giovedì 8 giugno 2017

Song to Song

"Qu'est-ce que le cinéma ?", se lo chiedeva già André Bazin nel lontano 1958.
Già. Che cos’è esattamente il cinema? E, domanda ancora più difficile ed ambiziosa, che cos’è esattamente il grande cinema? La questione è spinosa e me la pongo spesso: nel blog ho scritto già diversi post che ruotano attorno a questo quesito fondamentale.
Il dubbio atroce mi prende soprattutto quando vedo un film da tutti o da molti considerato bellissimo e che a me fa venire nel migliore dei casi l’orticaria e nel peggiore dei casi il desiderio di lasciare la sala dopo 10 minuti.
Il regista contemporaneo che forse più di ogni altro mi suscita il caso n° 2 è l’americano Terrence Malick.

Avevo amato alcuni dei suoi film (soprattutto The thin red line), senza perderci la testa, e poi è arrivato The tree of Life, e lì le cose sono precipitate. A stento ho resistito fino alla fine del film, e già mi sembrava di aver fatto uno sforzo enorme, ma il peggio è arrivato dopo. 
A sorpresa, tantissimi amici lo avevano amato, alcuni lo consideravano addirittura un capolavoro, e io mi sono ritrovata a discutere su forum dove la gente si insultava da entrambe le parti.
Con mia grande soddisfazione, lo ammetto, i due film successivi di Malick, To the wonder e Knight of cups, hanno parecchio raffredato gli animi. Non mi pronuncio perché non li ho visti, ma diciamo che è stato difficile trovare qualcuno, tra critici e amici, pronto a difenderli.
Mi ero più o meno ripromessa di evitare accuratamente in futuro la visione di qualsiasi sua pellicola, ma lui, come se volesse punirmi, che fa? Decide di fare un film con due attori che di nome fanno Michael Fassbender e Ryan Gosling.
Allora dillo, che mi vuoi male.
Dillo che ce l’hai con me personalmente, Terrence.
Cosi, bando ai pregiudizi, armata - lo giuro - delle migliori intenzioni, pochi giorni fa sono andata a vedere Song to Song in un bellissimo cinema di Amsterdam, il Kriterion (a Parigi il film arriverà solo a fine Luglio).

A questo punto, nei miei post, di solito scrivo qualche riga di trama.
Solo che, in questo caso, il compito è arduo, ma ci proverò comunque.

Ambientanto ad Austin, Texas, nel mondo della musica (ci sono tra l'altro diversi cameo di cantanti famosi tra cui Patti Smith e a Iggy Pop), Song to Song è la storia di un triangolo amoroso tra il musicista BV (Gosling), la sua ragazza aspirante tale, Faye (Rooney Mara) e un ricco produttore, Cook (Fassbender). Un paio di altri personaggi fanno capolino nella storia, come una cameriera con cui Cook ha una storia, Rhonda (Natalie Portman) e una donna che diventa l'amante di BV, Amanda (Cate Blanchett).
Di più, non saprei proprio dire.
Il cinema, per quanto mi riguarda, è un atto di fede.
Ci devo credere, a quello che vedo sullo schermo: devo potermi fidare ciecamente del regista e delle sue immagini, della sua storia e di come la racconta.
Se gli credo, può mostrarmi praticamente qualsiasi cosa, nei modi e tempi che ritiene più opportuni.
Non mi spaventano né la lunghezza né la lentezza.
Non mi spaventano le ellissi, le metafore, i flashback, i flashforward, i ralenti, i silenzi, i dialoghi a raffica, le immagini sfuocate, il bianco e nero, il formato quadrato, lo split-screen, insomma la qualunque.
Ma se non gli credo, ecco, se non gli credo è la fine.
E io a Malick non ci credo neanche per mezzo secondo.
Perché a me sembra uno che abbia perso l’ispirazione e le cose da dire circa 15 anni fa e che da allora tenti disperatamente di far credere al mondo che è un grande maestro con uno stile tutto suo. Che imbastisca questi film senza capo né coda, infarciti di luoghi comuni, dialoghi al limite del ridicolo, successioni di scene evocative, meravigliose immagini di tramontoni e nuvole e risacca del mare, e case da Architectural Digest tutte legno e vetro, per nascondere il nulla cosmico che si annida dentro di lui e dietro il suo cinema. 

Sbaglierò?
Può essere, ma il problema rimane.
Almeno per me. Perché, appunto, non ci credo. Non credo al suo modo di costruire le storie, non credo ai grandangoli con cui riempie 2oreeventi di fim, non provo empatia né simpatia per i suoi personaggi, non sento niente se non irritazione mista ad una noia mortale prossima all'asfissia e, nel caso specifico, anche un’estrema frustrazione nel vedere due attori bravissimi come Gosling e Fassbender utilizzati in questo modo.
Non so che farci. Ci ho provato, con tutta me stessa. Giuro.
Ma dopo 10 minuti volevo già uscire dal cinema, volevo mettermi a urlare, volevo dire basta.
Quando Fassbender, incontrando la Portman nel ristorante in cui lavora, le dice: Aiutami, ho una malattia, non posso essere lasciato da solo, avrei avuto voglia di rispondergli: se continui a stare in un film di Malick, figlio mio, ti molleranno tutti. Persino io.
Insomma mi dispiace, ma della canzone di Malick io faccio volentieri a meno.

Plait it again, Terrence, but nor for me!

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