederanno un film.
p.s. Se anche voi siete fans di DeLillo, sappiate che ha messo da parte la sua proverbiale riservatezza per partecipare al Festival Letterario Le Conversazioni, di Antonio Monda e Davide Azzolini, che si tiene ogni anno a Capri l’ultimo week-end di Giugno e il primo week-end di Luglio. DeLillo sarà presente in Piazzetta Tragara sabato 5 Luglio. E ci sarà pure la vostra Zazie!
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