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giovedì 31 dicembre 2020

Film 2020

Quest’anno, si sa, è stato l’annus horribilis del cinema.
Le mie amatissime sale sono rimaste chiuse per la maggior parte del 2020 e, nonostante abbia cercato di vedere più film possibili, in sala ci sono stata solo 38 volte, quando di solito la mia media si aggira intorno alle 90-100.
Insomma un’ecatombe.
Per cui, a questo giro, non me la sento di fare una vera e proprio classifica, perché mi pare un anno non vissuto, un anno in cui non c’è stata gara o in cui, al limite, l’unica gara è stata quella della sopravvivenza.
Ma vi parlo volentieri di una manciata di film (10) un po’ particolari, provenienti da tutto il mondo, che magari non vi è capitato di vedere e, chi lo sa, magari vi viene voglia di scoprire. 
Eccoli qua, in ordine rigorosamente sparso:
La Llorona di Jayro Bustamante (Guatemala)
Ecco, vi è mai capitato di vedere un film guatemalteco? Scommetto di no, ma potete rimediare con questo ovni (che è la buffa parola che usano i francesi per dire UFO), assolutamente degno di nota. Non lo sapevo ma la storia recente del Guatemala assomiglia molto a quella del Cile, con abbondanza di genocidi, gente sparita e torturata ecc. ecc. Qui un generale che si è macchiato di cose orribili e la sua famiglia, accolgono in casa una donna delle pulizie che si scopre essere una Llorona, ovvero una Donna che piange, un fantasma vendicativo che non lascerà scampo a nessuno. A metà strada tra film di denuncia e horror, La Llorona è un film inusuale, disturbante e ipnotico, che non si dimentica facilmente.
System Crasher di Nora Fingschedit (Germania)
Sarà che è il film che ho visto alla riapertura dei cinema di Parigi a Giugno, ma questa pellicola mi ha letteralmente deliziata. 
Benni è una ragazzina di 9 anni che passa da una casa famiglia all’altra. E’ scatenatissima, irriverente, molesta e nessuno riesce a darle una calmata. Il suo unico desiderio è quello di tornare a casa dalla madre e stare con la sorellina e il fratellino, ma la madre non è in grado di gestirla e non se la sente di riprenderla a vivere con lei. Micha, un giovane educatore, cercherà di aiutarla in tutti i modi, ma chissà se c’è speranza per questa piccola ribelle…
Sfido chiunque e non affezionarsi a Benni: per quanto irritante e sfrontata, la vitalità, l’estrema fragilità e l’immenso bisogno d’amore di questa ragazzina sarà in grado di far sciogliere anche i cuori più duri.
Un Rubio (Un Biondo) di Marco Berger (Argentina)
Marco Berger, si sa, è uno dei registi preferiti di Zazie. 
Ogni film una gioia, ogni film un nuovo piccolo tassello di un percorso di grande coerenza artistica, visiva e tematica. E’ come se Berger, film dopo film, creasse una sua famiglia. 
Nel caso di Un Rubio, Berger racconta di due ragazzi, Gabo e Juan, che lavorano insieme in una falegnameria e condividono un appartamento alla periferia di Buenos Aires. Gabo, timido e impacciato, è vedovo con una figlia piccola che ha momentaneamente affidato ai suoi genitori e che vede regolarmente. Juan invece è sicuro di sé e con un gran giro di ragazze che vanno e vengono dall’appartamento. Tra i due, a poco a poco, nasce un’attrazione reciproca impossibile da negare nonostante, all’apparenza, siano entrambi eterosessuali. 
Adoro la maniera in cui Berger rappresenta la tensione erotica prima e poi la passione che divampa tra i due protagonisti. E adoro che ci sia sempre spazio per la tenerezza. Menzione speciale all’attore Gaston Ré per aver dato vita ad uno degli uomini più amabili che lo lo schermo ci abbia regalato in questi ultimi tempi.
Les choses qu’on dit, les choses qu’on fait di Emmanuel Mouret (Francia)
E’ un vero peccato che questo regista sia praticamente sconosciuto al di là dei confini transalpini, perché i suoi film sono sempre interessanti e quest’ultimo è, senza ombra di dubbio, il più bel film francese del 2020.
Il giovane Maxime, dopo una grave crisi sentimentale, lascia Parigi e va a passare qualche giorno nella casa di campagna del cugino François. Ad accoglierlo però (il cugino è stato trattenuto a Parigi da un imprevisto) trova solo Daphne, la ragazza di François, incinta di tre mesi. I due, perfetti sconosciuti, si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto e a condividere un’inaspettata quanto intensa intimità, fatta di lunghe passeggiate e altrettanto lunghe conversazioni. E il loro incontro non sarà privo di conseguenze.
Film sontuosamente rohmeriano, cesellato da dialoghi fiume, Les choses qu’on dit, les choses qu’on fait (Le cose che si dicono, le cose che si fanno) è come un cocktail che si degusta piano e che nasconde sapori inediti e sorprendenti. Niente è come sembra, in questo film, ed è bellissimo lasciarsi trasportare dall’imprevidibilità e dall’intensità degli eventi.
Gli attori sono tutti straordinari: Niels Schneider, Vincent Macaigne, Camélia Jordana e Emilie Dequenne sono un poker d’assi da non lasciarsi sfuggire.
Boze Cialo (Corpus Christi) di Jan Komasa (Polonia)
Ah, come sono belli i film Polacchi, peccato che ne arrivino sempre un po’ pochi!
Il giovane Daniel è appena uscito da un centro correzionale dove si è avvicinato alla religione e ha sentito “la chiamata”, ma la sua fedina penale gli impedisce di entrare negli ordini. Mandato a lavorarare nella segheria di uno sperduto paesino, per un equivoco viene scambiato per il nuovo prete: Daniel decide di mentire spudoratamente e si butta anima e corpo in questa sua nuova “missione”. E ovviamente non tutto andrà come previsto…
Originale e imprevedibile, Corpus Christi è un film dove trovano spazio diversi temi: la fede, il perdono, l’elaborazione del lutto, l’ipocrisia delle convenzioni sociali e le ragioni per cui vale la pena vivere. L’attore protagonista (il giovane Bartosz Bielenia) è eccezionale e comunque si sa, da Fleabag in poi, vogliamo vedere qualsiasi Hot Priest ci capiti a tiro!
Rocks di Sarah Gavron (UK)
Nella Londra contemporanea, la giovanissima Shola (detta Rocks), una ragazza di colore, e il suo ancor più giovane fratellino, devono fare i conti con la fuga della madre (il padre non si è mai visto) che, sopraffatta dal non saper provvedere per i suoi figli, si eclissa non si sa bene dove. Di fronte alle avversità della vita, anziché soccombere, Rocks, grazie alla sua forza di volontà e all’aiuto di alcune amiche, riuscirà a trovare sempre una soluzione agli enormi problemi che deve affrontare.
A metà strada tra Andrea Arnold e Ken Loach, la regista Sarah Gavron ci regala un film difficile, crudo e realistico ma anche pieno di vitalità e di ironia. Mai cupo, mai squallido, il film ci fa capire la vera lotta delle persone condannate in partenza a soccombere per riuscire a svoltare nella vita. E mette l’accento sull’importanza dell’amicizia come fonte, forse unica, di conforto e sostegno. Il gruppo di ragazzine è di una bravura eccelsa e il fratellino di Rocks è da adottare seduta stante.
Lingua Franca di Isabel Sandoval (US)
Che cosa ci può essere di peggio per uno straniero senza il permesso di soggiorno che vive nell’America di Trump? Essere uno straniero che nel frattempo è diventata una straniera. Olivia è una transgender immigrata clandestina filippina che abita a Brooklyn e si occupa di accudire un'anziana signora. Il suo terrore è quello di essere fermata dalla polizia per dei controlli: lei sta cercando disperatamente di trovare i soldi per un matrimonio “finto” che le permetta finalmente di avere la Green Card ma non è così semplice. Quando sulla scena compare il nipote dell’anziana di cui si prende cura e iniziano ad uscire insieme, si accende nella donna una speranza.
Scritto e diretto da Isabel Sandoval, al suo terzo film ma al primo firmato come Isabel (i primi due erano stati girati da Vincent), Lingua Franca è un film molto sincero su una situazione delicatissima e complicata. Senza essere ispirato alla sua vita, la Sandoval ammette però di aver conosciuto bene tutte quelle paure di cui si fa carico la sua Olivia. Un bellissimo ritratto di donna che vale la pena di scoprire.
Nichinichi kore kojitsu (Every day is a good day) by Tatsumi Omori (Giappone)
Noriko è figlia unica e non è mai stata particolarmente brillante, soprattutto se paragonata alla cugina Michiko, bella e popolare. Spinta dalla madre, mentre ancora sta finendo i suoi studi, la ragazza inizia a frequentare delle lezioni di cerimonia del té tenute dalla maestra Takeda-san. Dapprima un passatempo come un altro, a poco a poco per Noriko l’appuntamento settimanale con la maestra e le altre allieve diventa un punto fermo della vita, al punto che continuerà a frequentare le lezioni per oltre 24 anni. Mentre le stagioni si sussegguono all’apparenza sempre uguali, Noriko impara i gesti della cerimonia e tutto quello che hanno da insegnarle sull’esistenza umana.
Per me che adoro il Giappone e la cerimonia del té, questo film era praticamente un invito a nozze, se poi aggiungete il fatto che a causa della pandemia è saltato un mio agognatissimo viaggio nel Paese del Sole Levante, il gioco è fatto.
Ultima interpretazione dell’amatissima attrice dei film di Kore-Eda, Kirin Kiki (che qui è la maestra), Every day is a good day è un film che va gustato esattamente come una tazza di té durante la cerimonia: lentamente e pienamente. La bellezza e l’armonia dei gesti, la contemplazione dello scorrere delle stagioni, e quindi della vita, fanno il resto.
Kajillionaire di Miranda July (US)
Dal genio visionario e delirante dell’artista contemporanea/regista americana Miranda July (ve lo ricordate il suo meraviglioso Me, and you, and everyone we know?), arriva il film decisamente più improbabile dell’anno. Old Dolio (ma dove l’avrà trovato questo nome?), è una ragazza dall’aria grunge con dei genitori spiantati che vivono di piccoli e assurdi furtarelli. Non hanno neppure una vera casa in cui vivere, ma dormono in un ufficio in cui hanno messo dei materassi e che richiede delle cure particolari: a ore fisse, infatti, da una delle pareti cola della schiuma rosa che se non fermata inonderebbe tutto. Un giorno nelle loro vite irrompe Melanie, una ragazza sveglia e super sexy, che si unisce al gruppo per cercare di fare un po’ di soldi. E sarà grazie all'incontro con lei che Old Dolio scoprirà una nuova consapevolezza di sé.
Questo è uno di quei film per i quali le mezze misure non sono ammesse: o si accetta di entrare nel mondo inverosimile della July o tanto vale restarne fuori perché si rischia di odiarlo dal primo istante. Sarà che adoravo gli attori (Richard Jenkins e Debra Winger nella parte dei genitori, la pétillante Gina Rodriguez in quello di Melanie e la bravissima Evan Rachel Wood in quella di Old Dolio), ma io mi sono lasciata trascinare dall’assurdità e dalla tenerezza di questa strana famiglia.
Photograph di Ritesh Batra (India)
Dallo stesso regista di Lunch Box e Our souls at night, Ritesh Batra, Photograph racconta la storia di Rafiq, uno street photographer di Mumbai che si guadagna da vivere facendo foto ai turisti davanti al Gateway of India di Mumbai, e Miloni, una giovane studentessa di una famiglia benestante. Rafiq fa una foto a Miloni e, per una serie di strane circostanze, finisce per raccontare alla nonna, preoccupata dal fatto che il nipote alla sua età ancora non si sia sposato, che si è fidanzato proprio con Miloni, mostrandole la foto come prova. All’arrivo improvviso della parente in città, Rafiq si trova costretto a cercare Miloni per chiederle di aiutarlo.
Quello che amo di questo regista è il tocco leggerissimo che ha nel fare i suoi film. Le sue storie sembrano disperatamente cercare di raccontarci la tenerezza e la gentilezza che mancano al mondo moderno. I suoi personaggi, spesso taciturni e timidi, si aggirano per le strade brulicanti delle città indiane, con l’aria di stare cercando qualcosa che vada ben oltre le apparenze e le facili soluzioni. Di questo film ho adorato la scena finale (ambientata, guarda caso, in un cinema) che per me rimane uno dei ricordi più piacevoli di questo triste e sconsolato 2020.
Chi lo sa, forse la tenerezza dei fotografi indiani salverà il mondo!

E per augurarvi un Felice Anno Nuovo, cari lettori, scelgo il trailer di quello che è stato il mio film preferito del 2020, DRUK (Another Round) di Thomas Vintenberg, con uno straordinario Mads Mikkelsen. Un film in realtà piuttosto triste ma pieno di quella vitalità che è l'unica cosa a cui possiamo aggrapparci per affrontare questo 2021.
Happy New Year, everybody, and Cheers!!!

venerdì 10 luglio 2020

Ritorno al cinema


Ho scoperto di essere estremamente prevedibile, durante il lockdown.
Continuavano a piacermi le stesse cose che mi piacevano prima che tutto chiudesse.
Continuavo a pensare a quanto sarebbe stato difficile non vedere la mia famiglia e i miei amici, a non fare la valigia per andare da qualche parte nel mondo, a non girellare tra i banchi delle brocantes nelle strade parigine, e a non sedermi in una sala buia davanti ad uno schermo gigante. 

Ho soprattutto continuato a pensare che la vita nei film è sempre meglio di quella reale. Non avevo certo bisogno di un confinamento per esserne certa, ma tant’è. 
Per cui, in maniera del tutto prevedibile, lunedì 22 Giugno ero davanti al mio cinema preferito di Parigi che riapriva quel giorno le sue porte:
Il Cinéma des Cinéastes è un cinema indipendente a due passi da Place Clichy. Mi piace perché ha una programmazione geniale, perché la sala più grande è una delle più belle che ci siano in città, e perché al primo piano c’è un bistrot carino e davvero perfetto per quando vuoi bere o mangiare prima o dopo un film. 
Non eravamo in tanti, quel giorno, al massimo una ventina: c’eravamo io e la mia amica Giulia e altre persone che, come noi, avevano sofferto di questa mancanza più di quanto fossero disposti ad ammettere. Io per la verità lo avrei ammesso senza problemi.
Un’ossessione è un’ossessione, c’è poco da fare.
Ci guardavamo sorridendo con l’aria di quelli che fanno parte di una setta segreta la cui parola d’ordine sarebbe ovviamente Fidelio (persino per me che trovo Kubrick un po’ troppo freddino).
La cosa davvero speciale è che il gestore del cinema insieme ad alcuni rappresentanti dell’ARP (la Société civile des Auteurs Réalisateurs Producteurs) sono venuti a darci il benvenuto.
Hanno esordito dicendo: Siamo felici di vedervi, ci siete mancati!
Dalla sala si è levato un coro: Anche voi!!!
Proprio mentre stavano parlando, si è aperta la porta ed è entrata una signora dall’aria particolarmente felice. Ha guardato noi, ha guardato loro, e poi si è messa a dire a gran voce: Scusate se vi interrompo ma… ma quanto è bello essere di nuovo al cinema??!
Vabbé, era da non credere, sembrava proprio la scena di un film.
Noi siamo tutti scoppiati a ridere ed è partito l’applauso.
Insomma eravamo proprio felici (io mi sono anche un po’ commossa).
E poi la sala è diventata buia e ho ritrovato intatta quella sensazione che mi assale sempre ad ogni visione, in quell’istante preciso che non è più oscurità ma non è ancora cinema: la sospensione di possibile meraviglia, la rapida attesa di un altrove forse straordinario in cui si sta per entrare.
Da quando hanno riaperto i cinema, ammettiamolo, la programmazione non è un granché.
Tutti stanno aspettando l’autunno per far uscire i film “importanti”. Nel frattempo, hanno fatto riuscire tanti film che erano fuori al momento del lockdown, cosa che non mi ha aiutata perché io al cinema ci sono andata fino al giorno prima che chiudessero e quindi avevo già visto quasi tutto quello che mi interessava.
Comunque sia, sono molto felice dei primi film che ho già visto in questo periodo. 

Ho iniziato con un bellissimo film tedesco, opera prima della regista Nora Fingscheidt: System Crasher (titolo francese Benni). Film su una ragazzina di quasi 10 anni, Benni (appunto), che passa il tempo a farsi buttare fuori dai centri d’accoglienza perché troppo ribelle, troppo violenta, troppo intrattabile. Una magnifica figura di “ragazza selvaggia” tanto irritante quanto adorabile in cui i suoi educatori, di solito piuttosto bistrattati in questo genere di film, sono invece descritti con un’umanità e un’abnegazione esemplari e commoventi. La giovanissima attrice protagonista, Helena Zengel, poi, è di una bravura impressionante.

Il secondo film del post-confinement è stato una certezza, perché amo il lavoro di questo regista da tantissimi anni e so di andare sul sicuro, con lui. Si tratta dell’argentino Marco Berger, e del suo Un Rubio (Un Biondo, titolo francese Le Colocataire), una storia d’amore tra due ragazzi che condividono lo stesso appartamento e che vivono la loro sessualità in segreto. Quello che adoro dei film di Berger è che sono film semplicissimi, fatti di pochissimi elementi, pochi dialoghi, pochi gesti, pochi luoghi, con i quali però riesce ad ottenere la massima resa. Nel senso che questa essenzialità crea un’attenzione irresistibile, una tensione palpabile, e ogni movimento, ogni parola, diventano importanti. E poi pochi sono in grado come lui di rendere sullo schermo il desiderio nascosto, l’attrazione nascente, e il profilarsi di un sentimento che spesso deve essere non rivelato perché impossibile o troppo complicato da vivere.
Berger ha una sensibilità unica che è un vero piacere ritrovare sempre intatta sullo schermo.

Dall’Argentina sono passata a Brooklyn con il film Lingua Franca (titolo francese: Brooklyn Secret) di Isabel Sandoval, storia di una trans filippina (senza documenti in regola) nell’America di Trump.
Scritto, diretto, interpretato e montato dalla Sandoval, il film non è autobiografico ma la regista si è ispirata a quanto personalmente vissuto dopo la sua trasformazione da uomo a donna (avvenuta alla fine del suo secondo film, Lingua Franca è la sua terza opera). Film non perfetto ma di grande carica emotiva, non lascia mai indifferenti e fa capire molto bene l’angoscia di chi vive in situazioni precarie nell’era Trump.

Infine, sono stata ad un’anteprima dell’ultimo film di François Ozon: Eté ’85 (Estate 85), storia d’amore con tragedia tra due ragazzi nell’estate, appunto, del 1985. Mah… che volete che vi dica? Ozon è un regista che amo un film sì e uno no, ma è raro che lo trovi straordinario. Questa era la volta del film no. Purtroppo ho detestato dal primo momento l’atmosfera del film ma soprattutto la faccia e il modo di recitare di uno dei due attori, Benjamin Voisin (nuovo idolo delle folle qui in Francia). A parte un paio di momenti carini e la faccia di Valeria Bruni Tedeschi davanti al nudo di un fanciullo, un film che ho dimenticato nel giro di due minuti. E no, non è mai un bel segno. Ma non importa, l’importante è essere tornati al cinema.
L’importante è essere rinati.





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