Come vanno interpretate le sue scelte stilistiche, il soggetto che tratta, il modo in cui decide di girare le scene? Tutte queste domande mi sono venute spontanee guardando il film vincitore della Palma D'Oro all'ultimo Festival di Cannes, Amour, del regista Austriaco Michael Haneke.
Tanto vale ammetterlo subito: amo pochissimo il cinema di Haneke, anzi, sarebbe più corretto dire che non lo amo per niente. Del resto, lo avevo già scritto chiaramente in questo blog, nel post dedicato al suo precedente film, The White Ribbon.
Non conosco tutta la sua opera, perché alcuni soggetti da lui trattati non suscitano in me il benché minimo desiderio, è il caso ad esempio di Funny Games (che Haneke ha girato due volte, prima in Austria e poi in America), una riflessione sulla violenza gratuita e insensata della società contemporanea. Potrei sottoscrivere quello che aveva affermato una volta Truffaut: "L'unica violenza che sopporto al cinema, è quella dei sentimenti". Ecco, appunto.
Amour, invece, era in cima alla lista dei film che volevo vedere in questo periodo, sia per il premio vinto a Cannes, sia per le recensioni più che elogiative che avevo letto (mi sono detta: sta a vedere che questa volta ha fatto un film che mi piace!), ma soprattutto per i due attori protagonisti, che adoro: Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva. Insomma, ci sono proprio andata "con le migliori intenzioni".
Georges e Anne sono un'anziana coppia di coniugi parigini. Una mattina Anne, durante la colazione, ha un momento di passaggio a vuoto. Smette di parlare, non riconosce più suo marito e, quando si riprende, non ricorda nulla di quanto accaduto. Purtroppo, è solo l'inizio di un lento ed inesorabile declino. La donna, colpita da un ictus, perde a poco a poco la sua mobilità e la sua indipendenza. Il marito cerca di far fronte all'emergenza come può. L'unica figlia della coppia, Eva, viva a Londra con la sua famiglia, e le sue visite sono sporadiche e brevi. Quando la situazione si fa insostenibile, Georges si arrende all'evidenza: da soli, non potranno più andare avanti.
Haneke, la Riva e Trintignant sul set del film |
O almeno ci prova.
Je n'avais pas envie de voir ce film, tu confirmes là mon impression! bises
RispondiEliminaLetti tuoi ultimi post: sta sera non vado al cinema. Sto a casa e mi riguardo DVD di un uomo, una donna...
RispondiEliminaMerci Valerie! Grazie Simona!
RispondiEliminabel blog...venite su nonsoloci.blogspot.it
RispondiEliminaCiao Zazie, piacere di "conoscerti"!
RispondiEliminaFinalmente una voce fuori dal coro, con la quale mi sento perfettamente d'accordo. Anzi, mi sa che io ci sono andata ancora più pesante con Haneke e che, per questo, sarò come minimo scomunicata a vita da ogni cineclub sulla faccia della terra! :D
Anche io ho provato moltissima rabbia vedendo il "Amour" e l'ho trovato molto peggio di quanto mi aspettassi. Confesso che io ho pianto, ma non perché il film era patetico, bensì per la rabbia di vedere questi soggetti trattati in questa maniera. Puoi anche togliere tutto il patetismo dalla narrazione ma i soggetti rimangono degni di ogni pietà e inevitabilmente riconducono ad altri ricordi familiari, ad esperienze già vissute, dolorose. Tradotto in parole povere, questo qua è un sadico e credo sarebbe più etico che si sfogasse con thriller e horror piuttosto che prendersela con la vecchiaia. Ma un coppia di vecchi che vede questo film che deve fare? Si deve suicidare direttamente? Ma se uno fa questi film a settant'anni a ottanta che fa? Si suicida direttamente?
Prendiamo due grandi registi della stessa età, Polanski e Allen: pur essendo anche loro molto ossessionati (come tutti gli esseri umani pensanti del resto) da morte e malattia, a settant'anni fanno film 10.000 volte più vitali, pungenti e che riescono a cogliere i veri punti dolenti della società, le cause, le contraddizioni...
Ti cito il mio articolo, se ti può interessare e scusa per il papiro! ;)
http://theemeraldforest.wordpress.com/2012/11/01/amour-di-haneke-a-qualcuno-piace-sadico/
Un saluto,
Emerald
Hey, ottimo il tuo sito!
EliminaSono proprio contenta di non essere l'unica a pensarla così sul film di Haneke.
Buoni film, cara "sorella cinefila"!