domenica 27 settembre 2015

Les Deux Amis

Più invecchio e più i film “carini” mi danno addosso. 
Quei film che non si può dire che siano brutti ma nemmeno che siano belli. Quei film che ti domandi perché mai un regista si dovrebbe sbattere per anni (perché fare cinema prende un sacco di tempo) per raccontare una storia così, una storia che in fin dei conti ti dimenticherai nei tre minuti netti che ci metterai a coprire la distanza tra la sedia su cui stai seduto e la porta di uscita del cinema.
Il più delle volte si tratta di cose già viste mille volte. 
Inquadrature che le vedi arrivare da lontano, con una minima quota di film in memoria. 
E non importa che ci siano poi delle cose interessanti, che gli attori siano bravi, o bravini, e che a volte si ride anche (perché commuoversi, no, quello mai, perché in film così l’emozione vera non esiste).
Ora, se sei un regista al tuo primo film, a me questa cosa sembra ancora più grave.
Perché uno nel primo film vuole buttare dentro tutto, sbranare, fare errori, sporcarsi: chissà se lo fa, infatti, il secondo film.
Forse il problema è che qui il regista sa di poterlo fare di sicuro, un altro film.
E lo sa perché di nome fa Louis e di cognome Garrel.

Attore bravo ma non eccelso, Garrel ha fatto fino ad ora una buona carriera, un po’ grazie ai film del padre Philippe, un po’ grazie a quelli di Valeria Bruni Tedeschi (che è stata sua compagna per diversi anni), ma soprattutto grazie a quelli di Christophe Honoré.
Dopo tre cortometraggi (ne ho visto solo uno e devo dire che non era male: Le Petit Tailleur), ha ora diretto il suo primo lungo, Les Deux Amis, presentato in una sezione collaterale all’ultimo Festival di Cannes e ora approdato sugli schermi parigini.
Scritto da lui e da Honoré, il film ha per protagonisti due amici: Abel e Vincent. Entrambi 30enni che lo sa il Signore come si mantengono, passano le loro giornate a cazzeggiare. Vincent un giorno si innamora di una ragazza che serve bibite e panini in un chioschetto della Gare du Nord. Disperato perché la ragazza, dopo un primo approccio positivo, non lo vuole più vedere, chiede consiglio all’amico, evidentemente più sgamato in fatto di donne e pure di cose del mondo in generale. Per convincere Mona a restare con Vincent, alla fine i tre si ritroveranno a passare del tempo tutti insieme. La ragazza nasconde un segreto che loro scopriranno solo alla fine del film (lo spettatore no, lo sa subito: Mona è in libertà vigilata e la sera deve rientrare in prigione, quindi sta facendo cazzate su cazzate a restare in giro con loro). Ovviamente: le cose si complicano, a Mona piace l'uomo sbagliato, l’equilibrio dello strano trio vacilla, l’amicizia tra i due uomini pure.

Ora, ditemi voi se questa storia, già solo io a scriverla e voi a leggerla, non vi sembra il più grande déjà-vu della storia del cinema. Ed è proprio questo, il problema: che ti immagini tutto, e che tutto si svolge esattamente come avevi immaginato. Senza sorprese, senza un briciolo di profondità sui personaggi, sulle loro vite, sulle loro ragioni. E il tocco, il tono che vorrebbe essere leggero, a me sembra solo superficiale. E non basta, vorrei dire al nostro caro Louis, mettere una citazione da Jules & Jim per salvarsi dal confronto: "Abel, questa no, Abel!"
Eh, appunto, questa proprio no, non ci voleva, Louis. E non basta mettere al centro di un caffé deserto una donna che balla (per quanto bella, sensuale e carismatica come Golshifteh Farahani) per ricreare la magia di Bande à Part, né fare un omaggio al babbo tuo facendo partecipare come comparse i tre protagonisti ad un film sul Maggio ’68 che sembra proprio essere Les Amants Reguliers (con un triplo carpiato, per altro, dato che il protagonista di quel film eri tu).
E non basta nemmeno farsi aiutare da Honoré a scrivere un film che sembra la brutta copia di un film di Honoré (che stia attento pure lui, che dopo quella stronzata galattica di Métamorphoses e la sceneggiatura di questo film ne ha parecchie, di cose da farsi perdonare) o dare la parte dell’amico a Vincent Macaigne, sapendo che si tratta di un bravo attore (sì, che però fa SEMPRE la parte dello svampitone simpatico e pacione e magari anche cambiare registro gli farebbe bene).
Tu, certo, niente da dire, Louis, con quella meravigliosa gueule de cinéma puoi stare sullo schermo all’infinito e noi non ci lamenteremmo mai, però pure tu uno sforzino per ampliare la tua palette di recitazione lo potresti fare.  

Louis Garrel nella scena finale di Les Amours Imaginaires di X. Dolan
Ma soprattutto, ed è questo che non ti perdono, non puoi pensare di fare un film à la Xavier Dolan. Perché lo so che non lo ammetteresti nemmento sotto tortura, ma era quello che stavi carcando disperatamente di fare. Senza riuscirci.
Il talento di Dolan ce l’hanno in pochissimi e, soprattutto, sono in pochissimi a fare dei film come i suoi, dove senti che quello che ha da dire o lo dice o muore, e per arrivarci non ha paura di niente: né di far scorrere fiumi di pellicola, né di essere sopra le righe, né di esagerare, né di buttarci sopra un quintale di trippe.
Che tu, evidentemente, non hai.
Ma provaci ancora, Louis, magari sarà proprio il secondo film a rivelare che un'anima, in fondo, ce l'hai anche tu.


2 commenti:

  1. Anch'io avevo l'impressione che sotto sotto stesse provando a fare un film alla Dolan, ma già dall'utilizzo delle musiche (spalmato, e non "estatico", per farla breve) ti rendi conto che siamo lontani anni luce… Sì, concordo abbastanza con quanto scrivi. Peccato veniale per il film in sé (di film sulla stessa storia ne abbiamo visti e rivisti 3000, non è quello il problema), ma se consideriamo che è il primo film che delusione...

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    Risposte
    1. Già, per un primo film è veramente deludente! Magari ci stupirà con il secondo...
      Ciao capo!

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