giovedì 28 gennaio 2016

あん (Les Délices de Tokyo)


I film in cui succede poco o niente, ormai lo avrete capito, sono i miei preferiti.
Se poi quel poco è ambientanto in Giappone, allora perdo completamente la testa.
Presentato al Festival di Cannes 2015 nella sezione Un Certain Regard, l’ultimo film della regista Naomi Kawase, An (titolo locale: Les Délices de Tokyo), è uscito ieri sugli schermi francesi.

E che ve lo dico a fare che mi sono precipitata a vederlo?
Sentaro (Masatoshi Nagase) e Tokue (Kirin Kiki)
Sentaro gestisce un chiosco in cui vende Dorayaki, sorta di piccoli pancakes farciti di pasta di fagioli dolci. Un giorno, si presenta nel piccolo locale Tokue, un’anziana signora, che risponde all’annuncio messo da Sentaro per un lavoretto part-time: è disposta a prendere meno della metà del salario previsto pur di lavorare in quel posto. Sentaro in un primo tempo rifiuta ma quando la donna si ripresenta al locale con un esempio di pasta di fagioli fatta da lei, cambia idea. E’ talmente buona che l’uomo decide di assumerla. Grazie alla bontà di questa “an”, gli affari del chioschetto vanno a gonfie vele. Fino a quando una maldicenza nei confronti di Tokue non ha la meglio sulla bontà dei Dorayaki: la donna ha le mani completamente deformate dalla lebbra, una malattia che l’ha costretta ad una vita di isolamento. Capendo che la sua presenza è la colpa di quell’insuccesso, Tokue smette di andare al locale. Ma Sentaro e Wakana (una giovane cliente che deve fare i conti con una madre assente e indifferente) non riescono più a fare a meno di lei.
Tokue (Kirin Kiki)
Il motivo per cui mi piacciono tanto i film in cui non succede quasi niente, è che in realtà sono film che vanno subito dritti al punto. Qui l’azione si svolge tutta in pochissimi luoghi fisici: il chiosco di Sentaro, il suo mini appartamento (più l’esterno che l’interno, per la verità), l’interno dell’appartamento di Wakana e il sanatorio in cui vive Tokue.
Luoghi o ristretti o tristi in cui i protagonisti sono costretti a fare i conti con le proprie paure, i propri dolori e i propri fallimenti. Nello sguardo triste e nell’atteggiamento rinunciatario di Sentaro si indovina una sofferenza profonda che rovina il suo quotidiano (e che verrà svelata verso la fine del film), nel gesto rassegnato di Wakana che si porta a casa i dorayaki rimasti invenduti si intuisce la solitudine e la mancanza di amore che la circonda, e nella felicità di Tokue a stare nel chioschetto in mezzo ai clienti, si percepisce il suo lungo isolamento e il suo bisogno di stare insieme agli altri (in Giappone una legge abrogata solo nel 1996 confinava i malati di lebbra in centri specializzati dai quali non potevano uscire).
Basta poco al cinema (ai registi bravi, ça va sans dire), per spiegare grandi cose, vite intere, a volte, con una sola immagine.

Sentaro (Masatoshi Hagase) e i suoi Dorayaki

E’ quello che fa qui Naomi Kawase (ma perché mi sono persa tutti i suoi film, fino ad ora??!), aggiungendo sapientemente, e con la stessa cura con cui Tokue prepara la sua specialità, una dose di disarmante dolcezza che rende più digeribile la pena di vivere. L’elemento poetico nei film giapponesi ha sempre un aspetto essenziale e quasi rigoroso che ne fa l’anti-disney per eccellenza. 
Anziché aggiungere, loro sottraggono, sempre.
Pochi elementi bastano: il marciapiede su cui batte la pioggia, i ciliegi in fiore che si piegano al vento, il sole che entra caldo e di sbieco nel chioschetto vuoto, l’idea che il vapore cambi odore quando i fagioli sono pronti, e le parole scritte da Tokue, in cui spiega l’importanza di immaginarsi da dove arrivano i fagioli e il percorso che hanno fatto per arrivare "sino a noi", e infine la certezza che anche una vita in cui non si è arrivati al successo valga comunque la pena di essere vissuta (pensiero oggi più che mai super-controcorrente).

Wakana (Kyara Uchida), Tokue e Sentaro

Come al solito, quando vedo un film giapponese, la mia prima reazione è quella di uscire dal cinema e correre a comprarmi un biglietto aereo per Tokyo. Questa volta non ho avuto bisogno di farlo. 
Sono stata previdente: quel biglietto ce l’ho già.
Il prossimo Aprile, un paio di deliziosi Dorayaki con la pasta an, non me li leva proprio nessuno.


giovedì 21 gennaio 2016

Passione d'Amore

Ettore Scola ci ha lasciati il 19 Gennaio e, giustamente, in questi giorni tutti scrivono di lui.
Ricordi, citazioni, foto e video tratti dai suoi film più famosi sono un po' ovunque.
Io con il cinema italiano ho da sempre un rapporto conflittuale.
Raramente i miei registi di riferimento sono stati degli italiani (Antonioni a parte) e poco mi appassionano, per dire, gli universi felliniani o pasoliniani.
Scola non è mai stato uno dei miei registi preferiti, lo ammetto, anche se Una Giornata Particolare è uno dei film che più ho amato nella vita. L'ho rivisto da poco e ho pensato - ancora una volta - a quanto fosse bello, ben scritto, perfetto, un vero gioiello di storia e regia (e poi, certo, Mastroianni e la Loren da urlo). E quel dettaglio così moderno della radio sempre insopportabilmente accesa in sottofondo con la cronaca della stupidissima parata mussoliniana. Semplicemente meraviglioso.
Insieme a Brutti, Sporchi e Cattivi, C'eravamo tanto amati e Dramma della Gelosia, è stato il film più citato in tutti gli articoli che ho letto in questi giorni. In nessuno di quelli che mi è capitato di scorrere, però, qualcuno ha fatto cenno all'altro mio film preferito di Scola. Forse perché del tutto anomalo rispetto alla sua produzione, forse perché un po' bizzarro, inclassificabile, strano. 
Si tratta di Passione d'Amore, del 1981.
Clara (Laura Antonelli) e Giorgio (Bernard Giraudeau)
Tratto dal romanzo Fosca di Iginio Ugo Tarchetti (pubblicato nel 1869) il film è la narrazione di un amore impossibile tra il bell'ufficiale Giorgio e la cugina del colonnello presso cui il militare è di stanza, Fosca, una donna tanto brutta quanto sensibile e colta. Giorgio in realtà è innamorato di Clara, una donna bellissima ma sposata, che ha lasciato a Milano, eppure si trova suo malgrado soggiogato dal fascino morboso di Fosca. Dopo una notte d'amore, destinata a restare la sola per Fosca, la donna muore nel giro di pochi giorni (convinta di non poter più vivere un momento tanto felice) e lui si scoprirà disperato al punto da ammalarsi e passare mesi in un letto d'ospedale. 
Fosca (Valeria D'Obici)
Vero e proprio Adèle H all'italiana, questo film di Scola è di rara sensibilità e originalità. Il tema è stato pochissimo trattato, e il modo in cui il regista racconta la storia è toccante e allo stesso tempo disturbante. La bruttezza e la fragilità di Fosca, mista alla sua morbosità, ne fanno un personaggio del tutto anomalo. E parecchio intrigante. Gran parte del merito della riuscita di questa impresa sta nella scelta degli attori, va detto. Il bell'ufficiale è interpretato da un bravissimo attore francese (purtroppo scomparso pochi anni fa), Bernard Giraudeau, uno che con la sua bellezza ha avuto un rapporto molto conflittuale, avendo penato non poco all'inizio della sua carriera ad essere preso sul serio proprio per via del suo bell'aspetto. La seducente e frivola amante, Clara, è interpretata da una Laura Antonelli ancora strepitosamente affascinante, mentre il ruolo ingrato di Fosca è stato affidato ad un'attrice che sicuramente non ha avuto la carriera che si meritava, Valeria D'Obici. Qui imbruttita in maniera impietosa, riesce a infondere al personaggio di Fosca una vita e un fascino del tutto inaspettati. Ciliegina sulla torta, nel ruolo del medico che dispensa consigli a Giorgio, Jean-Louis Trintignant (e Massimo Girotti in quello del colonnello).
Il Dottore (Jean-Louis Trintignant) e Giorgio (B. Giraudeau)
La pericolosità della pietà e i danni che a volte può fare l'altruismo, sono merce rara come argomento cinematografico. Scola sembra volerli indicare qui in tutta la loro mostruosità, ben peggiore di quella fisica di Fosca, scagliandosi anche contro un certo tipo di ideale romantico, e l'involontaria prigionia nella quale costringeva le donne dell'epoca.
Tutto questo per dirvi che, se avete voglia di vedere un film di Scola, magari cercate questa piccola perla rara. Può darsi che vi sia sfuggita.
Le blogger di cinema sono qui per questo.

mercoledì 20 gennaio 2016

TOP 15 of 2015

Yes, it is that time of the year, dear readers, the moment I let you know which are my favourite films of the past 365 days.
In 2015, I beat a personal record: I've been to the movies 92 times, and maybe it is because of that, but a simple TOP 10 wasn't enough... Looking at my list, all I can tell you is that, for me, the most important thing is to get out of the cinema completely shaken. By an idea, a feeling, a mise-en-scène, a laugh, a word, a sound, a gesture. Something special. Otherwise, let's admit it, life is too short for wasting it over bad, lame or useless movies.   
Here's Zazie's list of the movies you shouldn't have missed in 2015:
15 - The Man from U.N.C.L.E. by Guy Ritchie (UK)
I swear this was the biggest surprise of 2015. I went to see it without any expectation and I enjoyed every minute of it. It is brilliant, intelligent, funny, well directed, the actors are irresistible and it has the most wonderful vintage touch (it is set in Berlin and Rome in 1963).
James Bond can get his pension! 

14 - Vincent n'a pas d'écailles by Thomas Salvador (France)

If you think super-heroes are coming just from the US, well, you need to change your mind because France has his super-heroe too, and he is the funniest and the sweetest one you can ever imagine: Vincent. This was the most cheerful film of the whole year.
Vincent n'a pas d'écailles mais il a la grosse pêche!


13 - La Isla Minima by Alberto Rodriguez (Spain)

This is an unforgettable film mainly for his atmosphere, for the rot you can smell, coming from the wet soil as much as from the people around. The two policemen are so well sketched (and the two actors who played them, Javier Gutiérrez and Raúl Arévalo, so good) that are able to eclipse any True Detective of the world. Que viva España

12 - Les Cowboys by Thomas Bidegain (France)

A very sad movie on a very actual theme: the story of a young girl leaving behind her family and her life to embrace a new religion that will take her (for ever) apart from the world she knows. Thomas Bidegain's (Audiard's screen writer) breakthrough is a precious and sorrowful thing. 
The last scene is the most intense one I've seen in ages. Believe me.

11 - Louder than bombs by Joachim Trier (US)

The first American movie of the Norwegian film-maker Joachim Trier is about secrets, family relationships, the inner life of people, the worst fears in life, and the deep solitude we can feel being part of this strange world. His universe is so particular and well defined, that you just want to lose yourself in it. Simply mesmerising.

10 - Life by Anton Corbijn (US)

Anton Corbijn has the special power of making interesting and original biopics, a genre usually devastated by common places and boring details. Here he has the guts to resuscitate James Dean (the absolutely astonishing Dane DeHaan) and the facts behind the famous picture in Times Square under the rain. The rest is history...

9 - Maryland by Alice Winocour (France)

An ex-soldier suffering of post-traumatic disorder becomes the body-guard of a rich business-man and his family (a wife and a kid). The so-called “Belgian Brando”, Matthias Schoenaerts, gives another amazing performance as a troubled, fragile and simple man lost in his obsessions: his boss wife and the sounds he hears in his head. The most incredible use of sounds after Punch-Drunk Love. Alice Winocour, the woman behind the camera (and Mustang's co-writer) really rocks! 
8 - Youth by Paolo Sorrentino (Italy)

The most visionary of Italian film-makers strikes back after the world-wide success of La Grande Bellezza with a much more accomplished and mesmerising film. Youth is about the passing of time, of beauty, of desire, but also a meditation on vocation and talent. The images are luxurious, magnificent and inspired. And Michael Caine as the main character is the best possible choice (but I have also adored the brief appearance of Jane Fonda). Flamboyant, is the word.

7 - La loi du marché by Stéphane Brizé (France)

Happiness is not an option in this Dardennesque, rigorous film about a man who has lost his job and all the rest together with it, starting from dignity. A very tough film to watch (the scene of the job interview by skype made me want to run away) but a very rewarding one. Vincent Lindon and Stéphane Brizé, who already broke my heart with the wonderful and underrated Quelques heures de Printemps, delivered here an unforgettable film.

6 - Sicario by Denis Villeneuve (US)

Denis Villeneuve’s cinema is one of the most interesting of these last years. With just a bunch of titles: Incendies, Prisoners and Enemy, he proved to be a superb film-maker. Sicario is his best work to date: he puts a woman (great Emily Blunt!) at the centre of the movie obliging the audience to a complete identification with her and he shows us one of the most terrifying stories set on the border between the US and Mexico. The best direction of the year, a visual and human shock. Breathtaking.

5 - Mustang by Deniz Gamze Ergüven (Turkey) 

This was a breath of fresh air, a driving force that can’t be easily stop: the one of 5 Turkish sisters ready to fight against a mean, archaic and macho’s mentality to have back their freedom and their lives. Written by two women, the Turkish Deniz Gamze Ergüven and the French Alice Winocour, the film represents France to the Oscar as Best Foreign Film. The reality is: it represents any place in the world where women still have to fight to have what they simply deserve. Girls Power!


4 - Dheepen by Jacques Audiard (France)

Jacques Audiard must have put a smell on me: I go simply nuts every time I see one of his movies. He’s got something that other film-makers don’t. A sense of the direction, a capacity of talking about human beings’ darkest corners and that mix of prosaic and poetic elements which is the “Audiard’s touch”. Palme d’Or at the last Cannes Film Festival (he already deserved that for Un Prophète but, hey, better later than never!).


3 - The Lobster by Yorgos Lanthimos (Greece/Ireland)


In a not-so-far away future, singles are not accepted anymore. Men and women who can’t find their soul-mates within 45 days, will be transformed into animals. The genial idea of Greek film-maker Yorgos Lanthimos gives birth to one of the most unsettling, original and brilliant movies of these last years. One of those works that divides audiences in two. As the French say: ou ça passe, ou ça casse
I have personally adored it.
 
2 - Saul Fia by László Nemes (Hungary)
The best movie about the Holocaust ever made. 
You don’t spend two hours at the movies, you spend two hours in Auschwitz. 
The experience is far beyond cinema, and it is almost unbearable. If you manage to arrive till the end, you’ll see what a man is capable of. When it’s over, you don’t know if you’re still alive, but you’ll see the world with different eyes. 
First feature film of a 38 years old guy, László Nemes. Mazel tov!
 
1 - As Mil e Uma Noites (Vol. 1-2-3) by Miguel Gomes (Portugal)

There are the other movies and then there is this one: a monster, a protean creature, a space oddity. 
6 hours long divided into 3 volumes, As Mil e uma noites is a new form of cinema, the weirdest mix of fiction, documentary, real life, poetic vision and mythological tale. 
How Miguel Gomes had such an incredible idea to talk about the economic crises that recently hit Portugal in this way, it is a great mystery. The most wonderful of all.
As you must have guessed, this is a masterpiece.

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