lunedì 5 ottobre 2020

The Virtues

Non sarò mai abbastanza grata al settimanale francese Télérama che in questi 15 anni di vita parigina mi ha fatto scoprire una quantità incredibile di capolavori artistici (libri, film, dischi, mostre). Questa settimana la rivista ha colpito ancora, dandomi una dritta su una serie tv inglese che non so come mi era sfuggita, e che ho visto per intero ieri sera sul sito di arte.tv senza riuscire a staccare gli occhi dallo schermo (si tratta di 4 episodi, i primi 3 di circa 45 minuti e l’ultimo un po’ più lungo, di 75 minuti): The Virtues di Shane Meadows

Il protagonista è Joseph, un cinquantenne irlandese che vive da anni a Sheffield e lavora come manovale nelle costruzioni. Joseph ha un figlio di 9 anni, l’essere umano a cui è più legato al mondo, che proprio all’inizio della storia si trasferisce a vivere in Australia con la madre ed il nuovo compagno di lei (che si intuisce avere mezzi finanziari ben più consistenti di Joseph). La partenza del figlio getta l’uomo nella disperazione: dopo due anni di totale sobrietà, Joe si rimette a bere e, su un colpo di testa, decide di abbandonare tutto e tornare in Irlanda, alla ricerca dell’unica sorella che ha e che non rivede da oltre 30 anni, Anna. Lui e Anna avevano perduto i genitori quando erano ancora piccoli ed erano stati (assurdamente) separati: lei era stata adottata da una nuova famiglia, mentre lui era stato e mandato in una casa famiglia per ragazzi, dalla quale era scappato una notte senza più dare notizie (al punto che la sorella lo credeva morto). Anna accoglie Joe in casa: lei è sposata, ha tre figli piccoli, e in quel momento la famiglia sta ospitando anche la sorella del marito, una ragazza che si intuisce un po’ problematica, Dinah. Il ritorno di Joe non è di tutto riposo: il fatto di rivedere i luoghi della sua infanzia, ed in particolare il vecchio edificio che ospitava la casa-famiglia dalla quale era scappato a 9 anni, riporta alla luce il ricordo di un trauma che Joe aveva parzialmente rimosso e che ora non riesce più a nascondere.  

Inutile girarci tanto intorno: se siete alla ricerca della “feel good tv series” del momento, passate oltre. The Virtues richiede una certa dose di volontà, quella di farsi investire in pieno da una marea di dolore. Eppure, io lo penso e lo ripeto spesso: non importa quanto sia deprimente una storia, se è ben scritta, filmata e recitata, non esiste niente di più straordinario da vedere e da vivere. Sono i film fatti male, che mi deprimono. Purtroppo ispirata ad una storia realmente vissuta dal regista, la storia di Joe è a dir poco lacerante, ma Meadows è straordinario proprio in questo: in uno stile sobrio, realista, ma mai sciatto o anti-estetico, ci rivela i personaggi in tutta la loro disarmante umanità (e disumanità) senza mai cadere nel sentimentalismo, nel sensazionalismo, nella faciloneria. In parallelo, il regista ci mostra Joe oggi e, con scene che sembrano filmati in VHS della fine degli anni ’70-primi anni ’80, i suoi ricordi di bambino. Nei primi episodi sono dei flash improvvisi, confusi, e mano a mano che la storia procede si fanno più lunghi e precisi. Ma sono le scene tra i due fratelli le più straordinarie, a mio avviso. Raramente ho visto momenti di cinema così intensi e commoventi: il modo in cui si parlano, piangono, si abbracciano, lascia interdetti di meraviglia. Ho letto una cosa abbastanza straordinaria sulla prima di queste sequenze: uno degli attori, il giorno in cui dovevano girare, ha ricevuto uno notizia terribile di tipo personale. Anziché decidere di non lavorare, d’accordo con il regista, ha utilizzato il suo stato d’animo (che ben si accordava alla situazione) per la scena. Avevo letto questa cosa prima di vedere l’episodio e quando l’ho avuta sotto gli occhi mi sono resa subito conto di chi stesse male, ma allo stesso tempo la reazione dell’altro attore era talmente tenera ed empatica, che sono scoppiata a piangere senza ritegno perché quel misto di realtà e finzione era profondamente sconvolgente.

Per creare tutto questo, lo avrete capito da soli, c’è bisogno di attori che definire bravi è un eufemismo. Complice di tanti fim di Meadows, l’attore inglese Stephen Graham (forse ve lo ricorderete nel ruolo di Al Capone in Boardwalk Empire), qui assurge a vette degne dei più grandi. Il suo fisico massiccio, da pugile, la sua faccia vissuta, sembrano quasi in contrasto con le emozioni e la fragilità che riesce ad esprimere. Accanto a lui, due attrici altrettanto incredibili, le irlandesi Helen Behan nel ruolo di Anna e la giovane Niamh Algar in quello di Dinah.
E, giusto per rendere il tutto ancora più perfetto, la colonna sonora è stata composta dalla musicista inglese PJ Harvey. E vabbé, allora ditelo che volete colpirmi al cuore.
Meadows ha citato Martin Scorsese e Ken Loach come suoi riferimenti cinematografici per The Virtues, ma io da anni cercavo il nuovo Mike Leigh, e adesso posso finalmente darmi pace, perché penso proprio di averlo trovato.

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