lunedì 31 dicembre 2012

As time goes by

Here we are again: the last post of the year.
I have been to the movies 83 times in 2012 (yes, I know, it’s a sickness!) and I have seen many interesting things. I’ll let you know about the ones I liked most next February, as usual, at the time of the Zazie D’Or.
Many cinematographic things happened as well, from the glass of champagne with Meryl Streep in a fancy Paris restaurant, to the dinner in New York with Norah Ephron (few months before she sadly passed away), to the meetings with some great film-makers: the master class of Francis Ford Coppola at the Gaumont Parnasse, the meeting with Emanuele Crialese and Donatella Finocchiaro for the avant-première of Terraferma, the one with Thomas Vinterberg for the avant-première of his Jagten (both in one of my favourite cinema in town, Le Cinéma des Cinéastes). 
And it was nice to bump by chance into French film-maker Christophe Honoré outside a theatre in Abbesses where we just saw Hiroshima, Mon Amour (ah, serendipity!).
I hope 2013 will be plenty of great movies and great things for you all, dear readers.
Let’s wish that all our dreams come true… or, at least, that all our dreams come true… in a movie.  
Happy New Year!!!
Sincerely yours,
Zazie

domenica 30 dicembre 2012

Alternative Movie Posters

Quando si è appassionati di cinema, di solito si ama tutto di un film, titoli di testa e titoli di coda compresi, per non parlare del poster creato per distribuirlo.
Nei cento e passa anni della storia del cinema, ci sono stati uomini che hanno saputo elevare il poster cinematografico a vera e propria opera d'arte, primo fra tutti quel genio assoluto di Saul Bass. E' a lui che si devono il poster e i titoli di testa più meravigliosi dell'universo terracqueo, quelli di Vertigo di Alfred Hitchcock e, in tempi più recenti, quelli straordinari di The Age of Innocence di Martin Scorsese (grande fan di Saul Bass, al quale non sembrava vero di poter collaborare con lui).
Personalmente, subisco moltissimo il fascino della grafica di un film, e ho elaborato una teoria secondo la quale meno curati sono i titoli di testa di un film e meno bello è il film in questione (sarà per questo che Vertigo nell'ultimo sondaggio di Sight & Sound è stato dichiarato miglior film di tutti i tempi?). 
Un po' per questo, un po' perché ho la casa tappezzata di poster cinematografici, un giorno su Facebook la mia attenzione è stata attirata da quanto veniva postato regolarmente da un mio amico, Stefano Reves Spalluto. Oddio, ad essere sinceri, "amico" è una parola grossa. Io e Stefano siamo amici su Facebook senza mai esserci né visti né sentiti. Un grande classico dell'era moderna, secondo il quale si familiarizza con alcune persone semplicemente perché si hanno degli amici e dei gusti in comune. 
Ecco, quando sento parlare male dei social networks, io certe volte vorrei fare degli esempi come questo, perché non è vero che allontanano, nella mia esperienza quasi sempre avvicinano, e sono anche fonte di straordinarie scoperte. Insomma mi sono accorta che Stefano pubblicava sulla sua pagina dei poster di cinema alternativi notevolissimi! Al terzo consecutivo, ero completamente conquistata: i poster erano bellissimi e i film che sceglieva pure. Così gli ho scritto, chiedendogli di mandarmene un po' da vedere, perché mi sarebbe piaciuto parlarne nel blog. Stefano era assai stupito: da persona brava ed intelligente, possiede anche quella qualità sempre più rara da trovare in giro che è l'umiltà (e mi ha citato la famosa battuta di Groucho Marx secondo la quale non vorrebbe mai fare parte di un club che lo annoveri tra i suoi iscritti). Anche quando gli ho chiesto una piccola bio di presentazione, le sue parole sono state queste: Credo non esista nulla di meno interessante. Sono un contadino del sud, 28enne, da sempre sostenitore di una sana senilità, con delle basi di photoshop e tanta fiducia nel proprio senso estetico (aggiungere altro sarebbe civetteria). Sarà pure sostenitore di una sana senilità, il nostro Stefano, ma guardate che belle cose riesce a fare (alla fine, ho deciso di pubblicare tutti i lavori che mi ha mandato, talmente mi piacevano):
M - The Monster of Düsseldorf  Fritz Lang (1931)
Citizen Kane - Orson Welles (1941)
The Three Caballeros - Norman Ferguson (1944)
À bout de souffle - Jean-Luc Godard (1959)
Psycho - Alfred Hitchcock (1960)
La Notte - Michelangelo Antonioni (1961)
Jules et Jim - François Truffaut (1962)
Le Mépris - Jean-Luc Godard (1963)
Le Vacanze Intelligenti (episodio da Dove vai in vacanza?) - Alberto Sordi (1978)
 Wittgenstein - Derek Jarman (1993)
Quello che adoro nei poster di Stefano è che tutto ruota intorno ad un piccolo ma fondamentale dettaglio: dalle finte ali del piccolo Wittgenstein alla macchina che si butta nel lago di Jules et Jim, dalla planimetria della Casa Malaparte di Le Mépris alla boule de neige di Citizen Kane, la trama, lo stile, il messaggio di un film è subito intuito. I suo poster sono una piccola scossa elettrica anticipativa: ti mettono l'acquolina in bocca prima di cominciare a mangiare tutta quella roba buonissima. 
Quando Stefano è stato così gentile da chiedermi se c'era un poster di cinema alternativo che avrei voluto per il blog, non ho resistito a chiedergli di inventarsi questo:
In the Mood for Love - Wong Kar-Wai (2000) 
Non so voi, ma io trovo che la canotta di Tony Leung sia un po' il suo capolavoro. 
Bravo, Stefano!



lunedì 24 dicembre 2012

A Very Mad Men Xmas!

Dear Friends,
Wherever you are, in a cold or warm climate, I wish you a Merry Xmas with the people you love.
This is not the best moment of the year for many, and this is why I have decided to use a scene from the last season of Mad Men as my Xmas piece.
If I didn’t choose a scene from It's a Wonderful Life by Frank Capra, or The Sound of Music by Robert Wise, it is because I think life is more complicated than wonderful. Or at least it is for me nowadays. Mad Men suits me better, with its mixed feelings of sadness and joy, hope and despair, ugliness and wonder.
As in this dialogue between Don Draper and Joan Harris, in which – in the space of few minutes – they are able to talk about many heavy things in life but always with this subtle and splendid sense of humour, I want to believe that life is full of surprises and that a bunch of flowers with the right words on it is waiting for us all.

A very Mad Men Xmas from your Zazie, dear readers!

lunedì 17 dicembre 2012

Les Invisibles

La vita e il cinema, qualche volta, si intrecciano. Si parlano tra loro senza che noi l’avessimo previsto, e può succedere che i film facciano da cassa di risonanza a situazioni reali e contingenti.
Ieri pomeriggio ero alla manifestazione “Mariage pour Tous”, dove un bel gruppo di persone (eravamo più di 100mila) ha marciato pacificamente da Place de La Bastille ai Jardins du Luxembourg in favore di una legge che permetta a tutte le coppie, etero e omosessuali, di sposarsi.
Ero lì che camminavo con i miei amici e guardandomi intorno non potevo fare a meno di pensare ad un bellissimo documentario visto qualche settimana fa: Les Invisibles, di Sébastien Lifshitz

Questo regista francese di 44 anni, insegnante alla Femis (la scuola di cinema di Parigi), ha sempre messo al centro dei suoi lavori il tema dell’omosessualità. Il suo ultimo film non fa eccezione: Les Invisibles raccoglie le testimonianze di vita di alcune donne e alcuni uomini, in coppia e singles, tutti accomunati dal fatto di essere omosessuali e dall'essere nati tra le due guerre. Si tratta quindi di persone piuttosto anziane, che hanno dovuto fare i conti con una mentalità ben più retrograda di quella attuale, e che hanno dovuto lottare (e parecchio) per poter esprimere in libertà e senza condizionamenti esterni la loro identità sessuale. L’altro elemento interessante è che quasi tutti i protagonisti vengono da un contesto non urbano, o comunque non da grandi città (a parte una coppia che sta a Marsiglia, tutti gli altri vivono in campagna o in piccole città di provincia). La loro sfida dunque è stata ancora più forte e la lotta ancora più ardua. 
Ognuno di loro ha avuto percorsi differenti: c’è chi ha capito subito di essere omosessuale, l’ha vissuto bene e si è impegnato politicamente per i diritti delle minoranze, chi lo ha capito dopo aver fatto una famiglia, con figli già grandi, chi è stato in tutta franchezza bisessuale sin dalla più tenera età (è il caso di un simpaticissmo signore di 80 anni che ha addosso un’allegria contagiosa), chi invece, oppresso da una famiglia troppo borghese e dalla mentalità penosamente ristretta, ha dovuto passare attraverso un percorso doloroso di repressione della propria sessualità per poi iniziare un lento cammino di consapevolezza. 
Quel che è certo, è che per nessuno di loro è stato facile. La coppia di donne che si trova senza lavoro dopo aver dichiarato nei rispettivi uffici di essere omosessuale, è un esempio che vale per tutti. Eppure, nessuno di loro si è dato per vinto. Nello specifico, queste donne si sono trasferite in campagna, dando vita ad una azienda agricola che ha fatto la loro felicità, sia dal punto di vista materiale che spirituale. 
La bellezza di Les Invisibles sta proprio nella limpidezza e nella semplicità con cui Lifshitz ha scelto di raccontare queste storie: i protagonisti, filmati nelle loro case o all'aria aperta, in situazioni quotidiane, senza nessuna messa in scena particolare, potrebbero essere nostri parenti, o nostri vicini di casa, o persone che incontriamo per caso al mercato. Quello che raccontano, lo possono capire tutti, nessuno escluso. A volte ci fanno ridere, a volte ci commuovono. Quello che hanno vissuto, forse, non è comune, ma è reale, tangibile, umanissimo, e qualsiasi persona, anche la più lontana da questa tematica, dotata di un briciolo di intelligenza (e di un pizzico di compassione, che non guasta mai) lo può integrare nel proprio bagaglio di conoscenze. 
La cosa straordinaria di queste persone è la loro normalità. 
Ed è questo il concetto più importante che traspare dal film. Essere omosessuali non rende le persone né migliori né peggiori, non rende speciali, non rende tremendi, non rende niente. L’unica differenza è che un omosessuale ama una persona dello stesso sesso anziché una persona di sesso opposto. Tutto qui. E non è che sia una scelta. Non è che uno lo fa apposta per dare fastidio all’altro 95% della popolazione. E’ un dato di fatto, punto. Ma è davvero così difficile da capire? E la lotta di questi invisibili è stata proprio quella di voler essere accettati nella loro normalità, di trovare posto in una società che voleva a tutti i costi farli sentire dei mostri, degli esseri inferiori, delle orribili minacce. Non hanno voluto nascondersi, perché sapevano di non stare facendo nulla di male, stavano solo vivendo la loro vita.
Ieri alla manifestazione, ho pensato che tutti noi avremmo dovuto dire grazie a queste persone anziane che prima di noi hanno fatto valere i loro diritti, spendendo ben più di tre ore a camminare nel freddo, rischiando ben più di un semplice pomeriggio tolto allo svago, per dire chiaramente al mondo come stanno le cose. 
Ieri, guardando i miei amici gay e i loro genitori (ah, quanto mi piacciono queste mamme e questi papà che così sereni ed orgogliosi sfilano di fianco ai loro figli!) ho pensato due cose: la prima, è che mi sembravano tutto tranne una minaccia alla pace, la seconda, è che per fortuna non sono più invisibili.
E poi, come in un lampo, ho rivisto una scena tratta da Six Feet Under, quella in cui al funerale di un ragazzo gay che è stato picchiato a morte, alcuni manifestanti religiosi si presentano al funerale con dei cartelli con la scritta: God Hates Fags! (Dio odia i froci!), e Nate, il fratello di David (che è gay), si avvicina a quello che tiene il cartello e gli urla in faccia: God Hates Morons! (Dio odia gli imbecilli!).
Volevo ben dire...

venerdì 7 dicembre 2012

Tabu

La magia del cinema.
L'inequivocabile sensazione di essere di fronte ad un'opera d'arte che ci parla con un linguaggio misterioso, che ci trasporta in un luogo che è stato un ricordo prima di diventare un'immagine, qualcosa di prezioso rimasto sulla retina della nostra memoria e che riscopriamo con stupore e meraviglia. 
Quelle sorprese che verso la fine dell'anno non ti aspetti, quelle cose che dici, vabbé, vedrò ancora quei quattro-cinque film per tirare a campare fino a che Dicembre sia concluso e poi ti rendi conto che avevi voglia di tutt'altro. Di questo, anche se questo non sai bene che cosa sia, almeno finché non ti siedi nel buio di un cinema e non ti metti a guardare Tabu, del portoghese Miguel Gomes. E allora ti siedi comoda e inizi a respirare diversamente, perché l'occasione lo richiede. L'occasione è delle più solenni.
Il cinema, signore e signori, non è affatto morto, ma è vivo, vivissimo.
E lotta insieme a noi.
Gianluca, Aurora e il Monte Tabu
Lisbona, ultimi giorni del 2010. Pilar, una donna di mezza età che vive sola, va in aiuto di una vicina di casa, Dona Aurora, un'anziana signora che, abbandonata dall'unica figlia, è accudita dalla badante (Santa, di nome e di fatto, una donnona di Capo Verde). Aurora si è giocata tutti gli ultimi risparmi al Casinò di Estoril e con la testa ci sta un po' poco: la notte di capodanno si sente male e all'ospedale, morente, lascia il nome e l'indirizzo di un uomo sconosciuto, chiedendo di andarlo a chiamare. Pilar va allora a cercare l'uomo: si chiama Gianluca Ventura, è un portoghese di origini italiane (genovesi, per la precisione), e sarà lui a raccontare a Pilar e Santa, davanti ad un caffé in un centro commerciale, la bruciante storia d'amore che, in gioventù, lui ed Aurora hanno vissuto in Mozambico (anche se il paese nel film non è mai specificato), ai piedi del monte Tabu.
Aurora (Ana Moreira) e Gianluca (Carloto Cotta)
Diviso in due parti: “Paradiso Perduto” e “Paradiso”, girate rispettivamente in 35 e 16 mm, in un sontuoso bianco & nero, Tabu è un film che a mezz’ora dall’inizio compie una scelta stilistica che definire azzardata è dire poco. Quando Ventura inizia a spiegare la sua storia con Aurora, e da Lisbona si passa all’Africa, la pellicola si trasforma infatti in un film raccontato. Ovvero: la voce di Ventura narra passo dopo passo quello che è successo, e noi vediamo scorrere in parallelo le immagini, ma i dialoghi non si sentono. Restano solo i suoni della natura e la musica (quando c’è). In pratica, è un film muto con una voce narrante anziché con gli intermezzi scritti come accadeva agli albori del cinema.
The Mario's Band
 Dopo un primo momento di spaesamento, si viene travolti da una sensazione di pura felicità. Ci si rende conto che la mancanza di dialoghi rende tutto più intenso e speciale. All’improvviso, si sta più attenti alla voce di Ventura, a quanto racconta (ah, la bellezza straordinaria della lingua portoghese in generale e di questi testi in particolare!), a dove ci vuole portare. E le immagini, come se prendessero nuova vita, ci rivelano dettagli e sfumature rimaste nell’ombra. Così il gioco di sguardi tra il giovane Gianluca ed Aurora, la prima volta che si incontrano, sono di una tale evidenza che ci si stupisce che nessuno degli altri se ne renda conto. E le parole delle lettere che si scambiano i due amanti diventano più forti, uniche ed importanti. E’ come se l’occhio si abituasse a poco a poco ad un linguaggio sconosciuto, e per capirlo meglio non si possa far altro che lasciarsi trascinare dalla corrente, ed essere travolti insieme ai protagonisti dall’intensità della loro passione. 
Aurora (Ana Moreira)
Dandy, il coccodrillo di Aurora
Tabu è un film, per ammissione dello stesso regista, sulle cose scomparse: una persona che muore, una società che non c’è più, un’intera epoca che non può che esistere nella memoria di chi l’ha vissuta. Di questa malinconia, di questo senso di cose perdute, è impregnata tutta la pellicola. C’è spazio per cose profonde e profondamente tristi, in questo film: la solitudine, l’infelicità, e il dolore per un amore che non si può vivere, eppure su tutto sembra posarsi la leggerezza della luce africana, di questi volti senza parole, delle vecchie canzoni cantate dalla Mario's Band, di questi attimi di felicità assoluta e transitoria. Rimaniamo lì anche noi a fissare le immagini, e a chiederci dove abbiamo già conosciuto tutto questo, sperando di poterlo rivivere. Il nostro paradiso perduto.
 
Io ve lo dico, questo è uno dei film più belli che abbia mai visto (e Zazie, vi assicuro, ne ha visti parecchi).
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