domenica 23 settembre 2012

I 3 giorni del Condor

Questo Settembre parigino è ricco di viaggi e di impegni, e non riesco ad andare al cinema quanto vorrei. Stanno uscendo così tanti nuovi film che non so più come fare, e mi viene uno stress unico al mondo, possibile solo in questa città: quello da troppi-film-da-vedere!
Nonostante questo ritardo mostruoso, l'altra sera ho deciso di andare a rivedere un vecchio film (vuoi mettere, sul grande schermo!), e questo grazie alla rassegna per i 60 anni della rivista di cinema Positif, al Forum des Images.
Ultimamente, ho scoperto di avere una grande passione per i film americani degli anni '70, un decennio che a me non sta particolarmente simpatico. Tutta la faccenda del Flower Power, di Woodstock, Easy Rider e la Beat Generation, per non parlare del modo in cui andavano in giro vestiti, non sono esattamente la mia cup of tea ma, ciò nonostante, ho rivisto di recente alcuni film di quel periodo e devo ammettere di averli trovati di una modernità straordinaria. E mi hanno anche suscitato un sentimento che mi ha parecchio sorpresa: una grande nostalgia. Nostalgia per un mondo ed una società che non esistono più, che con l'occhio cinico del nostro oggi ci sembrano particolarmente innocenti, incredibilmente naïf e squisitamente old fashioned. Oddio, sto proprio invecchiando se inizio ad avere nostalgia per gli anni della mia infanzia...
Comunque, il film in questione è Three Days of the Condor di Sydney Pollack, anno 1975, con Robert Redford e Faye Dunaway (all'apogeo della loro carriera e anche della loro bellezza: lui all'epoca aveva 38 anni, lei 34). 
Joe Turner, nome in codice Condor, lavora per la Cia in una sezione non operativa: il lavoro di Turner e della sua squadra è quello di leggere riviste e libri in tutte le lingue del mondo alla ricerca di codici segreti, trame ed intrighi nascosti. Un giorno, rientrando dal pranzo, Turner trova tutti i suoi colleghi uccisi. In preda al panico, cerca di mettersi in contatto con i suoi superiori, i quali gli danno un appuntamento per "metterlo in salvo". Il piano, in realtà, si rivela essere un agguato. Dopo aver rischiato di finire ucciso, e non fidandosi più di nessuno, Turner sequestra una donna (Kathy, una fotografa) fuori da un negozio e la obbliga ad aiutarlo. A poco a poco, l'uomo riesce a capire il complotto nascosto dietro l'uccisione della sua squadra, e la portata della scoperta gli rivela cose, sul suo paese e le persone che lo governano, che non avrebbe mai voluto scoprire.
Basato su un romanzo di James Grady, dove i giorni del Condor in realtà erano sei, questo film è un ottimo concentrato di tutti i migliori aspetti del cinema di spionaggio americano degli anni '70: solida trama, grande tensione, intrigo complicato ma non impossibile da seguire, bei dialoghi, attori super bravi (penso a Max Von Sydow che con la sua flemma bergmaniana irradia luce nella parte del killer), ottima regia. Oggi, ovviamente, alcune cose ci fanno sorridere, altre purtroppo ci lasciano attonite (tutte queste belle inquadrature delle Torri Gemelle, simbolo all'epoca dell'inattaccabile potere americano...), ma non dobbiamo dimenticarci che questo è anche uno dei primi film in cui si mette in risalto la manipolazione dei media e dell'informazione da parte del governo, una scoperta allora inquietante, oggi da noi praticamente metabolizzata. Quello che mi ha più colpita di questo film, però, è la sua malinconicissima atmosfera. Non erano begli anni, quelli, per l'America: la guerra del Vietnam era appena finita, il paese era ancora scosso dallo scandalo Watergate. Era un po' la fine dell'innocenza, la fine delle certezze su chi era buono e cattivo. La gente si sentiva sperduta, e i due protagonisti del film non fanno eccezione.
Persino nella bellissima e breve storia d'amore tra Joe e Kathy (dialoghi sensualissimi ed erotismo allo stato puro senza che si tolgano un solo vestito, altro che certe scene di sesso tutte uguali di tanto cinema contemporaneo), la nota di fondo è quella di una tristezza e di una solitudine infinita. Come nelle foto in bianco e nero di Kathy: immagini di oggetti e paesaggi solitari, senza essere umani intorno. 
"Interessante" - le dice Joe dopo averle osservate a lungo -  "ti sembrano foto fatte in inverno ma se le guardi bene capisci che sono state fatte in Novembre, in quello strano momento che non è più autunno, ma non ancora inverno".
La bellezza, a volte, sta tutta nelle sfumature.

sabato 22 settembre 2012

Saint Jean

Questa mattina sono stata con un paio di amici a vedere una brocante specializzata in cinema sul Quai de Seine. Già sono appassionata di vintage, figuriamoci quando il vintage è associato al cinema: impossibile perdere l'occasione!
Quello che mi fa impazzire di questi posti, è che ci trovi le persone più strane. Ognuno va lì con l'idea di trovare il pezzo raro sul suo attore o regista preferito, o una locandina mai vista (ma c'è poco da fare, le abbiamo già viste tutte!). Uno dei miei amici, ad esempio, era tutto felice perché aveva trovato un piccolo dossier su Anton Walbrook, un attore, ammettiamolo, non proprio conosciuto. Io ho fatto la mia bella figura perché quando mi ha detto che aveva recitato in Red Shoes di Powell & Pressburger, ho chiesto: "E' l'attore che interpretava Boris Lermontov?". L'ho sparata a caso, perché Lermontov era il mio personaggio preferito del film, però ci ho azzeccato. Eccolo qui:
Anche io, ovviamente, ho degli obiettivi precisi quando vado in questi posti, in sostanza: foto, locandine, libri, riviste o la qualsiasi sulla Nouvelle Vague. Mentre girovagavo, in uno degli stand più interessanti, ho visto un numero di Paris Match del Marzo 1957 con in copertina Jean Seberg. Ho iniziato a sfogliarlo ma non riuscivo a trovare nessuna sua foto all'interno. Con l'amico che era con me (l'altro se ne era già andato con Lermontov) abbiamo fatto passare la rivista pagina per pagina, ma niente da fare, non riuscivamo a trovare nulla. Il proprietario dello stand stava parlando con un anziano signore. Lo abbiamo interrotto: "Scusi, ma non le sembra strano che lei sia in copertina e all'interno non ci sia nessun servizio?". Anche lui ha iniziato a sfogliarlo: "In effetti è strano, lei non c'è, in compenso c'è Grace Kelly". A quel punto, è intervenuto l'anziano signore: 
"A chi siete interessati?" 
"A Jean Seberg" 
"Che strano..."
"Perché ?"
"Perché l'ho conosciuta..."
Trasecolamento.
"Anzi, forse ho proprio qui una cosa..."
E il signore cerca il suo portafoglio, tira fuori una foto e ce la mostra: è una piccola foto in bianco e nero degli anni '50, con i contorni frastagliati, e una Jean Seberg giovanissima, dentro un bel cappottone grigio, guarda un po' sperduta l'obiettivo, sul lungo Senna. 
"Aveva 18 anni, all'epoca, era appena arrivata in Francia a girare Joan D'Arc con Otto Preminger. Ho una collezione di circa 750 foto sue".
Guardavo incantata la foto senza riuscire a dire niente, ma chissà perché ho pensato che era come se avesse tirato fuori l'immaginetta di una santa. Saint Jean, la protettrice delle ragazze dai capelli corti.
Non ho avuto la prontezza di chiedergli se potevo fare una foto alla foto, ma sono riuscita a trovare, se non quell'immagine, almeno il cappottino che indossava, eccolo:
Messa via con gran cura la foto, il signore se ne è andato (peccato, chissà quante belle storie aveva da raccontare), io ho comprato la rivista, e poi sono corsa dal parrucchiere. E chi se ne importa, direte voi. E invece no, perché il mio parrucchiere di Parigi l'ho scelto per una ragione ben precisa: è stato suo padre, infatti, nel 1959, a tagliare i capelli a Jean Seberg per A bout de Souffle di Godard. E quando vado da Philippe (il suo negozio si chiama Meloz), nemmeno c'è bisogno che gli dica come voglio che mi tagli i capelli. Questa volta, ho tirato fuori dal sachetto la rivista e gli ho fatto vedere la copertina.
Si è messo a ridere. Mi sa che già lo sapeva, a quale santa sono devota.




venerdì 21 settembre 2012

Three of Life

Dear Readers,
Today is Le Blog de Zazie's third anniversary! 
The creation of this blog has been one of the greatest ideas I have ever had in my life, I swear. 
As I use to say: I would have never imagined, when I started, the incredible things that this blog would have brought to me. It has been a big, big adventure since day one, and it still is.
I wrote about 150 posts, I had the chance to meet film-makers, actors, actresses, people working in cinema, I have been to many avant-premières, I have seen more than 200 movies, sometimes in different parts of the world, I wrote posts that I never published, I had to erase a post that I wrote because somebody got furious at me, and everything, every single thing, was more intense and more important because I could WRITE about it in my blog.
But, by far, the most beautiful thing has been your presence.
To know that you are out there, reading what I would like to share with you about the thing that I love most in life: cinema. If it wasn't for you, my blog would be just another useless thing among many others. But apparently you ARE there and, incredibly enough, you read what I write.
So thank you, dear readers!
I'd be lost, without you.
Zazie 

And since it is Zazie's third birthday, I leave you with the best danse à trois of the cinema history, the one of Bande à Part (1964) by Jean-Luc Godard. 


Bande à Part - Dance Scene from Maria Tavares on Vimeo.

domenica 2 settembre 2012

Lola

Vado PAZZA per Jacques Demy, questo ormai si sa.
Adoro i suoi film, il suo mondo e la sua idea di cinema. Adoro persino la sua famiglia: sua moglie Agnès Varda, suo figlio Mathieu. Non mi stancherò mai di trovare scuse per scrivere di lui in questo blog, anche se è morto nel 1990 (ma perché tutti i miei registi preferiti se ne sono andati troppo presto? qualcuno me lo spiega?). 
A fine Luglio qui in Francia è ri-uscito nelle sale il suo primo film, Lola (1961), in versione restaurata. Quale migliore occasione per approfittarne ed andare nel mio amatissimo Ciné Studio 28 (con quelle meravigliose lampade di Cocteau al'interno che sembra già di stare in una fiaba) a vederlo sul grande schermo? Lola è davvero la prova che il cinema migliore non invecchia mai e che, se un film è speciale, rimane speciale anche a 50 anni di distanza.
Demy sul set del film, alla Cigale di Nantes
Siamo a Nantes (la città natale di Demy), è l'estate del 1960, e Lola, una ballerina ritornata in città dopo una lunga assenza, si esibisce all'Eldorado. Madre single del piccolo Yvon, avuto sette anni prima dal grande amore della sua vita, Michel (poi fuggito in America), Lola si imbatte per caso in un vecchio amico di infanzia, Roland Cassard. L'incontro suscita in entrambi numerosi ricordi, e fa nascere in Roland un sentimento per la donna, purtroppo non corrisposto. Lola, che a volte esce con uomini di passaggio (come Frankie, un marinaio americano in permesso a Nantes), in realtà è sempre innamorata di Michel e spera in un suo ritorno. Roland, stanco e annoiato dalla vita, dopo il rifiuto di Lola decide di accettare una proposta di lavoro piuttosto equivoca (un traffico di diamanti) e vola in Sud Africa. Prima di partire, conosce per caso in una libreria una vedova e la sua giovane figlia, Cécile, che gli ricorda molto Lola da giovane. Cécile, a sua volta, conosce per caso Frankie, che diventerà il primo amore della sua vita. E proprio quando Lola decide di accettare un lavoro di due mesi a Marsiglia, ecco che una cadillac bianca sfreccia per le strade di Nantes... chi sarà alla sua guida?

Lola, opera prima (dedicata a Max Ophüls), possiede già tutte le caratteristiche tipiche del demy-monde e schiera quei collaboratori che diventeranno parte della famiglia cinematografica del regista (e della Nouvelle Vague) nel corso della sua carriera: i decori e i costumi sono del geniale Bernard Evein, le musiche di Michel Legrand, la fotografia di Raoul Coutard, la segretaria di produzione Suzanne Schiffman (la stessa di Truffaut) e le parole della canzone di Lola sono di Agnès Varda. I legami non appartengono solo al mondo reale, però. I film di Demy si parlano, si allacciano gli uni agli altri, in una girandola di citazioni, di personaggi che ritornano, di ammiccamenti ad altri registi. Roland Cassard, ad esempio, ritorna tale e quale in un film successivo di Demy, Les Parapluies de Cherbourg, e il tema musicale che lo accompagna in Lola, si trasforma nell'altro in una vera e propria canzone. Cassard, diventato importatore di diamanti (carriera che aveva iniziato a svolgere alla fine di Lola), cita nella strofa del suo pezzo: Autrefois j'ai aimé une femme, Elle ne m'aimait pas, On l'appelait Lola, Autrefois... (Un tempo ho amato una donna, lei non mi amava, la chiamavano Lola). Cassard è il personaggio dei film di Demy destinato agli amori non corrisposti: nei Parapluies de Cherbourg si innamorerà, non ricambiato, di Catherine Deneuve (anche se finirà con lo sposarla). E ancora: l'unico amico che Cassard dice di avere, in Lola, è un tale Poiccard che, stando alle sue parole: "E' andato a finire male, si è fatto ammazzare..." Poiccard è il nome di Jean-Paul Belmondo in A bout de Souffle, girato da Godard l'anno prima (questa cosa me l'ha fatta notare la mia amica Laura, che ringrazio!). 
La stessa Lola sarà la protagonista di una successiva pellicola di Demy: Model Shop, film del 1968, ambientato a Los Angeles. Una delle colleghe-danzatrici di Lola, invece, è Corinne Marchand, che sarà la protagonista di Cléo de 5 à 7  di Agnès Varda. Altra chicca: il figlio di Lola si chiama Yvon, come il fratello minore di Demy. Insomma, si potrebbe andare avanti all'infinito, anche perché a sua volta Demy continua ad essere citato dai giovani registi francesi. L'esempio più eclatante, ne ho già scritto in questo blog, è Christophe Honoré, il cui primo film ha per titolo 17 fois Cécile Cassard. Avrete certamente notato il cognome... il nome Cécile invece è il vero nome di... Lola! Ah, quanto adoro questo genere di cose! Mi fanno proprio sentire a casa.
Lola e Roland Cassard
Film fintamente leggero e spensierato, come qualsiasi altra opera di Demy, Lola parla della forza e dell'intensità del primo amore, con tutto quello di magnifico e terribile che lo può accompagnare: la sorpresa, l'estasi, la felicità improvvisa, ma anche l'attesa, la delusione, la consapevolezza che non sarà mai più la stessa cosa. Le immagini, m e r a v i g l i o s e, della giovane Cécile sulle giostre con il marinaio Frankie, ne sono un perfetto esempio. C'è la gioia incontenibile di quei pochi attimi di felicità assoluta e subito dopo l'arrivo, implacabile, della realtà: Frankie sta per tornare in America e lei è solo una ragazzina di 14 anni. Ma quell'attimo è fondamentale, quell'attimo potrebbe farle decidere, come era stato per Lola in passato, di aspettare fiduciosa il ritorno dell'amante tanto amato. Nel film, Michel ritorna a prendere Lola dopo 7 lunghi anni, nella vita vera questa ipotesi mi sembra davvero un po' improbabile, ma come dice giustamente una delle protagoniste del film: 
"C'est toujour plus beau, au cinéma!" (Al cinema, è sempre più bello!).
Parole sante.

La Chanson de Lola versione Demy:

La Chanson de Lola versione Honoré
(cantata da Roman Duris in 17 Fois Cécile Cassard - 2002):

La Chanson de Roland in Les Parapluies de Charbourg (1964):


NB Lola in Italia è stato distribuito con un titolo a dir poco infame: Donna di vita. Ecco, io spero che il povero stronzo che l'ha deciso abbia sofferto per tanti anni ed in maniera continuativa di prurito alle parti basse. Donna di vita sua zia!
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