In un mondo dove essere giovani e belli è diventato un imperativo categorico (morale e sociale), il cinema - nella stragrande maggioranza dei casi - non fa purtroppo eccezione.
I film hollywoodiani, tanto per fare un esempio a caso, sembrano essere scritti e diretti per compiacere un’audience di uomini bianchi di circa 25 anni particolarmente immaturi per la loro età ed incredibilmente stupidi a giudicare dalla pochezza delle sceneggiature dei fim che vanno a vedere e che amano.
Per fortuna, il cinema è e sarà sempre anche “altro”.
I film indie, i documentari, i registi di paesi sfigati, quelli che hanno solo quattro soldi per fare i film, le donne regista, insomma.... tutta una categoria di gente che ha voglia di dire la sua sul cinema e sul mondo. E su tutta la sua meravigliosa varietà.
Quest’anno al Festival di Cannes è stato presentato Aquarius di Kleber Mendonça Filho, un bellissimo film brasiliano con protagonista assoluta una donna over 60 che non le manda certo a dire.
Clara, giornalista di musica in pensione, vive a Recife in un bell’appartamento che fa parte di un’unità abitativa chiamata Aquarius. Con la spiaggia a due passi, è il luogo ideale per una vita tranquilla e riposante. Rimasta vedova 17 anni prima, per Clara la sua casa rappresenta molto: è dove ha vissuto con il marito, dove sono nati e cresciuti i suoi tre figli, e dove ha combattuto e vinto contro un cancro al seno, avuto 30 anni prima. Rimasta la sola a non aver venduto ad una società immobiliare che si è appropriata dell’intero palazzo per rinnovarlo e farci una speculazione edilizia, Clara si trova coinvolta a poco a poco in una vera e propria lotta senza quartiere. Con pochi alleati (anche i figli sembrerebbero preferire i soldi offerti dalla compagnia), Clara non si lascia né intimidire né spaventare dall’arroganza e dai colpi bassi dei suoi nemici. Sarà anche una donna anziana, ma non le manca né la forza né il coraggio di avere la meglio su tutto e tutti.
Che cosa fa di un film un grande film?
Ci ho pensato tante volte, e la risposta è piuttosto difficile, legata ad una serie di fattori che a volte sembrano fortuiti, altri perfettamente costruiti a tavolino. Mi dico che il talento di un regista, spesso, sta nel saper raccontare una storia piccola ma precisa capace di diventare lo specchio di una realtà più ampia, quasi universale.
E poi il trucco, ovviamente, è il come la si racconta, questa storia.
L’inventiva e la creatività di un regista sono fondamentali, sotto questo aspetto.
Kleber Mendonça Filho sembra essere dotato di entrambi questi talenti: non solo raccontando la storia di Clara regala uno spaccato perfetto del Brasile di oggi, facendoci capire la differenza tra poveri e ricchi, tra valori culturali e quelli legati al profitto, facendoci capire la direzione che sta prendendo il paese (e pure un po’ il resto del mondo), ma lo fa in maniera originale e profonda, scegliendo il punto di vista di una donna ultra sessantenne, ancora bellissima e cazzuta come poche.
Diviso in tre capitoli, il film inizia con una fantastica scena familiare: la festa di compleanno di una zia settantenne che, mentre i nipotini leggono delle poesie che hanno scritto per lei, si ricorda di una scena di sesso vissuta da giovane (inizio folgorante!). Alla festa è presente anche Clara, appena trentenne, capelli cortissimi retaggio della chemioterapia e sorriso splendido, che senza dire quasi una parola già sprigiona una forza e una personalità fortissime. E’ questa donna la cosa straordinaria del film, non solo per l’età, ma per il tipo di personaggio. Clara è testarda, sicura di sé, coltiva un sano egosimo nei confronti dei figli, ha un sacco di interessi, fa il bagno in mare quando il bagnino dice che è pericoloso, si paga un gigolò perché non ha voglia di avere a che fare con degli uomini che scappano alla vista del suo seno mancante, e, soprattutto, non ha la benché minima intenzione di darla vinta a dei poveri stronzi che le vogliono togliere la cosa più preziosa che ha: la sua casa con dentro tutti i suoi ricordi. Ci ho pensato tante volte, e la risposta è piuttosto difficile, legata ad una serie di fattori che a volte sembrano fortuiti, altri perfettamente costruiti a tavolino. Mi dico che il talento di un regista, spesso, sta nel saper raccontare una storia piccola ma precisa capace di diventare lo specchio di una realtà più ampia, quasi universale.
E poi il trucco, ovviamente, è il come la si racconta, questa storia.
L’inventiva e la creatività di un regista sono fondamentali, sotto questo aspetto.
Kleber Mendonça Filho sembra essere dotato di entrambi questi talenti: non solo raccontando la storia di Clara regala uno spaccato perfetto del Brasile di oggi, facendoci capire la differenza tra poveri e ricchi, tra valori culturali e quelli legati al profitto, facendoci capire la direzione che sta prendendo il paese (e pure un po’ il resto del mondo), ma lo fa in maniera originale e profonda, scegliendo il punto di vista di una donna ultra sessantenne, ancora bellissima e cazzuta come poche.
L’interpretazione di Sonia Braga è semplicemente grandiosa. Non so come sia possibile che all’ultimo Festival di Cannes Aquarius non abbia avuto neanche un premio.
Non capita tutti i giorni di vedere un film che ti fà venire voglia di spaccare il mondo.
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