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venerdì 22 aprile 2016

Tokyo Monogatari (again!)


Few weeks after the Paris attacks, when I was feeling extremely sad (and pretty lost), I started thinking about something that could REALLY cheer me up.
The first idea was to get married to Michael Fassbender.
Yes, well… easy to think but more difficult to have it, so I decided to go for the second idea: planning to visit as soon as possible the place I love most on this planet.
This is how I bought a round-trip ticket to Tokyo and, I’m happy to announce it, my plane is taking off tomorrow.
So, dear readers, even if I’m sure I’m going to have some amazing cinematic adventures in Japan, I’m not too sure I’ll have the time to write about it before two weeks and I wanted to prevent you about my absence.
Because I know you can’t live without reading my blog!!! (this is why I love you so much).
Well, be patient and try to resist: Zazie will be back soon.
In the meantime, you can always read my previous Japanese posts….
OZU'S MEMORIES
A DINNER WITH KUROSAWA
UNA BLOGGER ITALIANA A PARIGI... E TOKYO!
MY OWN PRIVATE JAPAN
IL SILENZIO SUL MARE

さようなら!
Zazie


lunedì 30 novembre 2015

Setsuko Hara

Non so voi, ma io tutte le mattine faccio colazione con Setsuko Hara.
Qualche anno fa, al museo The Eye di Amsterdam, ho trovato questo meraviglioso poster del film Banshun (Late Spring) di Yasujiro Ozu, con una foto in bianco e nero di Setsuko Hara che sorride, una tazza di té poggiata sul tavolo davanti a lei. L’ho appesa nel mio soggiorno, dove faccio colazione, e vedere quel sorriso luminoso ogni mattina mi fa pensare che il mondo sia un posto davvero bello:
Nelle ultime due settimane, lo ammetto, qui a Parigi si fa un po’ fatica a crederci, che il mondo sia un posto bello. 
E adesso che Setsuko Hara ci ha lasciato, ancora di più (per la verità l’attrice è mancata lo scorso 5 Settembre, ma la notizia è stata data solo il 25 Novembre).
Nata nel 1920 a Yokohama, Setsuko Hara è diventata famosa grazie a due film interpretati per Akira Kurosawa ma, soprattutto, per la sua lunga collaborazione con il regista Yasujiro Ozu. Alla morte di quest’ultimo, nel 1963, la Hara si è ritirata dalle scene e se ne è andata a vivere sola (non si è mai sposata) a Kamakura, rifiutando qualsiasi intervista e qualsiasi fotografia. Non a caso è stata definita la "Greta Garbo Giapponese".

Come una vera diva degli anni ’50, ma con uno stile tutto nipponico, si è eclissata dal mondo, lasciandoci in eredità i suoi meravigliosi ruoli di figlia (prima) e madre (poi) nei film di Ozu. L'eleganza con cui cammina a piccoli passi sul tatami delle case in stile tradizionale giapponese, il modo assolutamente irresistibile di sorridere, reclinando leggermente la testa di lato, il timbro dolcissimo di voce, me fanno un'icona di bellezza senza tempo e senza rivali:
L'altra sera mi è venuta voglia di rivedere Akibiyori (Late Autumn), che mi sembrava il film perfetto considerata la stagione e la malinconia di questo periodo, e infatti lo era.
Ogni inquadratura di Ozu è una piccola magia, un quadro dal nitore e dall'essenzialità risplendenti, dove ogni oggetto sembra trovare la sua ragione d'essere, la sua collocazione più intima e sincera. 
E non ho potuto fare a meno di pensare che quando quello che ci circonda appare brutto, meschino, insensato, brutale, basta regalarsi - non dico tanto - 10 minuti di inquadrature di Ozu. 
Meglio ancora se illuminate dal sorriso di Setsuko Hara.
E passa la paura.
L'unico antidoto possibile contro il male assoluto.
La vera bellezza che salverà il mondo (se siamo ancora in tempo...)

martedì 17 dicembre 2013

A dinner with Kurosawa

Apparently, Japanese film-maker Akira Kurosawa was not only a world-renowned cinema director, but also an expert in the culinary arts.
I have learnt this during my last visit to Tokyo (so many nice things happened during that trip, did you notice it?), when two friends were kind enough to bring me out for dinner in one the four (!) Kurosawa restaurants in town.
There are, as a matter of fact, four different places where you can eat Kurosawa’s favourite food: Nagatacho Kurosawa (named after its pristine location, specialized in shabu-shabu), Teppanyaki Kurosawa (where they serve grilled fare on hot plates), Keyaki Kurosawa (specialized in buckwheat noodles) and Udon Kurosawa (specialized in wheat noodles). To cut a long story short, it is clear that Kurosawa was a real "Buongustaio", as we say in Italian. Since I am always looking for cinematic experiences that go beyond cinema and since I am a huge fan of Japanese food, I was particularly happy to try the Nagatacho Kurosawa restaurant in a lovely autumn evening:

The incredible thing about this place is that you really have the feeling of going back to the Edo Period: the restaurant has been designed “to evoke the image of samurai living and eating among the patrons”, as their brochure explain, and they’re quite right about it.
At the entrance, a picture of Kurosawa is welcoming the guests: 

And everywhere in the restaurant, both in the Soba Noodle Corner:
 
as well as in the Japanese Rooms:
posters of his movies give you the feeling of being on a film set or that Kurosawa himself could arrive at any moment to point out his favourite plates...
 
 
Since my friends had shabu-shabu at home the previous night (but unfortunately I wasn’t with them!), we decided to avoid the "special" of the place and to try other kind of dishes. 
In the end I was so happy we opted for this other option, because I had so many delicious, unforgettable things during that dinner. I can’t name them, so don’t ask, but have a look, readers, and let me know if you don’t feel like taking a plane to Tokyo right now just to try them as well:
 
 
 
 
 
 
 
 
I was in love even with the little ikebana I found in the restrooms (I'm hopeless, I know):
All this to let you know that being a cinema freak does not only mean spending hours in dark places or visiting cemeteries, but sometimes also means having great dinners in amazing places. 
Kurosawa docet!

sabato 10 aprile 2010

My own private Japan

Sarà capitato anche a voi, credo.
Di avere una semplice immagine in testa, un ricordo visivo, un momento cinematografico che per ragioni strane, insondabili, arriva per restare per sempre e creare tutto intorno un mondo a parte.
Metà reale, metà fittizio.
Quello che avete in mente, non è la stessa cosa che aveva mente il regista quando l'ha girata, probabilmente, eppure questo è il bello dell'arte, cinematografica e non.
Le opere parlano in maniera diversa a ciascuno di noi, toccando corde segrete che fanno risuonare desideri sopiti, nascosti chissà dove, provenienti da chissà quale pianeta.
Un pianeta che solo noi conosciamo, e che a volte ci riesce di condividere con altri essere umani, a volte no.
A me è successo molto spesso e, in alcuni casi, queste immagini sono state così evocative, da avere il potere di portarmi in un luogo preciso.
Uno di questi luoghi, si chiama Giappone.
I motivi per cui questo paese è il mio preferito al mondo, sono tanti, piuttosto validi, e reali, ma se mi chiedete perché mettendo piede in questo arcipelago la mia felicità è assoluta, entrano in gioco fattori che con la logica non c'entrano niente.
Entrano in gioco quelle famose immagini di cui parlavo, pezzi di ricordi che formano il nostro pianeta interiore.
E così io penso immediatamente alla scena iniziale di Rashomon di Kurosawa, con tutta quella pioggia, quel tempio distrutto, quei tre uomini seduti a parlare.
Penso a certe scene di dialogo dei film di Ozu, con padri e figlie fianco a fianco sul tatami, nel caldo dell'estate, o nella fresca brezza autunnale, che sorseggiano un té verde in yukata.
Penso a Emmanuelle Riva sulla terrazza di un hotel giapponese mentre bacia Eiji Okada, e alla litania suadente della frase "Tu n'as rien vu, à Hiroshima", ripetuta allo sfinimento lungo tutto il film. Il film è, ovviamente, Hiroshima, Mon Amour di Alain Resnais, anno 1959, sceneggiatura di Marguerite Duras.

E mi dico che è bello che il cinema abbia questo potere, il potere di farci fare le valigie e partire, per verificare se quello che abbiamo in testa esiste davvero, e non è stato solo frutto della nostra immaginazione. E di quella del regista.
E qualche volta si rimane delusi, ma qualche volta no.

Ogni viaggio in Giappone è stato per me una riconferma, un ritrovare intatti quei pezzi così preziosi per me, e la felicità di poter rubare le parole che il poeta Giorgio Caproni aveva usato per descrivere la sua prima volta in un luogo a lungo sognato:
Non c'ero mai stato, m'accorgo che c'ero nato.





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