martedì 15 gennaio 2013

Une Liaison Pornographique

Non so quale sia per voi, ma per me il lavoro domestico di gran lunga più insopportabile è stirare.
L’unico aspetto che lo rende un po’ meno tragico, è che si può fare mentre si guarda la TV. Di solito, ne approfitto per rivedere dei vecchi DVD (perché, diciamolo, stirare e guardare un film non è facilissimo). Ieri sera, dal momento che mi toccava l’ingrato compito, ho deciso di vedere che cosa offriva il palinsesto televisivo. Arté, che non delude mai, stava trasmettendo La Nuit Américaine di Truffaut. E che ve lo dico a fare che, nonostante conosca i dialoghi a memoria, non sono più riuscita a cambiare canale?
E ho fatto proprio bene, perché dopo quella meraviglia, ho scoperto che c’era in programma Une Liaison Pornographique, di Frédéric Fonteyne (1999).
Questo film lo avevo già visto (e già molto amato) quando era uscito nelle sale italiane, ma ero curiosa di rivederlo: come sarà - mi chiedevo - dopo tutti questi anni? Invecchiato? Meno bello? Meno speciale di quanto ricordi? La risposta sta tutta in questa constatazione: ho iniziato a guardarlo e ho smesso di stirare. Immediatamente. Perché il cinema, quando è bello, va visto bene, in silenzio, al buio - possibilmente di una sala cinematografica - ma se si è a casa, almeno non alla luce di un ferro da stiro!

Parigi, inizio anni ‘90. Un uomo ed una donna (non sapremo mai i loro nomi) si incontrano ogni settimana in un caffè per poi andare in un hotel a fare sesso. L’uomo ha risposto ad un annuncio della donna su Minitel (ecco l’unica cosa veramente datata del film!). La donna vuole dare vita ad un suo fantasma sessuale (non sapremo mai quale), e l’uomo è interessato a soddisfarla. Dopo una serie di incontri puramente sessuali, i sentimenti si immischiano alla vicenda, per la quale non è previsto il lieto fine. Il film è ricostruito attraverso dei flash-back, basati sui racconti incrociati dell’uomo e della donna che sembrano rispondere, anni dopo e separatamente, alle domande di un interlocutore per un documentario, ma di cosa si tratti e chi è l’intervistatore non lo sapremo mai: la sua presenza si limita ad una voce fuori campo. 
Ammettiamolo, ci sono cose per cui i francesi ci sanno proprio fare. 
In un certo tipo di cinema, quello fatto di quasi niente (si sa, i film in cui succede poco sono un po’ la mia passione), di dialoghi scritti benissimo, atmosfere appena accennate, sottotesti suggeriti, mise en scène in cui nulla è lasciato al caso, che volete che vi dica, sono proprio imbattibili. E spesso hanno anche meno paura degli altri, su certe cose. In Italia e nei paesi anglosassoni, per dirne una, il titolo del film è stato cambiato: Una relazione privata, per quello nostrano, An Affair of Love per gli inglesi. Significa proprio nascondersi dietro un dito, non vi pare? (eh, potere della censura preventiva). I francesi su questo sembrano andarci giù molto più tranquilli: se la relazione è pornografica, pornografica sia. Il che, ovviamente, non significa che il film sia porno. Tutt’altro. Ogni volta che l’uomo e la donna arrivano all’hotel, quello che fanno rimane nascosto dietro una porta che si chiude, le uniche scene di sesso che vengono mostrate (queste sì senza nascondere nulla, ma con eleganza assoluta) sono quelle in cui la coppia decide di fare l’amore “normalmente”.
La coppia in questione è quella formata da due attori di gran classe: Nathalie Baye, una delle più brave attrici francesi (che non a caso per questo film ha vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia 1999), e Sergi Lopez, un catalano naturalizzato francese che negli anni si è costruito da queste parti un’ottima carriera. Se il film funziona così bene, lo si deve soprattutto a loro. Perché è una storia che si legge e si interpreta sulle espressioni del loro volto, su dettagli minimi, su pochi e precisi gesti. Finito il film, andando a sbirciare nelle biografie dei due attori, mi sono resa conto con grande sorpresa che hanno ben 17 anni di differenza. Sarà che la Baye a 51 anni ne dimostrava 10 di meno, e Lopez forse qualcuno in più dei suoi 34, ma sta di fatto che nel film questo argomento non è mai minimamente accennato (in altri paesi sarebbe stato, ne sono certa, argomento di dibattito “cougar”).
Qui, semplicemente, ci sono un uomo ed una donna che cercano la stessa cosa, e forse la trovano, ma sono troppo spaventati per poterlo ammettere a loro stessi, figurarsi all'altro.
E' strano vedere lo stesso film a tanti anni di distanza. 
Ci si rende conto di capire delle cose che all'epoca ci erano sicuramente sfuggite. Io quasi non ricordo chi fosse la me stessa che si è seduta al cinema 14 anni fa, ma di sicuro quella che l'ha guardato ieri era un'altra persona, con un vissuto che fa tutta la differenza. Quel finale che all'epoca mi era sembrato tanto triste, e così improbabile, oggi mi sembra la cosa più normale del mondo, mi sembra persino inevitabile. 
Ognuno ha i suoi metodi per capire quanto si è diventati grandi. 
Io, tanto per cambiare, ho il cinema. 

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