Visualizzazione post con etichetta Martin Scorsese. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Martin Scorsese. Mostra tutti i post

lunedì 5 ottobre 2020

The Virtues

Non sarò mai abbastanza grata al settimanale francese Télérama che in questi 15 anni di vita parigina mi ha fatto scoprire una quantità incredibile di capolavori artistici (libri, film, dischi, mostre). Questa settimana la rivista ha colpito ancora, dandomi una dritta su una serie tv inglese che non so come mi era sfuggita, e che ho visto per intero ieri sera sul sito di arte.tv senza riuscire a staccare gli occhi dallo schermo (si tratta di 4 episodi, i primi 3 di circa 45 minuti e l’ultimo un po’ più lungo, di 75 minuti): The Virtues di Shane Meadows

Il protagonista è Joseph, un cinquantenne irlandese che vive da anni a Sheffield e lavora come manovale nelle costruzioni. Joseph ha un figlio di 9 anni, l’essere umano a cui è più legato al mondo, che proprio all’inizio della storia si trasferisce a vivere in Australia con la madre ed il nuovo compagno di lei (che si intuisce avere mezzi finanziari ben più consistenti di Joseph). La partenza del figlio getta l’uomo nella disperazione: dopo due anni di totale sobrietà, Joe si rimette a bere e, su un colpo di testa, decide di abbandonare tutto e tornare in Irlanda, alla ricerca dell’unica sorella che ha e che non rivede da oltre 30 anni, Anna. Lui e Anna avevano perduto i genitori quando erano ancora piccoli ed erano stati (assurdamente) separati: lei era stata adottata da una nuova famiglia, mentre lui era stato e mandato in una casa famiglia per ragazzi, dalla quale era scappato una notte senza più dare notizie (al punto che la sorella lo credeva morto). Anna accoglie Joe in casa: lei è sposata, ha tre figli piccoli, e in quel momento la famiglia sta ospitando anche la sorella del marito, una ragazza che si intuisce un po’ problematica, Dinah. Il ritorno di Joe non è di tutto riposo: il fatto di rivedere i luoghi della sua infanzia, ed in particolare il vecchio edificio che ospitava la casa-famiglia dalla quale era scappato a 9 anni, riporta alla luce il ricordo di un trauma che Joe aveva parzialmente rimosso e che ora non riesce più a nascondere.  

Inutile girarci tanto intorno: se siete alla ricerca della “feel good tv series” del momento, passate oltre. The Virtues richiede una certa dose di volontà, quella di farsi investire in pieno da una marea di dolore. Eppure, io lo penso e lo ripeto spesso: non importa quanto sia deprimente una storia, se è ben scritta, filmata e recitata, non esiste niente di più straordinario da vedere e da vivere. Sono i film fatti male, che mi deprimono. Purtroppo ispirata ad una storia realmente vissuta dal regista, la storia di Joe è a dir poco lacerante, ma Meadows è straordinario proprio in questo: in uno stile sobrio, realista, ma mai sciatto o anti-estetico, ci rivela i personaggi in tutta la loro disarmante umanità (e disumanità) senza mai cadere nel sentimentalismo, nel sensazionalismo, nella faciloneria. In parallelo, il regista ci mostra Joe oggi e, con scene che sembrano filmati in VHS della fine degli anni ’70-primi anni ’80, i suoi ricordi di bambino. Nei primi episodi sono dei flash improvvisi, confusi, e mano a mano che la storia procede si fanno più lunghi e precisi. Ma sono le scene tra i due fratelli le più straordinarie, a mio avviso. Raramente ho visto momenti di cinema così intensi e commoventi: il modo in cui si parlano, piangono, si abbracciano, lascia interdetti di meraviglia. Ho letto una cosa abbastanza straordinaria sulla prima di queste sequenze: uno degli attori, il giorno in cui dovevano girare, ha ricevuto uno notizia terribile di tipo personale. Anziché decidere di non lavorare, d’accordo con il regista, ha utilizzato il suo stato d’animo (che ben si accordava alla situazione) per la scena. Avevo letto questa cosa prima di vedere l’episodio e quando l’ho avuta sotto gli occhi mi sono resa subito conto di chi stesse male, ma allo stesso tempo la reazione dell’altro attore era talmente tenera ed empatica, che sono scoppiata a piangere senza ritegno perché quel misto di realtà e finzione era profondamente sconvolgente.

Per creare tutto questo, lo avrete capito da soli, c’è bisogno di attori che definire bravi è un eufemismo. Complice di tanti fim di Meadows, l’attore inglese Stephen Graham (forse ve lo ricorderete nel ruolo di Al Capone in Boardwalk Empire), qui assurge a vette degne dei più grandi. Il suo fisico massiccio, da pugile, la sua faccia vissuta, sembrano quasi in contrasto con le emozioni e la fragilità che riesce ad esprimere. Accanto a lui, due attrici altrettanto incredibili, le irlandesi Helen Behan nel ruolo di Anna e la giovane Niamh Algar in quello di Dinah.
E, giusto per rendere il tutto ancora più perfetto, la colonna sonora è stata composta dalla musicista inglese PJ Harvey. E vabbé, allora ditelo che volete colpirmi al cuore.
Meadows ha citato Martin Scorsese e Ken Loach come suoi riferimenti cinematografici per The Virtues, ma io da anni cercavo il nuovo Mike Leigh, e adesso posso finalmente darmi pace, perché penso proprio di averlo trovato.

venerdì 21 ottobre 2016

Manchester by the sea

I spent just a couple of days at the Rome Film Fest, but I’ve been lucky enough to see one of the most beautiful movies of 2016. A gem called Manchester by the Sea, written and directed by American film-maker Kenneth Lonergan.
This NY born director is better known for his work as screen player (he co-wrote Gangs of New York by Martin Scorsese, to name just one thing) but he already directed three movies. I was a huge fan of his first feature, You can count on me (2000), which revealed the talent of two actors who had incredible careers afterwards: Mark Ruffalo and Laure Linney, and I followed the troubled story of his second movie, Margaret: originally scheduled for release in 2007, it was repeatedly delayed while Lonergan struggled to create a final cut he was satisfied with, resulting in multiple lawsuits against the studio that produced it! In the end, the movie was released in a 150-minute version in 2011 and Lonergan eventually completed a three-hour extended version which was ready on DVD in 2012! What a story… 
But let’s go back to Manchester by the Sea: Lee Chandler lives in Boston, alone, working as a handyman in different buildings. One day, he received a phone call: his older brother Joe, who suffered from a heart disease, died while on his fishing boat. Lee is obliged to go back to his home town, Manchester by the Sea. He is not happy about it, because something awful happened there years ago. Something Lee can’t forget, something he’s trying to escape from, but his brother’s death and the fact that he has been nominated tutor of Joe’s only son, Patrick (17 years old), don’t leave him any choice. 
He has to go back to Manchester and face his past.
 
One of the most difficult things to express in movies are emotions. 
I mean, in a credible, non-cheesy way. The moment you deal with families, death and sorrow, the risk of ending up doing something tearful and pathetic is really high. But miracles are possible, and this movie proves it.
Thanks to a magnificent structure, a beautifully crafted screenplay and a stunning performance by the actors, Manchester by the Sea reaches a level of complexity, deepness and empathy rarely seen on screens this year.
The first great idea of the movie is the structure, as I just said, and the way the director has used the insertion of flash-backs. In fact, he didn’t even insert them. They are what the movie is made of, with an intense fluidity between the past and the present. It is a different and more sophisticated way to get to know the characters. It is surprisingly emotional and particularly convincing. 

But here, by far, the most convincing thing of all is the actors’ performances, and especially the one of Casey Affleck.
He is so permeated with despair that every unnecessary gesture or word looks like a burden to him. He is transpiring sadness, and there are a couple of scenes where this is so strong that it is almost unbearable. Frankly speaking, I think we are in front of this year’s most amazing male performance.
I have been haunted since the day I saw the movie by this incredible, magnificent scene played by him and Michelle Williams. I don’t want to spoil it for you, but I have to prevent you, this is the most devastating scene I've seen at the movies in a very long time:

I don't know when Manchester by the Sea is going to be out neither in France nor in Italy, but - of course - my strong suggestion is to run to see it.
Be ready: Zazie d'Or will be raining on this movie like the frogs in Magnolia.


MANCHESTER BY THE SEA - Trailer from Mill Valley Film Festival on Vimeo.

martedì 27 ottobre 2015

25 ans déjà!

Jacques Demy davanti al Passage Pommeraye, Nantes
Stamattina alla radio passava La Chanson de Maxence in un nuova versione. 
Che bello! - ho pensato: fuori c'è il sole e ascolto una canzone delle Demoiselles de Rochefort.
E’ stato solo qualche minuto più tardi che ho capito perché: oggi, 27 Ottobre, è l’anniversario della morte di Jacques Demy, che ci ha lasciato 25 anni fa, nel 1990.
Conosco pochi registi amati quanto Demy, qui in Francia.
E’ come se avesse operato nella mente di tutti, bambini e adulti, una specie di magia, in base alla quale è assolutamente impossibile dimenticarlo.
La magia è dovuta ad una manciata di film che hanno rivoluzionato la storia del cinema, con il loro carico di canzoni, colori, e un’allegria mista a malinconia alla quale è impossibile resistere:

Forse la particolarità di Demy è che le immagini dei suoi film ti si imprimono dentro, e poi non escono più, talmente forte è il loro impatto.
Impossibile per me vedere un garage senza che nella mia testa non scatti in automatico la musica dei Parapluies de Cherbourg

E’ l’effetto Demy. Non ci si può fare niente. Tanto vale smettere di lottare.
La settimana scorsa, mentre visitavo la mostra su Martin Scorsese alla Cinémathèque (a proposito, è bellissima, andateci appena potete), non potevo fare a meno di pensare che la più bella di tutte quelle che ho visto sino ad ora è stata proprio quella su Demy.
La serata inaugurale aveva dell'incredibile: con le ragazze all’ingresso che portavano i cappelli delle Demoiselles, lo champagne, Agnes Varda e tutta la sua famiglia, gli attori dei suoi film, la ricostruzione dei set cinematografici. 

Ne ho un ricordo indelebile, magico, appunto.  
Qualche giorno dopo, avevo partecipato ad un flash mob "Demoiselles de Rochefort" sul parvi dell’Hotel de Ville: centinaia di persone (di tutte le età) avevano imparato a memoria una coreografia da ballare tutti insieme sulla Chanson des Jumelles.
Una cosa tanto assurda quanto divertente e gioiosissima.
Uno di quei giorni in cui mi è sembrato evidente perché ho deciso di vivere qui, nonostante il brutto tempo, la vita che costa troppo cara e i musi lunghi dei parigini.
Finché c’è amore per Demy, c’è speranza.
Finché esiste il Demy-Monde, continuerò a viverci dentro. 
Evviva!

venerdì 14 giugno 2013

Catch me if you can!

The other evening I travelled from Paris to Basel for my job.
There was a strike of the air-traffic controllers in France, so the plane landed at the airport quite late at night, around 9.30 pm. I had organized a car to pick us up but, since sometimes drivers get confused with the arrival of private planes (yes, sometimes I’m so lucky that I travel that way!), so when we arrived nobody was waiting for us. My boss was already late for an event and he decided to take a car which was at the terminal by chance, but I had to stay, because apparently our driver was somewhere there, lost but present, and I had all our baggages to collect.
So there I was, waiting, doing nothing, just enjoying the good weather and the bright sky.
I was chatting with the two women working at the entrance of the place when a couple of black limousines arrived. I was hoping one of the two was my car, so I turned my head to see if that was the case. But it wasn’t.
I sensed a bit of stress on the two women. They stood up and said: "Oh, they must be the passengers of the next fly...". And they put on a funny face.
I looked at the passengers: five or six young men were approaching, they had that unmistakable aura that rich and famous people sometimes have: a mixture of coolness and awareness of the world around them with just a hint of “Yes, we are famous, we have a special life, we know it and we can’t be bother less by other people, especially if they’re not famous like us”.
Among them, there was French actor Gaspard Ulliel

Tall, slim, elegant (even in a casual attire), black sunglasses, he was the perfect choice for the last campaign of the Chanel parfum pour hommes. The spot was absolutely ridiculous, despite the fact that was signed by Martin Scorsese (why famous film-makers keep making these stupid ads? well, ok, I can imagine it is for the money, and I hope we’re talking about a lot of money here, otherwise I just can’t understand):

The women at the entrance looked at me: "Did you see? It was good for you to wait, after all..." They were so excited, though, that I couldn’t believe it was all because of Gaspard, who, let’s admit it, outside France is not exactly the most famous guy in the world. It was then that I spotted a familiar face, and I recognized, under a grey beret, Leonardo Di Caprio

Once they passed, we all run to the window to see them leaving.
They were there, few meters ahead of us, patiently waiting for the plane to position. Leo was smoking an electric cigarette (you gotta be kidding me, right?) and looked a little bit bored. I guess he was thinking: "Oh, ok, another private plane to take..."
The plane was actually enormous to be a private one, but I guess this is what you have when you are the most famous actor in the world. When the mini-Boeing was ready, he nicely shook hands with the airport people, and he and his friends (who secretly kept looking at us smiling with smiles having subtitles: Hey, did you notice with whom we are going around?) got inside the plane. 

It was fast, but it was intense, and very funny.
The other night I went back to the same terminal to take another plane and I found the same two women behind the desk.
"Hello!"- I said - "Anybody interesting to wait for, tonight?"
"No, but Leo called today: he wanted to know who was the gorgeous woman seated here at the entrance when he arrived, yesterday". 

We all laughed.
Catch me if you can, Leo! 

mercoledì 22 maggio 2013

Seduti al buio

Lo so, sono ripetitiva.
Lo so, vi parlo sempre di cinema, di film, di sale buie.
Ma che cosa ci posso fare, se è questa la cosa che mi piace di più al mondo? Sedermi insieme a dei perfetti sconosciuti nei cinema di Parigi e guardare scorrere le immagini su uno schermo. Lasciarmi trasportare in un mondo che sembra essere separato da me solo da una pellicola sottile, una realtà leggermente parallela, squisitamente fluttuante al di sopra della mia testa, dei miei pensieri.
Prendete ieri: una giornata di Maggio che sembrava Novembre. Pioggia a secchiate, freddo e umido che ti entrano nelle ossa, tristezza incombente. Esiste un antidoto più efficace del cinema? No. Certo che no. A parte, ça va sans dire, un pomeriggio sotto le coperte con Michael Fassbender... sì, ma quello, chi ce l'ha??! 
Ma la cosa incredibile di questa città, la cosa per cui non mi stancherò mai di abitare qui, la cosa che citerei tra i cinque motivi per cui vale la pena vivere di Alleniana memoria, è che al di là dell'ampia scelta di film nuovi, la gente qua affolla le sale per vedere film di 50-40-30-20-10 anni fa.
Io ad esempio ieri pomeriggio sono andata alla Filmothèque du Quartier Latin a rivedermi Taxi Driver di Martin Scorsese in versione restaurata (il film è del 1976). Allo spettacolo delle 15h40. Va bene, la sala era piccola, ma era stracolma, e la gente prima del film faceva la fila paziente sotto la pioggia. Perché siamo tutti qui? Mi sono chiesta, mentre li guardavo con grande tenerezza, come se fossero miei fratelli di sangue. Forse perché sapevamo di stare per vedere un film straordinario, perché ci eravamo dimenticati di quanto fosse bella e ossessiva la musica di Bernard Herrmann, di quanto fosse perfetta la sceneggiatura di Paul Schrader, di quanto fosse sporca New York, di quanto fosse giovane De Niro, di quanto fosse bravo Scorsese in quel cameo in cui fa il pazzo geloso, di quanto fosse già incredibile Jodie Foster a 14 anni, di quanto la regia fosse talmente straordinaria e fluida e portentosa da lasciarci tutti ancora una volta a bocca aperta, manco fosse la prima volta che lo stavamo vedendo, Taxi Driver.
Robert De Niro (Travis Bickle)
Robert De Niro e Martin Scorsese sul set del film
Travis e il suo taxi
Qualche settimana fa, invece, sono andata al cinema alle 11 di una domenica mattina.
Anche lì, ho pensato: saremo dentro in due.
Ero al Cinéma des Cinéastes, e davano un film che volevo vedere da tempo, e di cui avevo molto sentito parlare: Extérieur, Nuit di Jacques Bral (1980). Anche in quel caso, contro ogni previsione, contro ogni attesa, sala quasi piena. E spettatori attenti, perché alla fine della proiezione c'era il regista che parlava del film e la gente gli faceva domande come se stessimo discutendo dell'ultimo block-buster con Johnny Depp. No, dico, sono soddisfazioni enormi!
Gérard Lanvin, André Dussollier e Christine Boisson in Extérieur, Nuit
Poi a volte succedono cose molto buffe, nei cinema di Parigi.
Ad esempio non tanto tempo fa ero con un amico e siamo arrivati quasi (e sottolineo quasi) in ritardo per la proiezione di un film al Nouveau Odéon. Io ero desolata, anche perché dovevo pure passare in bagno (che le bloggers nel loro piccolo, si sa, fanno pipì!). Ho quindi guardato con aria molto preoccupata il tipo che faceva i biglietti: 
- Scusi, il film è già iniziato? 
No, non ancora, tra un attimo
- Sì, ma io devo anche andare in bagno. Faccio in tempo?
- Tranquilla, sono io il proiezionista. Ti aspetto. 
Il bigliettaio proiezionista, che cosa adorabile! Così sono andata in bagno e poi uscendo ho guardato verso la cabina, gli ho fatto segno che poteva partire, e lui mi ha fatto un sorriso, e un secondo dopo iniziava il film. Poi dicono la magia del cinema...
Un'altra volta mi è capitato, in una bellissima giornata di sole di Giugno, una giornata in cui sembrava assurda (tranne a dei malati di cinema) l'idea di chiudersi in una sala buia, di andare a vedere la copia restaurata di Professione Reporter di Michelangelo Antonioni (1975).
Sono entrata convinta, ma proprio convinta, che saremmo stati in tre.
Ma anche in quel caso, come sempre, la sala era piena, e non era nemmeno troppo piccola. Quel giorno, vi assicuro, mi sono proprio commossa. Mi sono seduta e avevo le lacrime agli occhi. E non ho visto niente dei primi cinque minuti del film (non è grave perché l'avevo già visto almeno altre due volte). Mi sono detta che a Parigi non mi sarei mai sentita sola, che Parigi sarebbe stata per sempre, anche a migliaia di chilometri di distanza, la mia città.
Jack Nicholson in Professione Reporter
C'è un signore americano, un tale Paul Rogers, che ha scritto un libro bellissimo, si intitola Name that Movie (Nomina quel Film), sottotitolo: 100 Rebus Illustrati per Cinefili: 
In pratica, questo disegnatore si è messo a rivedere un sacco di vecchi film, e per ciascuno di loro ha fatto sei vignette, senza mettere la faccia degli attori o altri segni particolarmente riconoscibili, e il lettore deve indovinare il titolo del film. Ce ne sono alcuni facilissimi...
e altri difficilissimi, ma è una pura gioia. Io ogni tanto mi metto lì e cerco di indovinare, ci passo proprio le ore. Ma la cosa che amo di più di quel libro è la dedica. Così semplice, eppure così perfetta: 
For those wonderful people out there in the dark 
(a tutta quella gente meravigliosa seduta lì al buio).
Come dire... touchée!

domenica 18 novembre 2012

M E T R O F A L L


James Bond can fall from the sky? What a novice! Your cinema blogger can do so much better: she can fall from the stairs of an underground station. Without using a double, of course. 
Pity I wasn’t playing in any movie…
This is in fact what happened to me last Monday morning, on my way to work (where else I could fall, since my name comes from Zazie dans le metro?). It was pretty bad, but here I am, writing about it, so I guess it could be much worse. I didn’t break anything (miraculously enough!) but I ended up on the right side of my head and I must confess it isn’t the best place to have a haematoma that apparently will go away in about 3 (!) weeks.
I know, this episode has nothing to do with cinema, but I was struck once again by the fact that, even in the weirdest and most unpleasant moments of my life, I keep thinking about movies. 

The evidences: 
In France, when a bad accident happens, they call the firemen to bring people to the hospital. I wasn’t an exception. So, after few minutes that I was sitting miserably on the stairs of Abbesses subway station with my face covered in blood, I had a vision: four young and stunningly gorgeous firemen were there to rescue me. Two (very) misplaced thoughts immediately crossed my mind. The first: how can I possibly be so unlucky to meet such wonderful guys while I am at my worst physical conditions? The second: this reminds me of Fahrenheit 451(how, in a moment like that, I could have thought of a movie by Truffaut is the indisputable proof of my eternal love to him).
When I arrived at the hospital, the scenario was completely different. 
Everybody knows: hospitals are not funny places. I wished to find myself in the Chicago-style atmosphere of Emergency Room, but reality was different. French hospitals in a cold November morning can look a bit gloomy. The atmosphere of Lariboisière actually reminds me of the movie Polisse by Maïwenne. A great film about a police team taking care of abused child. Very often in the movie they take these children to hospitals and this is what I was thinking about while I was waiting to be visited by the doctor:
Once they told me nothing was broken, I felt reassured, but then they decided to have a scan of the right side of my head, just to be sure everything was fine. While I was waiting in the corridor for the scan, I had a weird feeling. Every single person who bumped into me looked terrified. It was for the state of my right eye, of course (at that stage its size was the double of what it should normally be), but I perceived another unpleasant feeling. I realized I looked like a woman who had been beaten by her husband. Explain to other people while you are in an awful corridor of an emergency room that you don’t even have a husband at home that could do that to you! Inevitably enough, I was in no-matter-which of the many Ken Loach movies about miserable and abused people. Thanks very much, Ken!
In the afternoon of that same day, I posted something on Facebook to advise my friends about my accident. Since I couldn’t possibly show a picture of myself, I decided to use one from the movie Elephant Man by David Lynch. Sadly enough, I was thinking about John Hurt in that movie while I was watching myself in the mirror for the first two days after the "event":
In the following days, though, my cinematic reference became Robert De Niro in Raging Bull by Martin Scorsese. I could have been called Zazie La Motta:
Now, unfortunately, the only film character I remind of is Jim Carrey in The Mask (maybe more yellow than green, but still...):
But don't worry, dear readers, I am already dreaming again the same dream I had all my life, that one day soon I will wake up and find myself in the mirror looking like her...
... with just a little scar under my right eyebrow!

sabato 20 ottobre 2012

Cesare Deve Morire

L'altra sera, guardando l'ultimo film dei Fratelli Taviani (uscito sugli schermi francesi questa settimana), ho pensato una cosa: ma che meraviglia questi registi ultra ottantenni che si mettono a fare dei film speciali, particolari, al di fuori di qualsiasi logica di mercato, in bianco e nero, e con un linguaggio super moderno!
Pensavo a loro ma pensavo anche ad Alain Resnais, la cui ultima opera è uno stranissimo film nel film, nonché quattro diverse rappresentazioni teatrali di una sola pièce, insomma un bel delirio che sembra il film sperimentale di un giovane appena uscito da una scuola di cinema e invece - guarda un po' - questo qui è nato nel 1922 (i Taviani invece nel 1929 e 1931). Per non parlare del regista portoghese Manuel De Oliveira, che a cent'anni suonati, sforna film come se fossero croissants.
Non è incredibile e bellissimo?
Sì, soprattutto quando ci regalano un diamante grezzo come Cesare Deve Morire, Orso d'Oro all'ultimo Festival di Berlino e film scelto per rappresentare l'Italia alla prossima corsa per gli Oscar (e facciamo già il tifo perché entri nella cinquina e perché lo vinca!).
Roma. Carcere di Rebibbia. Reparto di massima sicurezza. 
Un regista incontra i carcerati per proporre, come tutti gli anni, un laboratorio teatrale: questa volta si è scelto di rappresentare il Giulio Cesare di William Shakespeare. I carcerati fanno un provino in base al quale vengono assegnate le parti. Il film segue le prove, costrette a svolgersi in cella, nei corridoi o in altre sale del carcere, dal momento che il teatro è inagibile per lavori. Alla fine, il lavoro viene rappresentato davanti a veri spettatori, nel teatro finalmente pronto.
I Taviani hanno deciso di girare questo film nella maniera più sobria e scarna possibile. E hanno fatto bene: Cesare Deve Morire dura poco più di un'ora (e forse anche per questo è di un'intensità incredibile), la scelta del bianco e nero è perfetta (esalta la tristezza del luogo e illumina lo sguardo e i gesti degli attori), e questo mescolare vero e falso (la rappresentazione della pièce nei luoghi fisici in cui i carcerati vivono), amplifica il testo ma anche il dramma di ciascuno degli attori. E' un film dove nulla è superfluo, tutto serve, e dove l'emozione nasce dalla sofferenza vera di uomini abituati tutti i giorni a dover fare i conti con il peso dei loro errori/orrori. Meravigliosa la scena dei provini, dove ai carcerati viene chiesto di dichiarare le proprie generalità in due modi diversi: prima in un tono di grande preoccupazione e tristezza (con un'ipotetica moglie che li aspetta poco lontano ma dalla quale forse saranno separati a lungo) e poi in un tono di grande incazzatura. In quei pochi minuti, la personalità di ciascuno di loro irrompe sulla scena, con risultati davvero esilaranti. La cosa più divertente è che per alcuni di loro non esiste differenza tra uno stile ed un altro: sono talmente incazzati che recitano nello stesso modo entrambe le situazioni. La bravura dei carcerati come attori, comunque, è al di là dell'inimmaginabile. 
E tanto più risalta se confrontata ai personaggi minori del film, tipo le guardie giurate o il regista teatrale, Fabio Cavalli, che nella vita è il regista vero di queste rappresentazioni in carcere - bravissimo - ma come attore è veramente scarsino, mentre Cassio, Bruto, Cesare, Antonio, se li avesse incontrati un giorno per caso Martin Scorsese, sarebbero tutti finiti in Goodfellas senza neanche battere ciglio.
Il loro riscatto come esseri umani, è chiaro, passa dal teatro, ed è miracoloso osservarli mentre lottano corpo a corpo con i ricordi, i rimorsi, i pezzi di vita che li hanno portati ad essere lì dentro (dopo i provini, ogni carcerato che ha avuto una parte ha diritto ad un intensissimo primo piano sotto il quale si può leggere il reato commesso e gli anni della pena).  
"Da quando ho conosciuto l'arte, questa cella è diventata una prigione".
Pronuncia l'attore che interpreta Cassio alla fine del film. La verità, è che conoscere l'arte significa capire di stare in una prigione anche per chi in cella non ci vive. L'arte è quella cosa magica che ci fa capire quanto siano limitate le quattro mura di casa nostra, che ci fa venire voglia di uscire (noi che possiamo!), di capire meglio, di andare verso gli altri e verso tutto ciò che è altro da noi. L'arte, si sa, è la vera differenza tra noi e gli animali: gesti totalmente inutili come la contemplazione di un quadro, la visione di un film, la lettura di un libro o di una poesia, fanno di noi essere umani migliori. Ci elevano. Ci fanno dubitare. Ci trasportano. Ci avvicinano, sempre, alla nostra più vera essenza.
In cella, per davvero (perché è nelle loro teste), ci stanno solo gli ignoranti. 
Per loro, fine pena, mai.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...