venerdì 29 ottobre 2010

Jacquot de Nantes

Ci sono registi che amiamo lo spazio di un film, registi che detestiamo dalla prima all'ultima inquadratura, registi che (peggio ancora) ci lasciano completamente indifferenti, e poi ci sono loro, i registi che ci cambiano la vita. Per i quali c'è un prima, e c'è un dopo. In questi giorni si celebra in tutta la Francia il ventesimo anniversario della morte di un uomo che ha fatto un'enorme differenza per tante persone, blogger che scrive inclusa: Jacques Demy.
Avrei così tante cose da dire, su di lui, che un post mi sembra davvero ridicolo. Ma ci proverò comunque.
Nato nel 1931 in un paesino della Loire-Atlantique, figlio di un garagista e di una parrucchiera, Demy è cresciuto a Nantes, che lascia nel 1949 per trasferirsi a Parigi ed entrare in una scuola di cinema, da sempre il suo più grande sogno. Diventa amico della banda dei Cahiers du Cinéma, inizia a scrivere delle sceneggiature, e nel 1958 incontra la regista Agnès Varda. E' il grande amore: si sposano nel 1962, hanno un figlio (Mathieu, ma della famiglia fa parte anche Rosalie, la figlia che Agnès ha avuto da una precedente relazione) e staranno insieme, salvo brevi separazioni, fino alla morte del regista, nel 1990. La filmografia di Demy non è sterminata: 14 lungometraggi in tutto, e include anche opere piuttosto bruttarelle ed assurde, ma grazie ad una manciata di titoli, Demy si è imposto come un maestro assoluto, come il creatore di un universo particolare ed inedito, modernissimo e retrò allo stesso tempo, con uno stile che ancora oggi rimane un punto di riferimento e un modello inimitabile per schiere di registi.
Sto parlando soprattutto di un film-pietra miliare della storia del cinema: Les Parapluies de Cherbourg, Palma d'Oro al Festival di Cannes 1964 e, almeno che io sappia, primo (e unico?) esempio di film cantato. Sì, avete capito bene, non sto parlando di un musical, dove la gente dialoga normalmente e ad un certo punto c'è una canzone e/o un balletto. Qui la gente invece di parlare, canta. Sempre. Lo so cosa state pensando: oddio, ma che roba è? questo è pazzo! No, credetemi, una volta che vi lasciate rapire dalla musica, dai colori, dal volto sognante di Catherine Deneuve, dalla dolcezza un po' maladroite di Nino Castelnuovo (eh, si, proprio lui... vi siete mai chiesti come mai Anthony Minghella gli avesse affidato una parte in The English Patient? La risposta è questo film!), dalla storia romantica ma crudele, dai dialoghi cantati che sono dei gioielli in rima, dalla mise en scène precisa e splendida di Demy, capirete perché per questo film la parola CAPOLAVORO non è spesa invano. Fondamentale, per la creazione di questo personalissimo universo, la sua collaborazione con due grandi artisti: il musicista jazz Michel Legrand e lo scenografo Bernard Evein (la carta da parati più bella della storia del cinema, la dobbiamo a lui), che non a caso saranno quasi sempre al fianco di Demy nel corso della sua carriera.
Ma già con il suo lungometraggio d'esordio, il bellissimo Lola (1960), Demy aveva fatto capire di cosa era capace, ed aveva introdotto alcuni dei temi a lui più cari, che ritorneranno come un ritornello in tutta la sua opera: la ricerca (e a volte la lunga attesa) dell'amore assoluto, la differenza di classe sociale come motivo di separazione tra gli amanti, la crudeltà del destino, la favola/il sogno come dimensione ideale per sopportare la realtà di questo mondo. Non è dunque un caso che uno dei suoi film più riusciti sia stato la trasposizione in immagini di Peau D'Ane (Pelle d'Asino), sempre con Catherine Deneuve.
Ma c'è un altro gioiello che Demy e la Deneuve hanno girato insieme, il solo film del regista in cui la sua vena malinconica viene messa da parte per far spazio ad una gioia di vivere incredibilmente contagiosa: Les Demoiselles de Rochefort (1966). La storia di due sorelle gemelle (interpretate dalla Deneuve e da sua sorella nella vita, la deliziosa Françoise Dorleac, purtroppo morta in un incidente d'auto un anno dopo la fine delle riprese) alla ricerca dell'uomo ideale e della loro realizzazione come artiste, il tutto nella cornice di una città militare ma allegra e coloratissima, di marinai in libera uscita, con Gene Kelly e il protagonista di West Side Story che si aggirano indisturbati, ballando nelle strade. Insomma, il mondo en-chanté à la Demy, il mondo come ci piacerebbe che fosse.

Ovviamente, non si può parlare di Demy senza parlare di Varda.
Nel 1990, mentre Demy, già gravemente ammalato, si mette a scrivere le sue memorie di infanzia, la moglie decide di rendergli omaggio trasformando subito in pellicola quegli stessi ricordi. Il risultato è il commovente Jacquot de Nantes, dove alle immagini dell'infanzia di Demy si sovrappongono immagini tratte dai suoi film e primissimi piani fatti al regista stesso, malato e con uno sguardo dolcissimo, in silenzio davanti al mare. Una dichiarazione d'amore di una tenerezza sconvolgente. E sempre la Varda ha girato, nel 1993, un documentario intitolato Les Demoiselles ont eu 25 ans, nel quale ritorna a Rochefort con Catherine Denevue per le celebrazioni del venticinquesimo anniversario del film, intervistando gli abitanti che avevano preso parte alla lavorazione e andando alla ricerca di ricordi, scene, momenti divertenti, musiche e paesaggi.
Ma vorrei anche ricordare che Demy ha avuto una grandissima influenza su diverse generazioni di registi, e non solo francesi. Wong Kar-Wai ha più volte dichiarato il suo amore per lui e John Woo ha confessato di costruire le scene di sparatorie ispirandosi all'armonia delle scene di ballo dei suoi film. In Francia, ça va sans dire, ci sono registi che gli fanno dichiarazioni d'amore a ogni inquadratura. Il caso più eclatante è quello di Christophe Honoré, una specie di clone in versione moderna di Demy: nel film 17 Fois Cécile Cassard (Cassard è il cognome di un personaggio che compare sia in Lola che nei Parapluies de Cherbourg), Honoré gli rende un buffissimo omaggio, con un Romain Duris in versione osé che canta la canzone di Lola sulla riva di un fiume. E comunque, Honoré è come se rifacesse Demy ad ogni film, e ogni occasione è buona per far cantare e ballare i protagonisti dei suoi film. Piuttosto incredibile, poi, è il caso di Jeanne et le garçon formidable di Olivier Ducastel et Jacques Martineau, del 1998. Questa coppia (nel lavoro e nella vita) di registi ha creato un film anni '80 alla Demy, il cui protagonista è (niente-poco-di-meno-che) Mathieu, suo figlio. Benché il tema non sia per niente allegro: il protagonista è malato di AIDS e sta per morire, il tono è leggero e sognante, pieno di canzoni e balletti scatenati e una scena di manifestazione presa pari pari da Une chambre en Ville, altro film di Demy.

Mi dispiace, come temevo, questo post è lunghissimo, e spero non me ne vogliate. Ma ditemi voi: come si fa ad essere brevi, quando si sta parlando dell'uomo che si ama?







domenica 17 ottobre 2010

Les Amours Imaginaires (the second time around)

Niente, succede che mi sono innamorata follemente di questo film e sono tornata vederlo con un gruppo di amici. Avevo paura di aver esagerato con l'entusiasmo, la prima volta. Mi sono detta che a riguardarlo ci avrei sicuramente trovato dei difetti, che l'entusiasmo si sarebbe smorzato.
Non è andata così.
Mi è piaciuto ancora di più, mi sono divertita ancora di più, l'ho trovato ancora più intelligente, e pieno di idee alle quali non avevo prestato abbastanza attenzione.
Dal momento che tanti amici parigini volevano sapere cosa avevo raccontato, nel mio post precedente, ho deciso di chiedere alla mia amica Manù, bravissima traduttrice (Les Mots Traduits), di trasformarlo in francese. Et voilà!

Sortez vos calepins et marquez vite le nom de XAVIER DOLAN.
Et stabilotélez-le aussi! Pourquoi? Parce que ce canadien vient de tourner son deuxième film et on a envie de croire qu’il est entré dans l’histoire du cinéma pour y rester un bon moment. D’ailleurs, je ne suis pas la seule de cet avis: ses deux films ont été sélectionnés au Festival de Cannes. Le premier en 2009 (en rapportant tous les prix de la Quinzaine des Réalisateurs) et le deuxième en 2010 (dans la section Un Certain Regard). Dolan est du genre à savoir tout faire: il écrit, il réalise, il produit, il joue, il fait le montage, il s’occupe de la direction artistique, de la musique et - pour ce dernier film - même des costumes. Pas mal, vraiment. Surtout compte tenu de son âge: Dolan a 21 ans.
Lorsqu’il a écrit son premier long métrage il en avait 17. Son sujet? Voyons…la playstation? Ses premiers soucis d’amour? La peur du monde extérieur? Pas tout à fait. Son premier film - dont le titre n’y va pas par quatre chemins: J’ai tué ma mère - est la narration presque autobiographique de la relation ultra orageuse entre un ado gay (Dolan lui-même, évidemment) et sa mère, divorcée et single, qui essaie de l’élever. Un 400 coups façon québécoise, avec des disputes légendaires, des dialogues fleuves et l’omniprésence presque agaçante de la coupe à la Morryssey de Dolan. D’ailleurs, il est peut-être inutile de le préciser, ce jeune homme soit on l’aime soit on le déteste, sans demi-mesure.
Personnellement, j’en suis folle et la raison est simple: j’adore tous ceux qui ont le courage de leurs propres actes. Ceux qui y croient tellement qu’ils sont prêts à aller contre tout et tous. Dolan est exactement comme cela (selon la légende il aurait tatoué sur son genou droit une phrase de Cocteau: “L’oeuvre est une sueur”). Ce garçon a beaucoup de choses à dire et il veut les dire à tout prix et à sa manière. Il est d’un égocentrisme effrayant et il ne le cache pas. En étant quelqu’un d’intelligent, il a assez d’ironie pour l’admettre et pour le faire savoir aux autres.
Son deuxième film, Les Amours Imaginaires, est une confirmation de son grand talent (parce qu’un premier film on peut même le deviner, mais le deuxième il faut réellement savoir le tourner…). Francis et Marie sont deux amis qui, lors d’un dîner, ont un coup de foudre pour le même garçon, Nicolas, jeune éphèbe aux boucles d’or (la version blonde de Louis Garrel, je ne vous en dis pas plus mais ce n’est pas par hasard que je cite le nom de Garrel). A partir de ce moment là une guerre élégante et totale se déclanche entre eux. L’objet de leurs désirs, de son coté, semble tout faire pour confondre les deux prétendants. Il s’agit, le titre du film le dit clairement, d’un amour imaginaire, de quelque chose qui n’existe pas, d’un sentiment qui n’a pas lieu, d’un film imaginé par Francis et Marie. C’est un sujet universel, qui concerne –je le crains- un peu tout le monde (d’ailleurs les scènes du film sont coupées par des monologues en style documentaire où des jeunes canadiens racontent leurs peines d’amours imaginaires). On est tous tombés amoureux - quand on avait 20 ans - de quelqu’un qui ignorait notre existence; Dolan et son amie ne font pas exception. C’est juste qu’ils le font avec une certaine classe.
A partir de la magnifique scène initiale où Marie et Francis, filmés de dos devant un lavabo, se tournent tour à tour pour regarder Nicolas. Le jeu des regards et d’interrogations rigoureusement tourné en slow-motion se déclenche tout de suite pour faire comprendre aux spectateurs qui intéresse qui. Toute la séquence (sur le fond, on entend Bang Bang chantée par Dalida) où ils se préparent pour la fête d’anniversaire de Nicolas, à laquelle ils se présentent avec des cadeaux trop riches et des habits trop élégants pour les circonstances, est simplement merveilleuse. Les scènes au ralenti, déjà présentes dans son premier film, sont un trait caractéristique du style de Dolan, qui a été même accusé de plagier Wong Kar-Wai. Avec candeur, il a répondu lors d’une interview: “Wong Kar-Wai n’a pas le monopole du ralenti, si je veux en faire moi aussi j’en ai bien le droit!”. Je vous avais prévenu, il n’a peur de rien! D’ailleurs, il n’a même pas peur d’être cruel, de montrer la folie, la rage et le désespoir. Il ne nous épargne pas (et il ne s’épargne pas non plus) des moments gênants et même glauques. Parfait aussi en tant qu’interprète, Dolan sait bien choisir ses acteurs: Monia Chokri est impeccable dans le rôle de Marie, adorable et coincée (donnez-moi l’adresse de sa boutique vintage parce que je veux deux exemplaires de chaque!!!). Niels Schneider très juste dans son rôle de beau inaccessible. Mais surtout: quelle joie de retrouver l’incroyable Anne Dorval, maman un peu ringarde qui a failli être tuée par Dolan lors de son premier film, et qui est devenue ici la mère hypermoderne de Nicolas (une vengeance?).
Qu’est ce que voulez vous que je vous dise? La nature effrontée et insupportable de Dolan a quelque chose d’irrésistible. C’est un film qu’on n’arrive pas à se sortir de la tête.
Parce que les amours sont peut être imaginaires, mais le talent, lui, il est bel et bien réel.

martedì 12 ottobre 2010

Brothers

Anche le bloggers tengono famiglia.
Quella di Zazie è composta da quattro persone: babbo, mamma e fratello. Stanno tutti a Milano e limitrofi, io sono l’unica emigrante del gruppo. Prima a Genova e poi qui a Parigi. Nel nostro piccolo (nel senso che siamo anche tutti piuttosto bassetti di statura), in quanto a particolarità non ci siamo mai fatti mancare niente. Una volta mia mamma ha pronunciato la famosa frase (accompagnata da sguardo sconsolato verso me e mio fratello): voi due, basta che ci sia una cosa normale, scappate subito da un’altra parte. Ecco, direi che come esempio rende abbastanza bene l’idea.

Questo simpatico preambolo serve a giustificare il fatto che, da quando ho aperto il mio blog circa un anno fa, oggi è la prima volta che sto per scrivere una cosa che con il cinema non c’entra niente. La verità è che mio fratello, Matteo B. Bianchi, fa lo scrittore, e oggi esce in tutte le librerie Italiane il suo nuovo romanzo, Apocalisse a domicilio (Marsilio Editore). E io non potevo non farvelo sapere.
Privilegio di sorella, il libro l'ho letto prima della publicazione, e lo so che non dovrei dirlo proprio per via del legame di parentela che ci unisce, ma che posso farci... l'ho trovato bellissimo.
E' dura certe volte essere così vicini a chi scrive, perché inevitabilmente non si riesce a mettere abbastanza distanza tra noi e le sue parole, e allo stesso tempo si ha la sensazione di poter capire sfumature che gli altri intenderanno in modi diversi, ma che noi sappiamo di riconoscere per via della vita trascorsa insieme.
Questo è il quarto romanzo di Matteo, e per me è il suo romanzo della maturità. Il migliore. Fino ad ora. Perché sono sicura che ce ne saranno altri, e che saranno ancora più belli.
E questo mi pare il più bel complimento che io gli possa fare.
Come quando vedo il film di un regista che mi piace tantissimo e penso, con una gioia un po' surreale, che sono felice non solo per il film che ho appena visto, ma per quelli che verranno dopo.
Anche se non ho, come in questo caso, la fortuna di averlo come fratello.

lunedì 11 ottobre 2010

Beatrice, Mon Amour!

Qualche anno fa, in una rivista femminile, mi è capitato di leggere per caso un articolo dedicato ad una illustratrice italiana che vive e lavora in Francia, Beatrice Alemagna.
Incuriosita dai suoi disegni e dalla sue parole, ho ordinato via internet, così a scatola chiusa, un paio di suoi libri, che si sono poi rivelati due capolavori: Mon Amour et Gisèle de Verre. Il primo (mio personale coup de coeur di tutta la vita) è la storia di un esserino un po’ bizzarro che tutti vogliono catalogare in qualche modo e che deve aspettare l’arrivo di un altro esserino altrettanto bizzarro per essere accettato, ed amato, per quello che è (scuole: adottatelo come libro di testo per far capire in maniera semplice e geniale l’importanza di tutto ciò che è altro da noi!!!). Il secondo è la storia di una bambina dalla testa trasparente attraverso la quale si possono leggere i suoi pensieri. Con tutte le conseguenze, anche molto tristi, del caso.
L’universo di Beatrice è un universo così particolare ed affascinante, che è impossibile non rimanerne incantati. Sia i suoi testi che le sue tecniche (che cambiano di libro in libro, ma comprendono un misto incredibile di disegno, collage, stoffe, bottoni, vecchie fotografie in bianco e nero) sono l’espressione di un animo sensibilissimo e speciale, che una volta conosciuto non si vorrebbe lasciare mai.
Alla quinta lettura di Mon Amour e conseguente, ennesimo pianto finale, mi sono detta che dovevo scrivere a questa ragazza. Ho guardato le pagine gialle di Parigi sul web e ho trovato un'unica Beatrice Alemagna residente in città. Ho sperato che fosse lei e le ho spedito una lettera. E’ andata a finire che era veramente lei. Beatrice mi ha risposto, ci siamo scritte per qualche tempo e poi, quando mi sono trasferita anch’io a Parigi, ci siamo conosciute.
Di persona, Beatrice è fiabesca come le sue storie, con due grandi occhi blu spalancati su questo strano mondo. Persino casa sua è come una fiaba, con una foresta dipinta in soggiorno e bellissimi disegni in sala da bagno. L’unica cosa che a me è sempre sembrata incredibile, e profondamente ingiusta, è che in Italia Beatrice non sia conosciuta come in Francia, dove ha vinto premi su premi ed ha una solidissima fama che cresce di libro in libro (le sue opere per altro sono tradotte in moltissime lingue straniere, comprese giapponese e coreano).
Da qualche tempo, però, le cose stanno cambiando: un paio d’anni fa è stato pubblicato un suo libro per le edizioni Topipittori: Che cos’è un bambino, e stanno diventando numerose le mostre dedicate ai suoi lavori, soprattutto a Bologna, che è la sua città natale.
Ma ancora una volta è il cinema che pensa a fare un po’ di giustizia. Beatrice, che da anni crea delle meravigliose illustrazioni per le rassegne di cinema per l’infanzia del Centre Pompidou (date un'occhiata al suo sito: www.beatricealemagna.com), ha ricevuto una proposta dal regista/attore/scrittore Ascanio Celestini. Celestini, grande ammiratore del suo lavoro, le ha chiesto di disegnare l’affiche del suo nuovo film, La Pecora Nera, uno dei quattro film italiani in concorso al Festival di Venezia di quest’anno e attualmente in programmazione nelle sale italiane. Come potete notare, l'illustrazione è un vero gioiello, e fa venir voglia di correre al cinema a vedere la pellicola.
Vivendo qua a Parigi, io ancora non ho avuto modo di farlo, quindi non posso esprimere giudizi, ma una cosa è certa: se è come l’illustrazione di Beatrice... sarà una meraviglia!

giovedì 7 ottobre 2010

Les Amours Imaginaires

Uscite i taccuini e segnatevi questo nome: XAVIER DOLAN.
E poi magari passateci sopra anche un evidenziatore. Perché? Perché questo canadese di Montreal è al suo secondo film e ha tutta l’aria di uno che nella storia del cinema c’è entrato per restare. Del resto, non sono la sola a pensarlo: i suoi film sono stati entrambi selezionati per il Festival di Cannes, il primo nel 2009 (portandosi via tutti i premi esistenti della Quinzaine des Réalisateurs) e il secondo nel 2010 (nella sezione Une Certaine Regard, ricevendo circa 8 minuti di applausi a fine proiezione). Dolan è uno che fa letteralmente tutto: scrive, dirige, produce, recita, fa il montaggio, si occupa della direzione artistica, della musica e nell’ultimo film pure dei costumi. Notevole, vero? Eh sì, soprattutto se tenete conto di un piccolo particolare: la sua età. Perché Dolan di anni ne ha 21.
Ha scritto il suo primo lungometraggio che ne aveva 17. Tema? Vediamo… playstations? primi problemi con le ragazze? paura di affrontare il mondo esterno? No, non proprio. Il suo primo film, dal titolo non-ve-lo-mando-certo-a-dire: J’ai tué ma mère (Ho ucciso mia madre), è un racconto semi-autobografico del rapporto più che burrascoso tra un adolescente gay (Dolan stesso, ovviamente) e sua madre, divorziata, e single, che cerca di crescerlo. Un vero 400 Colpi in salsa québécoise, con litigate mostruose, dialoghi fiume, e la zazzera alla Morrissey di Dolan onnipresente e al limite del fastidioso. Perché, forse è inutile specificarlo, questo ragazzo o lo si ama o lo si odia, senza mezzi termini. Personalmente, io ne vado pazza, per una semplice ragione: adoro le persone che hanno il coraggio delle proprie azioni. Che ci credono così tanto, in qualcosa e nel loro talento, da essere pronti ad andare contro tutto e tutti. E Dolan è esattamente così (leggenda narra che abbia tatuato sul ginocchio destro una citazione di Cocteau: “L’oeuvre est une sueur”. L’opera è una sudata). Il ragazzo ha parecchie cose da dire e le vuole dire a tutti i costi, e pure a modo suo. E’ evidentemente di un egocentrismo pauroso, ma non lo nasconde. Ed essendo una persona intelligente, è dotato di sufficiente ironia per ammetterlo e farlo capire agli altri. Il suo secondo film, Les Amours Imaginaires, è una conferma del suo grande talento (perché un primo film lo puoi azzeccare, ma il secondo no, lo devi proprio saper fare). Francis e Marie sono due amici che, nel corso di una cena, hanno un colpo di fulmine per lo stesso ragazzo, Nicolas, un efebo dai bei boccoli d’oro (praticamente la versione bionda di Louis Garrel e, non vi dico di più, ma non faccio questo nome a caso). Da quel momento, tra loro ha inizio una lotta elegantemente senza quartiere alla conquista dell’oggetto del desiderio. Il quale, ovviamente, sembra fare di tutto per confondere le idee ai due contendenti. Si tratta, come dice esplicitamente il titolo, di un amore immaginario, di qualcosa che non esiste, di un sentimento che non c'è, di un film che si fanno nella testa Francis e Marie. E’ un tema universale, da cui nessuno - temo - si possa dire immune (per altro le scene del film sono inframmezzate da monologhi in stile documentaristico nei quali dei giovani canadesi raccontano le loro pene d’amore immaginario). Tutti ci siamo innamorati di qualcuno che nemmeno sapeva della nostra esistenza, quando avevamo 20 anni, e Dolan e la sua amica non fanno differenza. Solo che loro lo fanno con stile.
Sin dalla bellissima scena iniziale, con Marie e Francis filmati di spalle davanti a un lavandino che si voltano a turno per osservare Nicolas, e continuare poi nel gioco di sguardi ed interrogazioni rigorosamente filmati in slow-motion per capire chi è interessato a chi. Meravigliosa tutta la sequenza (con Bang Bang cantata da Dalida in sottofondo) della loro preparazione per la festa di compleanno di Nicolas, dove si presentano con regali troppo belli e in abiti troppo raffinati rispetto all'occasione. Le scene di ralenti, già presenti nel primo film ma che qui letteralmente straripano, sono una delle cifre stilistiche di Dolan, il quale è stato accusato di esagerare e di copiare Wong Kar-Wai. Lui ha candidamente risposto in un'intervista: "Non è che Wong Kar-Wai ha il monopolio delle scene di ralenti, se le voglio fare anch'io ne avrò pure il diritto!" Ve l'ho detto, che questo non ha paura di niente. Del resto non ha nemmeno paura di essere crudele, di mostrare sprazzi di follia, di rabbia o disperazione e non risparmia, né a se stesso né agli altri, dei momenti imbarazzanti e squallidi.
Bravissimo anche come interprete, Dolan è capace di scegliere bene i suoi attori: Monia Chokri è perfetta nella parte della legnosetta ma deliziosa Marie (e che qualcuno mi dia l'indirizzo del negozio vintage dove hanno comprato i suoi abiti perché voglio DUE DI TUTTO), mentre Niels Schneider è altrettanto perfetto nel ruolo del bello e irraggiungibile, ma soprattutto: che piacere ritrovare l'incredibile Anne Dorval, la mamma un po' ringarde che Dolan voleva ammazzare nel suo primo film, qui diventata la madre iper-moderna (forse per vendetta) di Nicolas.
Che volete che vi dica? C'è qualcosa nella sfrontatezza e nella insopportabilità di Dolan che me lo rendono irresistibile. Ho visto questo film domenica sera e non c'è verso di farlo uscire dalla testa (e nel frattempo sono stata al cinema altre due volte), forse perché gli amori sono immaginari, ma il talento del regista, quello, è reale.

domenica 3 ottobre 2010

Sunset Boulevard (Zazie's LA adventures)



Everybody knows I am a huge fan of film stars.
As a matter of fact, I am a huge fan of anybody even vaguely related to cinema: people working for movies have special powers, for me. Wonder men and wonder women able to create that magical thing called a picture. I will never get enough of them.
It is true, though, that I have never been particularly interested in Hollywood. I have always been a bit snob about it: I prefer indie movies to the big studios productions, plus I have always loved New York so much that I convinced myself I couldn’t stand Los Angeles. This is why, when a couple of years ago I went there for the first time, I was very surprised by my falling in love with the city. LA is a weird place (especially for somebody like me, who doesn’t even have a driving license) but it is also an incredible place. People are particularly nice, the sun is always shining and everything seems cinematic. Cinema is everywhere, in LA: in cafés, restaurants, shops, museums, houses, parks, streets. This is where movies are made, and you can feel it.
Going back there last week, just convinced me even more of how much I adore this city. I always try to go to the movies when I am abroad, and this time I was lucky enough to be invited to the avant-première of a Disney picture at the Landmark Cinema: Secretariat by Randall Wallace. I have to confess that the movie was barely worth seeing (in DVD): the real story of a horse that won I don’t even remember which kind of race… do you know what I mean? Not to mention the fact that the main male role was played by my least favourite actor of all, John Malkovich (I’m sorry, this has nothing to do with his talent, it is just that the moment I see him on screen I want to punch him in the face, it is absolutely irrational. He is a great actor and probably a very fine lad, but I CAN’T stand him). It was very funny, though, seeing Nelsan Ellis (the adorable Lafayette Reynolds from the TV series True Blood) playing a mainstream part in a mainstream film. In fact, the most interesting thing of the evening was chatting to two Italian journalists who write about cinema and are both living in LA (Silvia and Alessandra: thank you for inviting me to the screening, girls!). They have explained me many things about the movie industry and how things work in the States. I realized that I tend to forget that cinema actually IS an industry, a very big one, involving money, difficulties and commercial tasks. Well, what can I say? I prefer to think about movies in a naïve way. So much so, that the next day I went around the city looking for old cinema venues… and I have found them!

BUT

Something else happened to Zazie in LA, and something very incredible indeed. I went to a Gala Opening organized by Lacma, and it was a real “Hollywood Party” experience, full of Big Film Stars. There were many actors, but one name in particular captured my attention, the one of James Franco. The only problem was that, no matter how much I was looking for him, he wasn't to be seen anywhere. I talked about this serious problem with an amazing woman from Lacma Communications (Barbara, you are my hero!!!), and she told me not to worry, because his presence to the party was confirmed. When, after the cocktails moment, we have been asked to seat at our assigned tables, I lost my hope. I thought: no way I am going to see him! But I forgot one basic thing: I was in Hollywood, and in Hollywood dreams can come true.
Still, when I saw Barbara walking towards my table with somebody behind her, I just imagined she had to tell me something related to work. I looked at her with a piece of shrimp in my mouth (why we are always doing this kind of stupid things, like EATING, in the fundamental moments of our lives???) and THEN I saw James Franco and a photographer looking at us. James Franco gave me his hand and said: "Thanks for taking this picture with me!" Not only stunningly gorgeous, the guy, but even smart and with a great sense of humour.
And this is how I met James Franco, and how we talked about the movie he will soon make in Paris (as a filmmaker as well as an actor), and about the party, and about Lacma, and about Milk, and about... my cinema blog. Oh, yes, don't ask me where I found the guts to do that, but I actually gave him the lovely card I have made to promote Le Blog de Zazie. And then he was gone, vanished, as in a fairy tale.
Was this REAL? I asked myself.

Well, my dear readers, it was. And, damn, I can prove it!

Zazie would like to thank all the lovely people at Lacma for making her stay in LA such an amazing experience: Melody, Kate, Samara, Barbara, Miranda, Christine, I love you very much!!!
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