giovedì 26 febbraio 2015

Torneranno i prati

La Cinémathèque Française ha aperto ieri sera, con l’anteprima parigina del suo ultimo film, Torneranno i Prati, una retrospettiva completa dell’opera di Ermanno Olmi
Un'ottima scelta di programmazione che mi rende particolarmente felice, perché per Olmi nutro un amore incondizionato che qui voglio pubblicamente dichiarare. 
Avete presente il mio post sui dilemmi cinematografici di qualche settimana fa? 
Ecco, se c’è un essere umano che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente e che mi ha dimostrato di corrispondere in tutto e per tutto alla sua opera, quello è proprio Olmi. 
Ermanno ha un’intelligenza, una finezza d’animo, un’umiltà, una curiosità e un sincero amore verso gli altri, che oggi è merce rara e preziosissima.
Una cena in sua compagnia è uno dei ricordi più belli che ho nella vita, uno di quei momenti perfetti che capisci di stare vivendo mentre ti succede, una di quelle epifanie umane per le quali vorresti ci fosse un replay sul quale pigiare il tasto nei momenti bui. Per dirvela tutta, con grande sorpresa degli altri commensali, ad un certo punto ero così commossa dalle sue parole, che mi sono messa a piangere davanti a tutti. E mi pareva pure il minimo!
E poi c’è un’altra cosa straordinaria che Olmi mi regala: mi riconcilia con le mie origini (che non è cosa da poco, esterofila nata quale sono!).
Le persone di cui parla nei suoi film, io le conosco. Le generazioni dei miei nonni, e poi dei miei genitori, le campagne lombarde, la milanesitudine (quella bella, vera, non quella da bere), il ragazzino timido e impacciato di Il Posto, i contadini de L’Albero degli Zoccoli, i dilemmi morali de I Fidanzati, a me sembra che Olmi stia parlando della mia famiglia, della mia terra (in Torneranno i prati, un soldato canta Fenesta ca lucive, la canzone preferita di mia nonna Dina, che era stata da giovane una mondariso).  Olmi mi fa provare quell’orgoglio che sono invece incapace di sentire per il mio bel paese (del resto, se sono emigrante, una ragione ci sarà).

Ma adesso vorrei trovare le parole giuste per parlare di Torneranno i prati
Perché è un film assolutamente unico, di una bellezza e di una potenza straordinarie.
Ambientato in una trincea d’alta quota durante la prima guerra mondiale, il film (liberamente ispirato al racconto “La Paura” di Federico De Roberto, del 1921) ci mostra un piccolo gruppo di soldati e la loro lotta quotidiana contro il freddo, la paura, i bombardamenti. Non sembra succedere molto, in questo spazio angusto che è la trincea, eppure succede tutto. C’è il Maggiore che deve dare un ordine assurdo che porterà a morte certa uno dei suoi soldati, c’è il tenentino che nella vita reale studia filosofia e le scienze umanistiche e ha l’aria sperduta di uno che in mezzo alla guerra non sa che fare, c’è il capitano disperato al punto da sacrificarsi pur di non assistere più allo spettacolo della morte. E poi ci sono loro, i soldati semplici, uomini di ogni parte d’Italia, accomunati dalla povertà e dall’ignoranza. E’ sui loro volti, sulle loro mani, che si posa lo sguardo umanissimo del regista, in quel buio cavernoso e freddo, tra la disperazione delle bombe, l’attesa del rancio e l’arrivo delle lettere dei familiari, unica luce in un mondo ricoperto di tenebre.

Fuori, la natura è di una bellezza lontana e glaciale: la montagna innevata, la luna piena perfetta, gli alberi che per un attimo diventano colore dell’oro, prima di essere bruciati e annientati anche loro dalla furia della guerra.
Quando alcuni dei protagonisti, senza alcun preavviso, iniziano a guardare negli occhi la cinepresa e ci parlano come se si stessero rivolgendo ad un amico, il film ha uno scatto finale, assoluto. Le parole di questi uomini ci arrivano direttamente al cuore per osmosi, da essere umano a essere umano, come se la paura li avesse scarnificati e li avesse resi pura essenza. Quei volti, quegli occhi, quella tristezza, adesso anche noi sappiamo cosa sono, adesso anche noi, a 100 anni di distanza, sappiamo che cosa significa stare in guerra.
E a quel punto l’unica cosa che si vuole è che tutto quel dolore non sia stato inutile, che il ricordo rimanga sempre vivo, e che, sotto il verde dei prati, resti per sempre il segno di quella ignobile ferita.

Girato con una maestria da fine cesellatore, dove ogni scena è scelta ed è giusta, il film può contare su altri due elementi fondamentali: una fotografia da urlo merito di Fabio Olmi (quel colore ai confini del bianco e nero, ma che prodigio è?) e la musica perfetta, scarna, di Paolo Fresu. E infine la bravura naturalissima di questi attori giovani e sconosciuti (l’unico volto davvero noto è quello di Claudio Santamaria nel ruolo del Maggiore).
Insomma lo avrete capito, si sta parlando di un’ora e venti di pura poesia.

Tutte le volte che sento al telefono Ermanno, la prima cosa che mi dice, con una voce squillante da bambino, è: Evviva!
Io vorrei dirgli che l'evviva è tutto mio, che non lo ringrazierò mai abbastanza per tutta la bellezza e la meraviglia che ha dato al cinema. E anche che tengo appesa in casa, per la gioia di vederla ogni mattina, questa foto di noi, mano nella mano, che non finiamo più di sorridere:
Ermanno, dopo tutti questi anni posso finalmente confessartelo: è proprio amore!

Un grazie di cuore a Betta Olmi, bravissima produttrice del film, che ha avuto la gentilezza di invitarmi alla serata.

1 commento:

  1. Oh, che bel post, Zazie. Che bellezza, che emozione. Mi hai fatto venire la pelle d'oca!
    Ermanno Olmi mi trasmette, pur non conoscendolo personalmente, tutte le emozioni che hai elencato. Dolcezza e nobiltà d'animo, tatto e poesia.
    E tuttavia, proprio per le mie origini, non riesco più a guardare L'albero degli zoccoli. Lo vidi da piccola e ne fui talmente traumatizzata da non riuscire ancora oggi a fare il grande passo e rivederlo. Ero tentata di andare alla cinémathèque sabato pomeriggio e affrontarlo ma non ne ho avuto il coraggio. Ricordo ancora perfettamente l'angoscia che mi lasciò.
    L'empatia che Ermanno Olmi ha nei confronti dei suoi personaggi,e delle loro storie, quando esse sono tristi e difficili (cioé quasi sempre) mi lascia senza fiato, come un pugno nello stomaco; proprio perché anche io ho molta empatia nei confronti di storie e persone in questo genere di situazioni.
    Chissà, magari un giorno riuscirò a passare oltre e rivederlo.
    Purtroppo questa è una cosa che mi blocca davanti a molti film: il sentire i personaggi e le storie in modo così forte, mi fa uscire dai cinema spesso intontita dalle emozioni. E quando esse sono negative, quella patina di tristezza e malinconia mi resta addosso per tanto, tanto tempo.

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