In quello del cinema, poi, esposto a raffiche di frivolezze, capricci ed ego smisurati, è quasi utopia. Eppure, c’è una manciata di registi che, dal primo all’ultimo fotogramma della loro intera opera, ci ha insegnato che cosa significa avere una certa idea di cinema, e anche una certa idea della vita. Tra questi, da molti anni, spiccano due fratelli belgi dall’aria mite che nei loro film si sono occupati - sempre - dello stesso tipo di personaggi e dello stesso tipo di storie: Jean-Pierre e Luc Dardenne. Il loro ultimo lavoro, Deux Jours, Une Nuit, in concorso al Festival di Cannes che si concluderà tra due giorni, è uscito ieri sugli schermi parigini, e la vostra Zazie non ha mancato all’appuntamento.
La storia: Sandra, operaia in una fabbrica di pannelli solari, sta per rientrare al lavoro dopo quattro mesi trascorsi a casa per una depressione. Riceve però una brutta notizia: i suoi superiori hanno deciso di fare una votazione in cui i 16 colleghi della donna hanno dovuto decidere se rinunciare al loro bonus annuale o accettare che lei ritorni al lavoro (perché “se non è lei, sarà uno di voi”, li hanno minacciati), e ovviamente hanno scelto per il loro bonus. Accusandoli di aver agito poco correttamente, una collega di Sandra riesce a convincere i dirigenti a rifare la votazione dopo il week-end. La donna avrà dunque due giorni per andare a trovare uno ad uno tutti i suoi colleghi e cercare di convincerli a votare per lei. Supportata dal marito e dai figli, Sandra cercherà di fare del suo meglio per aggiustare le cose.
Se siete di quelli che vanno al cinema esclusivamente “per divertirsi” e “per non pensare”, allora vi sconsiglio vivamente di andare a vedere questo film. Qui si tratta di un cinema che vuole, al contrario, far pensare, e pure parecchio. I Dardenne affrontano meglio di qualunque trattato di sociologia le conseguenze della crisi economica che tutti, nessuno escluso (salvo giusto una manciata di miliardari), stiamo vivendo. E le conseguenze più dure sono quelle sulle persone, quelle che vanno a toccare la parte più fragile della natura umana, che risvegliano le paure ataviche che ci portiamo dentro da sempre. Non avere più un lavoro significa non avere più una “presenza” sociale, non esistere, essere a poco a poco esclusi dai meccanismi che governano il mondo. Sandra è l’emblema di tutto questo: appena uscita da una depressione, sotto farmaci, impaurita e convinta di non farcela, dubita persino della sua missione (anche perché, se qualcuno lo chiedesse a lei, non sarebbe poi così convinta di saper rinunciare a quei soldi). I Dardenne non le risparmiano niente ma stanno vicino a lei e agli altri personaggi del film in un modo talmente partecipe e privo di qualsiasi giudizio morale, che ti verrebbe voglia di abbracciarli ad ogni inquadratura (Haneke, vieni un po’ qui a dare un’occhiata, dai!).
Ogni volta che Sandra “chiede”, è come se chiedessimo anche noi. Un misto di tristezza, rassegnazione, vergogna e voglia di scappare lontano, si impadronisce di tutti. E ogni volta che qualcuno risponde, ci chiediamo quale sarebbe potuta essere la nostra reazione: c’è la collega che fa rispondere al citofono la figlia, quello che vuole picchiarla, quello che si vergogna e le dice piagnucolando che non può rinunciare ai soldi, e poi c’è questo ragazzo che le va incontro e dopo un attimo scoppia a piangere a dirotto e che quasi le urla: sì, ti aiuto! che è una delle cose più commoventi che io abbia visto al cinema negli ultimi anni. I Dardenne sanno bene con chi prendersela, e non si tratta né di Sandra né dei suoi colleghi, ma di un sistema malato che ha creato la crisi e ha generato i mostri capaci di gestirla in maniera cinica e feroce, lasciando che i poveri si sbranino tra loro.
Marion Cotillard, torno a dirlo per tutti quelli che la trovano “antipatica”, sarà anche una che non vi ispira simpatia, ma è un’attrice assolutamente straordinaria. Qui, mimetizzata in donna qualsiasi allo stremo delle forze, riesce a farsi abitare dal personaggio al punto che ti dimentichi di tutto il resto. E lei, come il film, vive di una misura, di una verità, di un’umanità, che ti toglie il fiato. Anche l’attore belga Fabrizio Rongione fa meraviglie nella parte del marito. Un uomo che di sicuro ha paura quanto la moglie, ma che mai, nemmeno per un attimo, lo lascia trapelare. E’ sempre lì accanto a Sandra, a darle forza, a dirle che ce la può fare, a farle capire che può contare su di lui. I Dardenne, insomma, nel loro understatement totale, ci dicono anche qual è la loro idea di amore.
E alla fine, poco importa quale sia il risultato della nuova votazione: l'importante è aver combattuto per quello in cui si crede, e averci creduto fino in fondo.
Non ce n'eravamo accorti, ma il sole splende forte, laggiù in Belgio.
Ciao! .. Complimenti per la bella recensione, che mi ha fatto venire voglia di vedere il film, e complimenti per il blog, che seguo spesso. L'ho appena segnato sulla mia pagina FB: https://www.facebook.com/Cinematecamultimediale ;-)
RispondiEliminaGrazie Stefano! La cosa più bella che qualcuno può dirmi sul blog me l'hai appena scritta tu: Mi hai fatto venire voglia di andare a vedere il film!
EliminaGrazie grazie grazie!!!