Ci sono registi che amiamo lo spazio di un film, registi che detestiamo dalla prima all'ultima inquadratura, registi che (peggio ancora) ci lasciano completamente indifferenti, e poi ci sono loro, i registi che ci cambiano la vita. Per i quali c'è un prima, e c'è un dopo. In questi giorni si celebra in tutta la Francia il ventesimo anniversario della morte di un uomo che ha fatto un'enorme differenza per tante persone, blogger che scrive inclusa: Jacques Demy.
Avrei così tante cose da dire, su di lui, che un post mi sembra davvero ridicolo. Ma ci proverò comunque.
Nato nel 1931 in un paesino della Loire-Atlantique, figlio di un garagista e di una parrucchiera, Demy è cresciuto a Nantes, che lascia nel 1949 per trasferirsi a Parigi ed entrare in una scuola di cinema, da sempre il suo più grande sogno. Diventa amico della banda dei Cahiers du Cinéma, inizia a scrivere delle sceneggiature, e nel 1958 incontra la regista Agnès Varda. E' il grande amore: si sposano nel 1962, hanno un figlio (Mathieu, ma della famiglia fa parte anche Rosalie, la figlia che Agnès ha avuto da una precedente relazione) e staranno insieme, salvo brevi separazioni, fino alla morte del regista, nel 1990. La filmografia di Demy non è sterminata: 14 lungometraggi in tutto, e include anche opere piuttosto bruttarelle ed assurde, ma grazie ad una manciata di titoli, Demy si è imposto come un maestro assoluto, come il creatore di un universo particolare ed inedito, modernissimo e retrò allo stesso tempo, con uno stile che ancora oggi rimane un punto di riferimento e un modello inimitabile per schiere di registi.
Sto parlando soprattutto di un film-pietra miliare della storia del cinema: Les Parapluies de Cherbourg, Palma d'Oro al Festival di Cannes 1964 e, almeno che io sappia, primo (e unico?) esempio di film cantato. Sì, avete capito bene, non sto parlando di un musical, dove la gente dialoga normalmente e ad un certo punto c'è una canzone e/o un balletto. Qui la gente invece di parlare, canta. Sempre. Lo so cosa state pensando: oddio, ma che roba è? questo è pazzo! No, credetemi, una volta che vi lasciate rapire dalla musica, dai colori, dal volto sognante di Catherine Deneuve, dalla dolcezza un po' maladroite di Nino Castelnuovo (eh, si, proprio lui... vi siete mai chiesti come mai Anthony Minghella gli avesse affidato una parte in The English Patient? La risposta è questo film!), dalla storia romantica ma crudele, dai dialoghi cantati che sono dei gioielli in rima, dalla mise en scène precisa e splendida di Demy, capirete perché per questo film la parola CAPOLAVORO non è spesa invano. Fondamentale, per la creazione di questo personalissimo universo, la sua collaborazione con due grandi artisti: il musicista jazz Michel Legrand e lo scenografo Bernard Evein (la carta da parati più bella della storia del cinema, la dobbiamo a lui), che non a caso saranno quasi sempre al fianco di Demy nel corso della sua carriera.
Ma già con il suo lungometraggio d'esordio, il bellissimo Lola (1960), Demy aveva fatto capire di cosa era capace, ed aveva introdotto alcuni dei temi a lui più cari, che ritorneranno come un ritornello in tutta la sua opera: la ricerca (e a volte la lunga attesa) dell'amore assoluto, la differenza di classe sociale come motivo di separazione tra gli amanti, la crudeltà del destino, la favola/il sogno come dimensione ideale per sopportare la realtà di questo mondo. Non è dunque un caso che uno dei suoi film più riusciti sia stato la trasposizione in immagini di Peau D'Ane (Pelle d'Asino), sempre con Catherine Deneuve.
Ma c'è un altro gioiello che Demy e la Deneuve hanno girato insieme, il solo film del regista in cui la sua vena malinconica viene messa da parte per far spazio ad una gioia di vivere incredibilmente contagiosa: Les Demoiselles de Rochefort (1966). La storia di due sorelle gemelle (interpretate dalla Deneuve e da sua sorella nella vita, la deliziosa Françoise Dorleac, purtroppo morta in un incidente d'auto un anno dopo la fine delle riprese) alla ricerca dell'uomo ideale e della loro realizzazione come artiste, il tutto nella cornice di una città militare ma allegra e coloratissima, di marinai in libera uscita, con Gene Kelly e il protagonista di West Side Story che si aggirano indisturbati, ballando nelle strade. Insomma, il mondo en-chanté à la Demy, il mondo come ci piacerebbe che fosse.
Ovviamente, non si può parlare di Demy senza parlare di Varda.
Nel 1990, mentre Demy, già gravemente ammalato, si mette a scrivere le sue memorie di infanzia, la moglie decide di rendergli omaggio trasformando subito in pellicola quegli stessi ricordi. Il risultato è il commovente Jacquot de Nantes, dove alle immagini dell'infanzia di Demy si sovrappongono immagini tratte dai suoi film e primissimi piani fatti al regista stesso, malato e con uno sguardo dolcissimo, in silenzio davanti al mare. Una dichiarazione d'amore di una tenerezza sconvolgente. E sempre la Varda ha girato, nel 1993, un documentario intitolato Les Demoiselles ont eu 25 ans, nel quale ritorna a Rochefort con Catherine Denevue per le celebrazioni del venticinquesimo anniversario del film, intervistando gli abitanti che avevano preso parte alla lavorazione e andando alla ricerca di ricordi, scene, momenti divertenti, musiche e paesaggi.
Ma vorrei anche ricordare che Demy ha avuto una grandissima influenza su diverse generazioni di registi, e non solo francesi. Wong Kar-Wai ha più volte dichiarato il suo amore per lui e John Woo ha confessato di costruire le scene di sparatorie ispirandosi all'armonia delle scene di ballo dei suoi film. In Francia, ça va sans dire, ci sono registi che gli fanno dichiarazioni d'amore a ogni inquadratura. Il caso più eclatante è quello di Christophe Honoré, una specie di clone in versione moderna di Demy: nel film 17 Fois Cécile Cassard (Cassard è il cognome di un personaggio che compare sia in Lola che nei Parapluies de Cherbourg), Honoré gli rende un buffissimo omaggio, con un Romain Duris in versione osé che canta la canzone di Lola sulla riva di un fiume. E comunque, Honoré è come se rifacesse Demy ad ogni film, e ogni occasione è buona per far cantare e ballare i protagonisti dei suoi film. Piuttosto incredibile, poi, è il caso di Jeanne et le garçon formidable di Olivier Ducastel et Jacques Martineau, del 1998. Questa coppia (nel lavoro e nella vita) di registi ha creato un film anni '80 alla Demy, il cui protagonista è (niente-poco-di-meno-che) Mathieu, suo figlio. Benché il tema non sia per niente allegro: il protagonista è malato di AIDS e sta per morire, il tono è leggero e sognante, pieno di canzoni e balletti scatenati e una scena di manifestazione presa pari pari da Une chambre en Ville, altro film di Demy.
Mi dispiace, come temevo, questo post è lunghissimo, e spero non me ne vogliate. Ma ditemi voi: come si fa ad essere brevi, quando si sta parlando dell'uomo che si ama?