martedì 30 aprile 2013

Top of the Lake

Vorrei che molte più donne facessero cinema.
Vorrei che ai festival cinematografici in giro per il mondo la presenza in concorso di un film di una regista donna rappresentasse una normalità e non un’eccezione. L’anno scorso a Cannes non ce n’era manco uno, quest’anno... uno (dell'Italo-Francese Valeria Bruni Tedeschi). Davvero un po’ pochino, no?
Eppure, e l’ho già scritto diverse volte in questo blog, di donne che fanno cinema e lo fanno benissimo ce ne sono. Eccome. Ad esempio, c’è una regista che amo in maniera viscerale che una volta ha persino vinto la Palma d’Oro, al Festival di Cannes (era il lontano 1993): il suo nome è Jane Campion

Neo-zelandese di nascita e australiana d’adozione, la Campion ha sempre fatto un cinema personalissimo e speciale, quasi sempre incentrato su figure femminili, tutt'altro che stereotipate, e spesso piuttosto disturbate. Le donne dei suoi film, è questa la cosa bella, sono donne estremamente vere. Sono stracariche di difetti, per dirne una. Fisici e mentali. Hanno corpi non perfetti, a volta decisamente grassi, sformati dalle nascite, usurati dalla vita quotidiana. E anche le teste non sono da meno: tormentate, piene di contraddizioni, di preoccupazioni, di desideri inespressi. Le sue donne possono creare addirittura fastidio: chi non ha avuto voglia di voltarsi dall’altra parte di fronte all’insopportabile disagio della grassa e antisociale Sweetie? O di innervosirsi di fronte all’ostinazione di Ada in The Piano? O di sentirsi male di fronte all’ipersensibilità confinante con la follia di Janet Frame in An Angel at my Table? Eppure è proprio racchiusa lì tutta la natura speciale e indispensabile dei film della Campion. Senza contare che si tratta di una regista dall’incredibile bravura stilistica. Alcune immagini dei suoi film sono di una bellezza fulminante, indimenticabile. Penso al pianoforte piantato in mezzo all’oceano e suonato da una donna che sembra stare chiusa in un mondo tutto suo al centro di quell’immenso spazio aperto, in The Piano. Penso al calore delle strade e al desiderio che sfianca i corpi, filmati come se fossero in un prisma ottico, in uno dei film più erotici e sensuali della storia del cinema, il sottovalutatissimo In the cut. Jane Campion racconta la difficoltà di essere una donna in un mondo concepito e governato dagli uomini, e dove, nel momento in cui le donne si scostano dai canoni abituali di bellezza e pensiero, il rischio di venire schiacciate, derise o messe da parte è altissimo. 
Il suo ultimo lavoro non è un film ma una serie TV. Si intitola Top of the Lake, ho appena finito di guardarla e, come per tutte le cose che mi piacciono tanto, il ricordo di questi sette episodi si è attaccato alla mia corteccia cerebrale e non vuole più andarsene.
Siamo in una piccola comunità alle pendici di un lago, appena fuori Queenstown, emisfero sud della Nuova Zelanda. Una ragazzina di 12 anni, Tui, figlia di uomo violento e potente che detta legge nella zona, viena trovata mentre si butta nelle acque gelide del lago. Si scopre che è incinta e, per trattare un caso così delicato, la polizia locale chiede aiuto ad una detective specializzata in casi di violenza sui minori, Robin Griffin. Originaria della zona, Robin vive a Sydney ma in quel momento è in città per accudire la madre gravemente ammalata. La detective inizia ad occuparsi del caso, ma quando Tui scompare, tutto si complica. E Robin dovrà affrontare traumi del passato e dolori del presente. 
C’è del marcio, e pure parecchio, in Nuova Zelanda...
Johnno Mitcham (Thomas M. Wright), Robin Griffin (Elisabeth Moss)
E' impressionante come gli spazi aperti di Top of the lake: il grande lago, le montagne intorno, l'immensa foresta, la sconfinata tenuta chiamata "Paradiso", si facciano a poco a poco, puntata dopo puntata, sempre più piccoli. Sino a diventare soffocanti. Ciascuno di loro contiene una storia che può essere ricondotta ad un gesto di paura, di violenza, di dolore. Trovo che sia questa atmosfera opprimente a fare la differenza con altre serie di questo genere. Robin si perde in un labirinto senza fine, sino a quando non le rimane altro che guardare dritto negli occhi il suo passato e da lì trovare la forza per affrontare il presente. L'innocenza sembra essere perduta in partenza, da queste parti, e la vita particolarmente dura nei confronti delle donne: non viene risparmiato nessun abuso, verbale o fisico, alle protagoniste di Top of the lake, e poco importa che alcune siano solo quasi bambine. Ma tutto quello che non uccide, si sa, serve a rendere più forti, e la Campion su questo sembra decisa a rendere giustizia alle sue protagoniste.

Tui Mitcham (Jacqueline Joe)
Il cast, che ve lo dico a fare, è di primissimo ordine. Su tutto e tutti spicca l'attrice americana Elisabeth Moss (la mitica Peggy Olson di Mad Men): l’intensità con cui interpreta Robin è semplicemente grandiosa e in un paio di scene è proprio da togliere il fiato. L'attore scozzese Peter Mullan, nella parte dello sporco, brutto, cattivo e fuori di testa Matt Mitcham, si conferma ancora una volta di una bravura eccelsa. Il fascino magnetico di Holly Hunter, nel ruolo della guru senza tanti peli sulla lingua GJ, invade ogni episodio, anche quando la si vede pochissimo. E tutti i comprimari sono eccellenti.
Robin Griffin (Elisabeth Moss), Al Parker (David Wenham)
Matt Mitcham (Peter Mullan), Robin Griffin (Elisabeth Moss)
GJ (Holly Hunter)
Di fronte ad una Robin completamente distrutta dagli eventi, GJ le consiglia di sdraiarsi e dormire, aggiungendo: "There is no match for the tremendous intelligence of the body" (non c'è nulla di paragonabile alla straordinaria intelligenza del corpo).
E pure quella della Campion, diciamocelo, ha ben pochi rivali.


domenica 21 aprile 2013

Les objets-cinéma

Sacha Guitry, vecchio e malato, ma alla tavola di montaggio!
Penso al cinema così tante ore al giorno, che diventa un po' vero quello che raccontava Truffaut.
Un giorno aveva dato un passaggio in macchina ad un ragazzo tedesco: gli aveva parlato di Lubitsch, lui non sapeva chi fosse. Aveva tentato con Ophüls, mai sentito nominare. "L'ho fatto scendere a Nizza dicendo che ero arrivato", ha confessato il regista.
Ecco, non solo anch'io faccio sempre più fatica ad interessarmi alle persone che non si interessano di cinema, ma con mio grande stupore persino gli oggetti di uso quotidiano iniziano ad avere una preoccupante connessione con la mia arte preferita.
Certo, gli amici contribuiscono non poco a spingermi nel baratro.
Sapendo della mia passione, ogni scusa è buona per regalarmi qualcosa che abbia a che fare con i film. E non è che io mi lamenti, anzi. E' così che in questi ultimi tempi ho recuperato degli oggetti-cinema davvero singolari (e bellissimi). Ad esempio, è grazie ai miei amici Arco e Francesca che posseggo questa meravigliosa bottiglia di vino che arriva pari pari dal set di Le Havre di Aki Kaurismäki:
E' invece grazie a Denis che ogni pomeriggio posso bere il té nella mia tazza preferita, squisitamente dedicata a Woody Allen:
Se invece non so che fare per cena, posso sempre ispirarmi ad una ricetta che hanno cucinato in una serie TV che adoro, Mad Men (e per questo devo ringraziare Elisabetta): 
E che dire dei momenti liberi che posso passare a colorare uno dei miei attori preferiti, Ryan Gosling(regalo geniale di Laura!):
Se poi devo pensare alla cura del corpo, non crederete che possa affidarmi ad un prodotto qualsiasi, vero? L'unico olio che la mia pelle può sopportare è, manco a dirlo, À bout de souffle, della meravigliosa marca Australiana Aesop. E questo, me lo sono regalato da sola! 
Insomma cinema, sempre e comunque...

mercoledì 10 aprile 2013

La soirée des sœurs jumelles

Les Demoiselles de Rochefort (Catherine Deneuve and her sister Françoise Dorléac)
Have you ever had a twin sister?
I was personally so lucky to find one in my life some years ago: her name is Patricia, like Jean Seberg in À bout de Souffle, and not only she has her same name but she really looks like her. 

This was, of course, the reason why I talked to Patricia the first time I met her. 
Few months later (I was still living in Italy) I went to visit her in Paris and from that very moment on it was "friendship at first sight"!
Patricia and I found out to have in common, among many other things, an unconditional love for Jacques Demy

We even made together some pilgrimages on Demy’s movies places: Nantes (where Patricia comes from, by the way) and Rochefort, because “our” movie is Les Demoiselles de Rochefort.
When a couple of weeks ago I received from the Cinémathèque Française the invitation to a very special avant-première of their exhibition on Jacques Demy, I didn’t even have to think about the person who has to be there with me. Evidently enough, c’était ma jumelle!
So, Monday night at 7 pm, we were ready to enter the enchanting world of Monsieur Demy.
And enchanted we were! 
The exhibition is a must-see for any Demy fan in the world: the entire fifth floor of the Cinémathèque has been split in small rooms containing the different Demy universes, corresponding to each of his movies. 
From the Nantes of Lola, to the one of Une chambre en ville, from the wonderful papier-peints of Les Parapluies de Cherbourg, to the reproduction of the art gallery in Les Demoiselles de Rochefort, you are happy to be swallowed up by the world created by Jacques Demy and his collaborators (oh, the magnificent costumes of Peau d'Âne!). 
I particularly liked the pictures taken on the different sets by Agnès Varda, and the small objects that make a big difference, like the congratulations letters received by his friends (Truffaut, Cocteau...) and the card invitations to the avant-première of his movies.
Madame Emery and Roland Cassard - Les Parapluies de Cherbourg
Invitation to the avant-première of Les Demoiselles de Rochefort
The sumptuos costumes of Peau d'Ane
Around 8 pm, the space was full, and one can easily imagine to be in a Demy movie: besides his family (wife Agnes Varda, son Mathieu and stepdaughter Rosalie), many of the actors of his movies were there: Anouk Aimée, Michel Piccoli, Jacques Perrin, Dominique Sanda, Mathilda May, Richard Berry, Jean-François Stévenin, were walking around, amazed.
Many cinema stars were at the appointment as well: Michel Gondry, Jane Birkin, Virginie Ledoyen, Costa Gavras, Lambert Wilson, Salma Hayek, Claudia Cardinale, Valérie Donzelli et Jérémie Elkaïm, Louise Bourgoin, Déborah François, Agathe Bonitzer, Guillaume Gouix (Serge, the killer of Les Revenants), Melvil Poupaud (at his best!), and even secretive French film-maker Leos Carax, with his unavoidable black glasses. 

The royal touch was gently provided by the Prince Albert of Monaco, who apparently is a huge Demy fan. The only one missing, evidently enough, was Catherine Deneuve. Was she out of France? Difficult to believe, but not hard to understand why this event could be way too emotional for her. 
Geneviève and Madame Emery - Les Parapluies de Cherbourg
And emotional is the word I would use to describe the next best thing of the soirée: a special concert by one of Jacques Demy’s best friends and most precious collaborators, Michel Legrand. The musician, 81 years old and the enthusiasm of a 20something, played with his small band many songs from Demy’s movies with a new, jazzy, fabulous arrangement.
Patricia and I burst into tears several times, trying (uselessly enough) not to let the other being aware of that, but at the end, when a picture of Jacques Demy invaded the screen, and Legrand kept looking at him, waving a good bye, we both cried without restraint.  
Les soeur jumelles ont le cœur doux! 
Michel Legrand - The Cinémathèque Concert
We definitely needed a glass of champagne to overcome the difficult moment. 
Luckily enough, the Merveilleux Cocktail offered by Dalloyau was the grand final de la soirée
The problem with my twin sister and I, is that we really love champagne, and when we start drinking it, well, it is difficult to stop us. And then we become even more sociable than we normally are. 
This basically means we went to talk to any actor/actress we vaguely love who was in the room (I personally wanted to put my arms around Melvil Poupaud but since there was his family there I just told him how fabulous he was in the last Dolan's movie). 
I have to confess that the one who had to pay dearly for our uncontrollable enthusiasm was Mathieu Demy: we first met him in the exhibition, while we were taking a pictures of ourselves near Les Demoiselles de Rochefort (and he was already laughing a lot), but then we saw him from a balcony where the cocktail was taking place and we kept stupidly waving at him, and in the end we just blocked him in a corner. He looked scared. We said: "Don’t worry, we are not as crazy as we look!" We confessed him all our love for his father, and all the things we have done because of that, and once our speech was over, Mathieu looked really impressed and he even drank a glass of champagne with us. 
Truth is, he couldn’t stop laughing. 
My twin sister and I can be pretty funny, c'est vrai... At least five different people that night came to see us, asking: "Are you twin sisters?" Of course we are, can’t you see THAT??!
And this is La chanson des Jumelles of Les Demoiselles de Rochefort:
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