mercoledì 30 aprile 2014

Basta un poco di zucchero...

Ci sono giorni in cui, difficile negarlo, le cose sembrano andare tutte storte.
Ad esempio: ieri mattina qui a Parigi splendeva un bel sole, poi nel pomeriggio il tempo si è guastato e ha iniziato a piovere a più non posso e a fare freddo.
E in più la giornata di lavoro intenso-troppo intenso non aiutava.
Sono uscita trafelata dall'ufficio e sono riuscita a prendere al volo un autobus che mi avrebbe portato quasi davanti al cinema dove avevo appuntamento con due amici e il nuovo film di Xavier Dolan.
Ma niente, per colpa della pioggia per strada c'era un delirio senza fine, e dopo sbuffi e imprechi di ogni genere, sono arrivata al Cinéma des Cinéastes in ritardo di 5 minuti sull'orario del film. E naturalmente alle casse c'era una fila lunghissima.
Ero furibonda. Anche perché questo cinema, a differenza dei vari UGC/Gaumont dove il film attacca dopo una serie infinita di pubblicità e trailers, al massimo fa vedere una-due anticipazioni di film.
Insomma ero fuori dalla grazia del Signore, e già mi veniva in mente quella scena di Annie Hall in cui Woody Allen arriva in ritardo al cinema, chiede se il film è già cominciato, e gli rispondono: "Sì, da due minuti", e allora lui si rifiuta di entrare.

Alvy (W. Allen) e Annie (D. Keaton)
Però a me, giuro, al cinema succedono solo cose bellissime.
E quindi, ecco spuntare dal nulla la mia amica Francesca che mi dice: "Vieni, salta la fila, io e Arco siamo già qui davanti". In un attimo, il biglietto era fatto.
Ho guardato con aria contrita il signore alla cassa: "Ma il film è già cominciato?"
"No, no, non ancora."
Evviva!
E quando ho dato al tipo il mio biglietto per il controllo, questo mi ha guardato e ha detto: "Che bel taglio di capelli che ha. Le sta benissimo!".
Ho pensato: no, vabbé, ma non ci credo!
E ancora non era niente... Stavo anche per vedere un bellissimo film del mio super amato Xavier Dolan: Tom à la Ferme.
Mary Poppins è una dilettante, al mio confronto!

giovedì 24 aprile 2014

Mad Men in New York

I am so lucky that sometimes I have to travel to New York for my job.
When I recently found out that I had to be in town around mid-April, my first reaction was to check if the first episode of Mad Men's last season was in one of those dates. And it was!
My readers know how much I love this show. Now, sadly enough, we are touching the end of this great adventure: 7 episodes this spring, under the title The Beginning, and 7 in the springtime of 2015, under the title The end of an era (I think I can already start crying).
I had always dreamt of seeing an episode of Mad Men in New York, and I know there are places where people gather to see the show all together.
So I asked my friend Adriano Ercolani, a film buff like me who lives in NY and has a lovely blog, BoboBro (written by him from NY and by his friend Mauro Donzelli from Paris), and of course Adriano knew about a place. And, of course, the place was in Williamsburg, Brooklyn.
Williamsburg, I have to admit it, even if now considered hipsterland, is one of my favourite places on planet earth. I have been there so often that it is kind of a second home to me, and every time I take the L in Manhattan to reach Bedford Avenue, I feel like the happiest woman in the world. I love everything there: the atmosphere, the restaurants, the cafés, the shops. Being a huge fan of vintage clothes, in Williambsurg there is also my favourite shop of this kind: Amarcord (the title of a movie... surprise! surprise!). Every time I am in town, I find a way to stop there, no matter what. Not only they have a great collection of clothes, but they are always super nice and friendly. Last year, when I stepped into the shop, the girl at the counter told me: "Oh, you wear such a lovely dress!" I looked at her, laughing: "Well, thanks... I actually bought it here!"
This time, I had the chance to meet one of the two owners of Amarcord, Marco Liotta, a very nice man from Rimini (the choice of that Fellini movie now completely clear!), who opened the shop in Williamsburg when the area wasn't that fashionable. 
I celebrated the event with a nice picture of us:
Marco, Zazie and Amarcord lovely girl
When Adriano and Mattia, the friend who was with him, picked me up at the shop, we had one of those great moments that sometimes happened as Italians abroad: the three of them started talking about good restaurants and nice places to go out in the neighbourhood, as if they were old friends and not people that have just met. I loved it! 
The combination of cinema and vintage is always the best, believe me...
Anyway, after having used one of that good addresses to have dinner, at 10 pm we were inside Videology. The place turned out ot be one of those incredible places that you can only find in Williamsburg: the first room is a bar, quite a common one, but then there is a small corridor and, after that, a large room similar to a school room: with desks and chairs, but instead of a teacher, there is a big screen.
When we arrived the room was already packed. Lots of Mad Men fans live in Brooklyn, apparently. Before the show I had a look around and I noticed that in the little corridor there was a small cubbyhole with the sign: DVD rentals. At Videology they still rent DVDs, and there was this woman giving away and taking back discs and chatting with people and I thought it was the coolest job in the world. Sweetest thing I saw recently, I swear.
Then, finally, the moment we were all waiting for...
People watching Mad Men at Videology
The room was so silent, even waiters bringing drinks were serving in a super quite way. Of course, we got completely hooked by the show after two seconds, and I was very surprised when the first commercial stopped that perfect vision. This is, I guess, the only bad thing of seeing the show live: every 8 minutes, an advertisement. An agony. At the same time, it was funny to see the reaction of people to a certain scene or dialogue and to hear the different comments. I found this first episode absolutely amazing, and the whole LA/NY thing very interesting. The scene where Megan, Don's wife, picks him up in LA airport in that car, with that dress, is simply breathtaking.
When the show was over, and I took the L to go back to Manhattan, I was in such a good mood. I had the feeling I was living exactly as Don Draper would have suggested: like there is no tomorrow.
Because there isn't one. And I like it.

martedì 8 aprile 2014

Cléo de 5 à 7


L’ho scritto spesso, in questo blog: di donne che fanno cinema ce ne dovrebbero essere molte di più, e spero che questo desiderio un giorno si trasformi in una realtà acquisita. 
Nel frattempo, posso dire che la qualità compensa parecchio la quantità. 
Sono rare le registe donne scarse. Quasi non me ne viene in mente neanche una. E quando penso a quella che potrebbe essere un modello per tutte, la vera “precorritrice”, penso subito a lei: Agnès Varda, classe 1928.
Una donna di questa età, direte voi, a 86 anni starà a casa a godersi la pensione.
E invece no, a parte il fatto che continua a fare film, trova anche il tempo di andare nei cinema di Parigi a presentarli. Da pochi giorni infatti è possibile rivedere, in alcune sale della capitale, il capolavoro assoluto della Varda, un film del 1962 recentemente restaurato: Cléo de 5 à 7.
Sono andata a vederlo la settimana scorsa allo Champo, e prima del film Agnès Varda è venuta a fare una piccola, deliziosa spiega. Mi sono amaramente pentita di non averla filmata, perché quello che è riuscita a dire in 4 minuti di presentazione, era di una intelligenza e di una delizia rare. I capelli metà bianchi metà di un violetto aubergine, la Varda parlava come un piccolo elfo: divertente, coinvolgente, buffa, ha detto cose profonde con una leggerezza disarmante.

"Questo film parla di bellezza e di morte", ha esclamato concludendo con un gran sorriso e con l’aria sbarazzina. Come si fa, dico io, a non trovarla irresistibile?
Agnès Varda allo Champo, 1° Aprile 2014

Florence ‘Cléo’ è una giovane cantante di successo di 25 anni. Corteggiata, di successo, giovane e bella, non le manca niente per essere felice, ma in questo primo giorno di primavera del 1961, Cléo è angosciata e impaurita. Sta infatti aspettando i risultati di un’analisi medica fatta qualche giorno prima e che le saranno comunicati proprio quella sera: potrebbe esserle diagnosticato un cancro. Il film segue, quasi minuto per minuto, le due ore che la separano da quel momento. Cléo non riesce ad aspettare tranquilla a casa e quindi, dopo aver provato qualche pezzo con i suoi musicisti, se ne va e cerca di distrarsi come può: fa acquisti, beve qualcosa in un caffé, va a trovare un’amica, esce con lei, va a camminare in un parco. E’ qui che incontra un perfetto sconosciuto, un giovane soldato in licenza che sta per tornare in Algeria (quindi ancora più spaventato di lei), che la convincerà ad andare insieme a lui all’Ospedale per conoscere i risultati delle analisi.
Rohmer ha scritto: Si è moderni solo se lo si merita.
Credo che questo a Cléo spetti di diritto: raramente un film è stato così moderno nella sua forma come nel contenuto. Mi sono spesso chiesta perché La Nouvelle Vague abbia avuto tanta influenza sui film di oggi (più di qualsiasi altro movimento cinematografico), e forse la risposta sta nella particolare capacità dei suoi registi a trasformare la materia più pesante in immagini super leggere. Questo loro uscire per le strade, una camera a spalla, due luci, pochi attori, mettersi al tavolino di un caffé e parlare di vita, amore, morte, filosofia, amicizia, felicità, dolore, e poi magari alzarsi, cantare una canzone e ballare. 

Prima di loro nessuno faceva cinema così, e mi verrebbe da dire che pure dopo sono stati pochi quelli che l’hanno fatto con tanta grazia e stile.
In Cléo c’è un breve, divertentissimo film in bianco & nero tipo ridolini che, per stessa ammissione della Varda, è stato inserito per stemperare un po’ la grande tristezza che pervade il film. La cosa carina, è che i protagonisti sono gli amici della Varda, che di nome fanno Jean-Luc Godard, Anna Karina, Sami Frey, Jean-Claude Brialy. E ad altri amici sono affidati delle piccole ma gustose parti: Michel Legrand (il leggendario compositore di tutte le musiche dei film di Jacques Demy, il marito di Agnès Varda) è il musicista di Cléo, mentre Raymond Cauchetier (IL fotografo della Novuelle Vague, è a lui che si deve l’epocale scatto di Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo sugli Champs-Elysées ai tempi di À bout de Souffle) è il proiezionista fidanzato dell’amica di Cléo che fa vedere alle ragazze il film ridolini:



Cléo è un film capace di farti assistere al miracolo di un cambiamento profondo nel giro di un paio d’ore. La giovane cantante delle prime scene del film, non è certamente la stessa che sta seduta su una panchina nel giardino di un ospedale alla fine. Cléo è passata attraverso tutte le fasi: dalla negazione alla disperazione, dal cercare gli sguardi ammirati degli altri al nascondersi al riparo da tutti, dalla spensieratezza alla rassegnazione. Ha soprattutto capito l'importanza di vedere, ascoltare, parlare con gli altri. Perchè è la presenza degli altri a fare la differenza nelle nostre vite. E questo valeva negli anni ’60 ma anche, e forse soprattutto, nel 2014.
Cléo (Corinne Marchand)


Non lo faccio spesso, ma vorrei dedicare questo post a qualcuno.
Vorrei dedicarlo a Sugako, che ci ha lasciato in questi giorni.
Una donnina speciale, dolcissima e super gentile, che non avrebbe certo avuto bisogno della diagnosi di una malattia grave per capire la bellezza del mondo e l’importanza degli altri. Perché questi valori ce li ha sempre avuti. E li ha regalati in abbondanza a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrarla. Io l’ho avuta, questa fortuna, e so che adesso mi mancherà per sempre. Ma so anche che siamo in tanti a portarla nel cuore. Come un piccolo film a colori che possiamo andare a riguardare ogni qual volta la vita ci sembrerà un luogo troppo buio e troppo triste.
ありがとうございます, Sugako-san! (Grazie, Sugako!)
 
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