giovedì 25 marzo 2010

La Bocca del Lupo

Ci sono giorni in cui succedono cose strane, impreviste.
Giorni in cui ricevi la semplice mail di un amico che ti propone di andare con lui e la sua ragazza a vedere un film Italiano che proiettano al Centre Pompidou e tu rispondi sì perché ne hai sentito parlare, perché l'orario è comodo e perché sai che il fim è ambientato a Genova (città nella quale hai vissuto per tanti anni).
E' quello che è successo a me ieri sera, ed è così che mi sono imbattuta in uno dei film più incredibili che abbia mai visto, La Bocca del Lupo (http://www.mymovies.it/laboccadellupo/) di Pietro Marcello.

Vincitore del 27° Festival del Cinema di Torino, presentato all'ultima rassegna Berlinese, il fim di questo giovane regista casertano (Marcello ha solo 30 anni), dimostra ancora una volta e se ce ne fosse bisogno che la creazione di un'opera d'arte non ha nulla a che vedere con i soldi, con un cast di attori stellari e con il sempre più frequente "potevamo stupirvi con effetti multicolori".
Per fare un bellissimo film ci vogliono idee originali, ci vogliono le palle di credere a quelle idee e di non scendere a stupidi compromessi, ci vuole una visione unica del mondo, e il saperla trasformare in immagini, possibilmente con un certo stile.
Alla Bocca del Lupo, non fa difetto nessuno di questi elementi.
Un film che in uno dei periodi storici più cupi, squallidi e ordinari della storia del nostro paese, ci dimostra che la speranza è sempre l'ultima a morire, che i talenti ci sono, eccome se ci sono, le cose da dire pure, in abbondanza, e che i miracoli avvengono ogni giorno, solo che non tutti sono capaci di vederli.
Pietro Marcello (ma chi è? dove è stato fino ad oggi? perché mi sono accorta solo adesso di questo regista, che pare abbia già fatto un altro piccolo film altrettanto bello ed originale di questo?) i miracoli li fa vedere pure a noi.

La Bocca del Lupo è un oggetto-film molto particolare, voluto (udite! udite!) dalla Fondazione San Marcellino - gesuiti di Genova (Santi Subito!) per documentare la loro attività di aiuto agli emarginati della città.
Opera brevissima, dura soltanto 70 minuti, è un impasto bizzarro di documentario-fiction-immagini di repertorio-immagini rubate a vecchi film-momenti verità.
All'inizio si fa fatica a capire cosa stia succedendo. C'è una voce off che legge i versi di una poesia di Franco Fortini (e già è miracoloso che 1-la voce off 2-una poesia letta ad alta voce non creino quell'effetto da Tonino Guerra ultima maniera che ti fa cascare le braccia al secondo verso), ci sono immagini di repertorio dei primi del 900 con la gente che fa i tuffi in un posto che potrebbe essere una cittadina qualsiasi della Riviera di Levante e una nave enorme che salpa per chissà dove, ci sono scene di poveri derelitti che vivono vicino a degli scogli, e poi a poco a poco si fanno strada le voci di due uomini. Una ha un forte accento siciliano, è Enzo, e l'altra è la voce di un uomo che sembra quella di una donna, è Mary. Sono loro, per la verità, i veri protagonisti della storia, ma il film te lo fa capire gradualmente, introducendo nel frattempo altri elementi, altri gesti, e un'altra protagonista assoluta, Genova.
Il regista ci mostra la parte di città più martoriata, oscura e vera, quella del Centro Storico, di Sottoripa, di via Pré, dei vicoli infestati dai topi, abitati dalle trans, tempestati di bar di infima categoria e gente perduta. Eppure c'è qualcosa, nel suo modo di farcelo vedere, che riesce a trasformare il sordido in elemento talmente umano da risultare spiazzante. Così è la scena delle trans che parlano per strada in un pomeriggio qualsiasi e prendono un po' in giro un vecchietto che si diverte come un matto a stare con loro, così è la scena del Frisco Bar, dove un improbabile gruppo di loosers si trasfigura ballando sulle note dell'Eau à la bouche di Serge Gainsbourg (con il barista che un attimo prima sembrava catatonico e un attimo dopo balla a ritmo manco fosse Fred Astaire in un film di Vincent Minnelli).
Poi, all'improvviso, come una specie di puzzle che si compone pezzo per pezzo, tutto si fa più chiaro: Enzo è un uomo che ha passato quasi tutta la sua vita in carcere (è quella, la bocca del lupo che dà il titolo al film), ma che in carcere ha anche conosciuto l'amore della sua vita, Mary, un transessuale. Dal loro primo incontro in prigione una ventina di anni prima (lei gli ha cucito dei pantaloni in cambio di un pacchetto di sigarette), non si sono lasciati più. Mary, che grazie a lui è riuscita a smettere di drogarsi, lo ha aspettato pazientemente nei periodi in cui lui era dentro, non hanno mai smesso di inviarsi lettere d'amore (di cui possiamo sentire alcuni stralci durante il film), e poi hanno cercato di realizzare insieme il loro sogno, quello di una casetta in campagna dove passare il tempo con i loro cani, coltivando un pezzetto di terra.
E' solo alla fine del film che riusciamo a vederli uno accanto all'altro, ed è praticamente la prima volta che possiamo guardare il volto di Mary.
E' questo il momento più alto di tutta la pellicola: di fronte alla telecamera, Enzo e Mary raccontano la loro storia, il loro amore, ed è una cosa impressionante vedere quest'uomo siciliano, vero uomo del sud di quelli di una volta, parlare con orgoglio di come abbia protetto in carcere il suo amore transessuale, di quanto abbia lottato perché fosse rispettata e ben trattata. Mary lo guarda come se di fianco avesse Johnny Depp, perdutamente innamorata. E' commovente il suo sguardo ed è commovente il fatto che, quasi impercettibilmente, dopo che per tutto il film ha parlato di se stessa al maschile, passi al femminile con grande naturalezza, come se si stesse finalmente lasciando andare, raccontando del suo grande amore.

Quando Enzo e Mary finiscono di parlare, e lo schermo viene invaso dalle immagini di una Genova che non esiste più e i versi di Franco Fortini ritornano come una litania, ho avuto la sensazione che tutti, nel cinema, stessero per mettersi a piangere. E' invece partito un grande applauso. In cinque anni che vivo a Parigi, non mi era mai capitata una cosa del genere.
Sarà pure stato un film della rassegna Le Cinéma du Réel.
A me, è sembrato un sogno.



Un grazie speciale a Marco e Adriana per avermi proposto di vedere questo film insieme a loro. A buon rendere, ragazzi!

5 commenti:

  1. Ma come mai il cinema italiano è distribuito così male a Parigi??? Zazie, dobbiamo fare qualcosa!!! Dai mettiamo su una società di distribuzione o un bel centro culturale cinematografico (attenzione, ideona) !

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  2. Eh, Maelle, non lo so. Se ti può consolare, pure quello francese in Italia è distribuito malissimo. Speriamo che il film esca nei circuiti normali, a Parigi è possibile...

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  3. Ciao! Da italiana a Parigi amante del cinema seguo il tuo blog... c'ero anch'io al Pompidou! E ho pianto. Proprio oggi anch'io gli avevo dedicato un post. http://www.gradivasoup.net/2010/03/26/la-bocca-del-lupo-di-pietro-marcello/
    Se non hai visto "La Pivellina" (film italo-austriaco ma il film è in italiano, stesso genere docu-fiction a piccolo budget) corri! lo facevano vedere ancora al Latina, è una perla... http://www.gradivasoup.net/2010/03/01/la-pivellina-di-tizza-covi-e-rainer-frimmels/
    Au plaisir de te lire
    Marianna

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  4. Ciao Marianna, grazie per il tuo commento. Bello quello che hai scritto sul tuo blog a proposito del film, e bello anche il tuo blog!
    Dato che siamo due emigrate italiane a Parigi, perché non ci incontriamo? Io sono in Giappone fino all'inizio di Aprile, ma dal 7 sono di nuovo in città. Un abbraccio!

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  5. Ma certo, con piacere! Ci sentiamo via mail(gradiva@gradivasoup.net)? Buon Giappone!

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