Ci sono volte in cui sì, lo ammetto, mi preoccupo da sola di me stessa.
Prendete stasera, ad esempio: facendo zapping, mi sono accorta che su France 2 davano De Rouille et d'Os di Jacques Audiard (già Zazie d'Or 2012).
La mia prima reazione è stata quella di avvertire tutti gli amici francesi su Facebook che c'era il film.
E fin qui, tutto bene.
Solo che poi ho mollato tutto quello che stavo facendo per rivedere il film.
Ora, io De Rouille et d'Os l'ho visto due volte al cinema e un'altra volta sulla mia TV quando mi sono comprata il Blue Ray (il giorno in cui è stato messo in vendita, per altro).
Quindi, dico io, che senso aveva mettermi lì a rivederlo? Nessuno, immagino.
E' al di là di qualsiasi logica quello che ho fatto, però - tant'è - l'ho fatto.
E sono lì che mi stupisco ogni volta della bellezza delle immagini, del meraviglioso modo che ha Audiard di intingere le scene più crude nella luce più calda, di filmare una scena di sesso con quel misto di brutalità e di dolcezza che fa spesso parte della vita ma raramente dei film, di far pronunciare ad un uomo che a stento riesce a mettere insieme due frasi un ti amo che illumina il buio nel quale quel sussurro è filmato.
Insomma che volete che vi dica, non c'è alcun senso ma io mi metto lì a rivederlo.
E, di colpo, ha più senso tutto il resto, per me.
Lo so, it's a sickness.
E' una malattia.
E il peggio è che non ho nessuna intenzione di guarire.
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