Perché le notizie dal pianeta mondo non è che facciano proprio sognare, se sei una donna.
Questa volta mi viene particolarmente facile perché il 9 Marzo ho assistito all’avant-première di un bellissimo film, opera prima di una giovane regista israeliana, Maysaloun Hamoud, che ha come protagoniste assolute tre ragazze “come noi”: Bar Bahar (In Between/Je danserai si je veux/Libere disobbedienti Innamorate, e ci tengo a fare i complimenti a chi, in Italia, è riuscito a trovare un titolo così orrendo).
Layla, Salma e Nour, tre ragazze palestinesi, sono coinquiline in un appartamento di Tel Aviv. Layla è avvocato, una ragazza estremamente bella, libera, indipendente, a cui piace bere, fumare e fare festa. Salma è una DJ, lesbica, in fuga da una famiglia che tenta in ogni modo di trovarle un marito, e Nour studia informatica ed è molto religiosa, fidanzata ad un ortodosso che insiste per sposarla il prima possibile. Tutte e tre si troveranno ad affrontare situazioni difficili, legate agli uomini di cui sono innamorate, nel caso di Layla e Nour, attraverso le quali la loro amicizia si rinsalderà.
La condizione femminile è già abbastanza difficile per donne occidentali che vivono in paesi considerati più o meno evoluti, ma essere donne in alcuni luoghi di questa terra è una vera e propria sfiga e una continua lotta per la sopravvivenza.
Mi viene in mente la famosa frase che aveva dato il titolo ad un film di Ken Loach, Raining Stones: Sulla classe operaia piovono pietre sette giorni alla settimana, ma pure sulle donne continuano ad abbattersi disgrazie di ogni tipo, ammettiamolo.
Da Israele, mi dispiace dirlo, sono tante le storie tremende di donne che arrivano sugli schermi: penso ad esempio al recente e straordinario Gett (The Trial of Viviane Amsalem), della mai abbastanza compianta Ronit Elkabetz (e fa piacere sapere che il film della Hamoud sia stato prodotto da suo fratello, co-autore e co-regista di tutti i film della sorella, Shlomi Elkabetz).
I fratelli Elkabetz: Ronit e Shlomi |
In pratica, queste ragazze, per andare bene ai loro padri, fidanzati, e futuri mariti, e al mondo che loro così (in)degnamente rappresentano, dovrebbero cambiare, dovrebbero diventare altro, sottomettersi, rientrare nei ranghi, far finta di essere quello che non sono.
In nome del quieto vivere e della perpetuità di una società che le vuole inferiori agli uomini.
E questo è un discorso che vale in Israele ma che si potrebbe facilmente estendere, con più o meno cinquanta sfumature di grigio, a buona parte del resto del mondo.
La cosa davvero notevole da segnalare, è che nessuna di loro si tirerà indietro.
Di fronte alla sfida, in mezzo a pianti e sofferenze, contando le une sulle altre, Layla, Salma e Nour affronteranno quello che devono affrontare.
Pagando il solito prezzo che le donne pagano a questo mondo per poter essere quello che sono, senza compromessi o ipocrisie: la solitudine.
Does this ring a bell, sisters?
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