Sto per dire due cose che i miei fedeli lettori sanno già:
1 - Mi piacciono tantissimo i film che hanno per protagonista una donna
2 - Il cinema migliore è quello che ti resta dentro più a lungo
Per una strana coincidenza, mi è capitato di vedere a distanza di un giorno l'uno dall'altro due film bellissimi su due bellissime donne, e non avere poi il tempo di scriverne (sono una blogger che lavora, che vi credete!).
Le settimane trascorse, però, sono state fondamentali, perché mi hanno fatto capire che i due film continuavano a trottarmi nella testa: bastava una qualsiasi piccola cosa per farmi di nuovo pensare ad un'immagine, ad una frase, ad un momento di queste due opere.
La cosa buffa è che non potrebbero esserci - a questo mondo - due film più diversi tra loro: uno è polacco, girato in bianco e nero, ambientato negli anni '60. L'altro è cileno, a colori sgargianti, ambientato ai giorni nostri.
Si tratta di Ida, di Pawel Pawlikowski, e di Gloria, di Sebastian Lelio.
Ida racconta la storia di Sorella Anna, una novizia che prima di prendere i voti e diventare suora, viene invitata a passare qualche giorno in famiglia. La ragazza in realtà è orfana, ma scopre che la sorella della madre, Wanda, è ancora viva, e così decide di andarla a trovare. Wanda (una donna piuttosto burbera e attaccata alla bottiglia) propone ad Ida di partire in macchina alla ricerca della tomba dei genitori della ragazza. Il viaggio sarà più lungo e difficile del previsto: Ida scoprirà un segreto di famiglia legato alla seconda guerra mondiale e all'occupazione nazista della Pologna che la costringerà a ripensare alla sua scelta di vita. Diventare una suora è davvero quello che vuole? Dopo un nuovo, drammatico evento, Anna prenderà la sua decisione definitiva.
Pawel Pawlikowski è un regista polacco naturalizzato inglese di cui ho già visto un paio di film interessanti: My Summer of Love (2004) e The woman of the Fifth (2011), entrambi incentrati su figure femminili complesse ed intense. Con Ida, il regista firma il suo piccolo capolavoro. Splendidamente girato (eh, i film in bianco e nero!), il film colpisce per rigore e profondità. Gli elementi chiave sono una struttura semplice e lenta ma di grande impatto, dialoghi non abbondanti ma forti, ed il contrasto tra l'ingenuità e la serenità di Ida e l'amarezza, l'assenza di fiducia nel genere umano e nella vita di Wanda. Il loro incontro/scontro è fondamentale. Per Ida, perché si troverà a dover affrontare cose del suo passato che illumineranno di una luce nuova il suo futuro, e per Wanda, perché a contatto con la nipote capirà l'abisso nel quale è sprofondata e da cui sarà difficile fare ritorno.
Figure di donne libere e forti, ciascuna a suo modo, bellissime e purtroppo rare da vedere al cinema. E un'ottima prova di attrici: Agata Trzebuchowska, alla sua prima volta sullo schermo, ha uno di quei volti in grado di esprimere tutto senza dover pronunciare una sola parola, mentre Agata Kulesza, nella parte di Wanda, ha quel misto di disperazione e ironia che ne fanno un personaggio al quale ci si affeziona subito. Ida scalda il cuore e indica il cammino nel bel mezzo del gelido inverno polacco.
La seguiamo volentieri.
Gloria racconta invece la storia di una donna cilena di 58 anni che, separata da qualche tempo dal marito e con dei figli già grandi, sta cercando di nuovo l'amore. Una sera, in un locale per singles di Santiago, Gloria conosce Rodolfo. Tra i due scatta una bella intesa, sia fisica che intellettuale, e le cose per un po' sembrano funzionare bene, al punto che Gloria lo presenta ai figli e all'ex-marito. Ma Rodolfo inizia ad avere dei comportamenti strani. Gloria cerca di capire, si lascia convincere che le cose possano tornare come prima, ma la sua pazienza verrà messa a dura prova.
Prima di tutto, che cosa bella e rara vedere un film sulla vita di gente che ha 60 anni e oltre.
Sembra incredibile, ma al cinema l'età media è sempre piuttosto bassa, come se a vivere fossero solo esseri umani dai 40 anni in giù. E ancora più raro è vedere storie d'amore sulle persone di una certa età. Per non parlare delle scene di sesso. Quasi un tabù. Gloria spazza via nel giro di 10 minuti tutti i clichés di questo tipo. Qui si parla di una donna capace di mettersi in gioco per riuscire a trovare una cosa che cerca con grande impegno e curiosità: l'amore. Trovare qualcuno con cui andare a letto, parlare, passare del tempo, sentirsi meno soli. Senza paura, senza vergogna. Gloria lo fa con il sorriso sulle labbra, una certa dose di ironia, e tutta la sua prorompente voglia di vivere. Solo che non basta. Lo scontro con la realtà, con i problemi degli altri, le loro paure, le loro manchevolezze, è durissimo. Gloria, in tutta la sua umanità e il suo sincero entusiasmo, non si dà mai per vinta, e questo credo sia l'aspetto più straordinario del film. L'attrice Paulina Garcia, un portento, che per questo ruolo ha vinto il premio per la miglior attrice al Festival di Berlino 2013, è fantastica. Non ha paura di mostrare il suo corpo nudo e ci mostra in due ore di film l'intera gamma dei sentimenti umani: passando dalla gioia alla tristezza all'incazzatura attraverso tutte le possibili sfumature (altro che le 50 di grigio, qui tutto è in tecnicolor!).
Gloria non è una storia allegra, e tuttavia non si può fare a meno di uscire dal cinema con una certa dose di ottimismo addosso. Perché Gloria ci insegna a far finta di essere felici, fino a quando la felicità vera non busserà alla porta.
E prima o poi succederà, giusto?
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