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mercoledì 23 settembre 2015

Youth

All’epoca de La Grande Bellezza, il mondo si divideva in due. 
Quelli a cui era piaciuto da morire e quelli che lo trovavano orribile. Non sembravano esserci mezze misure possibili. 
Io, che con le mezze misure non ci sono mai andata d’accordo, per una volta, con mia grande sorpresa, stavo nel mezzo. C’erano cose del film che mi avevano fatto impazzire e cose che invece non avevo potuto sopportare, e quel rollercoaster di su e giù, sommato alla lunghezza che a me risultava eccessiva, non mi avevano mai dato la possibilità di amare veramente il film.
E se non è vero amore, al cinema, che gusto c'è?

Mi sono quindi avvicinata a Youth, l'ultimo film di Paolo Sorrentino uscito da un paio di settimane qui in Francia, in maniera circospetta, spaventata all’idea di ritrovarmi in un turbinio di sensazioni contrastanti. 
E invece!
Fred Ballinger e Mick Boyle, due amici di vecchia data, hanno l’abitudine di trascorrere le loro vacanze estive in una spa svizzera per ricchi. Il primo è un direttore d’orchesta in pensione, il secondo un regista che continua a lavorare. Intorno a loro, una serie di personaggi che popolano la clinica: c’è la figlia-assistente di Fred che è appena stata lasciata dal marito (il figlio di Mick, per altro), ci sono i giovani sceneggiatori che aiutano Mick a scrivere il suo “film-testamento”, c’è il giovane attore americano che si prepara per il suo prossimo importante ruolo, c’è un famoso ex-calciatore (che è chiaramente Maradona) a cui manca il fiato ed è lì per curarsi, c’è una Miss Universo che ha vinto un soggiorno-premio, c’è un emissario della Regina Elisabetta che cerca di convincere in tutti i modi Fred a condurre un concerto per il compleanno della sovrana. I due amici osservano, interagiscono con gli altri, parlano tra di loro di vecchiaia, malattie, morte, ma anche di vita, amore e desiderio. Quando in albergo si presenta l’attrice principale dell’opera omnia di Mick per informarlo che non parteciperà più al suo film, l’equilibrio che sembrava tenere tutto insieme si mette pericolosamente a vacillare.
Se dovessi scegliere un solo aggettivo per descrivere Youth, penso che niente renderebbe meglio l’idea della parola (per altro adorabile) flamboyant.
I dialoghi, le idee, le sorprese, i volti, ogni cosa si sussegue e si allaccia all’altra, lasciando lo spettatore senza fiato, sommerso ma mai perduto, travolto dal riso (perché si ride tanto, vedendo questo film) e sul bordo del pianto (una commozione che nasce spesso da una cosa da poco, ma magnificata, intensificata allo spasimo). E’ questa armonia, per me, che mancava alla Grande Bellezza. Sorrentino sguazza nel “troppo” e se ne fa carico beato, mettendo la barra sempre più alta, fregandosene delle conseguenze (dell’amore). Butta dentro tutto e lo fa frullare ad un ritmo vorticoso, spargendo in giro pezzettini di meraviglia. Penso a delle figure minori e straordinarie come la ragazzina che fa i massaggi e balla davanti alla TV, o la prostituta bruttina, sfigata e tenerissima, o la stessa Jane Fonda, una parte brevissima che vale il film: il suo volto stravolto dal trucco, moderna Norma Desmond sul viale del tramonto, filmata in quello stupendo contro-campo tutto nero con solo le luci da cinema come se dietro la cinepresa ci fosse Robert Aldrich, a me personalmente hanno levato il fiato.

Così come mi ha levato il fiato, ma questo succede da tutta la vita, l’interpretazione di Michael Caine. Che dietro a quell’aria noncurante, da come-mi-viene-facile-fare-l’attore, nasconde una bravura feroce. E attraverso quell’ironia sottile e quella misura, riesce sempre ad arrivare al punto e ad essere credibile anche quando si mette a dirigere un concerto di campane da mucca. Accanto a lui, sembrano tutti dare il meglio: Harvey Keitel in un registro sobrio che gli si addice più di mille cattivi tenenti, Paul Dano che ormai chi lo ferma più, quello? E Rachel Weisz, più bella e più brava ad ogni film, se possibile. 
Se siete di quelli celebrari, di quelli che vogliono la trama a tutti i costi, gli angoli smussati, e nessuna sbavatura, allora vi sconsiglio di andare a vedere questo film. Qui è tutto uno strabordare, un andare oltre, un’esagerazione. E’ prendere o lasciare. O ci si lascia imbarcare, o tanto vale restare a casa.
Sarebbe un peccato, però, perché di viaggi così se ne vedono veramente pochi, sullo schermo.

giovedì 24 dicembre 2009

You're innocent, when you dream

Natale non è il mio momento preferito dell'anno.
Ma che volete farci? E' lì, inevitabile, e bisogna attraversarlo.
Non mi sono nemmeno mai piaciuti i film che parlano di Natale, o che sono ambientati nel periodo di Natale, o che anche vagamente accennano al Natale: tutta quella finta bontà, quella melassa che scorre a fiumi, quei buoni propositi sempre disattesi, quel sentimentalismo da quattro soldi.
Ma nel 1995, ho visto un film che racconta la più bella storia di Natale che abbia mai sentito, o visto. Si tratta di Smoke, regia di Wayne Wang, sceneggiatura del grande scrittore americano Paul Auster.
Il film con il Natale non c'entra niente, ma alla fine della pellicola al protagonista, lo scrittore Paul Benjamin (interpretato da un attore che ho sempre molto amato, William Hurt), il New York Times chiede un racconto di Natale. Lui risponde di sì, lusingato dall'importanza della testata, ma poi è preso dal panico perché non ha nessuna buona idea per un racconto natalizio. Gli viene in soccorso Auggie Wren (il ruvido Harvey Keitel), dal quale Benjamin compra ogni giorno dei sigari nel suo negozio di Brooklyn. Non sono veramente amici, ma amano parlare di un sacco di cose diverse. Quando Benjamin gli sottopone il suo problema, Auggie gli promette, in cambio di un pranzo, di raccontargli una bella storia di Natale. Questa è la scena finale del film: Auggie e Paul seduti in un piccolo deli americano, con Auggie che racconta la sua storia.

Un giorno d'estate, Auggie scopre un ragazzo di colore rubare qualcosa nel suo negozio. Quello scappa, e lui non riesce a fermarlo, ma nella corsa il ladro perde il portafoglio. Auggie lo raccoglie, e avrebbe tutti i dati per poterlo denunciare, ma decide di non farlo, perché nel portafoglio trova delle foto del ragazzo che gli fanno molta tenerezza. Più di una volta pensa addirittura di riportargli l'oggetto, ma non si decide mai, fino a quando non arriva Natale. Quel giorno Auggie è da solo e non sa che fare, così controlla l'indirizzo e raggiunge il posto. E' un quartiere molto povero di Brooklyn, con palazzoni tutti uguali, e quando Auggie finalmente trova l'appartamento, ad aprirgli è un'anziana signora di colore, completamente cieca. La donna gli getta le braccia al collo, chiamandolo con il nome del nipote (il ladro), e Auggie, preso alla sprovvista, non ha il coraggio di negare. E' ovvio, la donna sa benissimo che lui non è suo nipote, ma è sola, e anche Auggie è solo, ed è il giorno di Natale, e così decidono di passarlo insieme. Alla fine del pranzo la donna si addormenta, e Auggie se ne va di casa, rubando una scatola contenente una macchina fotografica (sicuramente la refurtiva di qualche colpo del vero nipote).
Auggie si sente così in colpa per via di quel gesto, che mesi dopo ritorna all'appartamento per ridargliela, ma la signora anziana non c'è più e i nuovi inquilini non hanno nessuna idea di che fine abbia fatto. Auggie dice: Probabilmente era morta. E Benjamin commenta: Questo significa che l'ultimo Natale della sua vita lo ha passato con te.
La storia è davvero bellissima, ma in questo caso è la magia del cinema a fare tutta la differenza.
Perché quando i due protagonisti smettono di parlare e il film è finito, sui titoli di coda "parte" un altro piccolo film, in bianco e nero, che è la trasposizione in immagini del racconto di Natale di Auggie Wren.
Non c'è nessun dialogo, non si sente nessuna parola, ma solo una canzone e la voce roca di Tom Waits che canta "You're innocent, when you dream".
Non ho mai visto niente di più commovente nella mia vita di queste due solitudini che si ritrovano insieme il giorno di Natale. E non c'è nessuna melassa, nessun finto sorriso, nessun buon proposito, nessun sentimentalismo.
Solo l'innocenza di quando dormiamo.

Buone Feste dalla vostra Zazie!

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