Se mi capita di arrivare alla Stazione Centrale di Milano in pieno Agosto e alzo gli occhi per guardare il Grattacielo Pirelli, a me partono in automatico i titoli di testa della Notte di Antonioni:
Film del 1961, capitolo centrale della "Trilogia esistenziale" (o dell'incomunicabilità) insieme a L'Avventura e L'Eclisse (hai detto niente!), La Notte rappresenta per me il punto più alto della cinematografia di Antonioni, e il punto più alto della cinematografia italiana tout court. Ebbene sì, se in una ipotetica classifica dei migliori film di tutti i tempi io dovessi citare un solo film italiano, dubbi non ne avrei, il mio titolo sarebbe questo.
Antonioni sul set con Jeanne Moreau e Marcello Mastroianni |
Marcello Mastroianni - Giovanni |
Jeanne Moreau - Lidia |
Monica Vitta - Valentina |
Aiutato in questa mirabile impresa dalla penna di Ennio Flaiano e Tonino Guerra, che hanno scritto con lui la sceneggiatura, Antonioni ha scelto un trio di attori straordinari per esprimere al meglio il buio di questa notte. Mastroianni, lontano dai gigioneggiamenti delle prove felliniane, è febbrile, sperduto e fragilissimo. Jeanne Moreau, con la sua aria triste e corrucciata, è il ritratto di un disagio profondo ed immobile, mentre Monica Vitti, in quel suo modo leggero e falsamente spensierato, fa intravedere abissi di vuoto esistenziale. Ma uno dei motivi per cui amo da morire questo film, è per come Antonioni ha filmato Milano. Mi pare che lui ne abbia catturato la vera essenza, fatta di cose davvero impalpabili eppure riconoscibilissime. Il mondo di ciascuno è gli occhi che ha, ha scritto una volta José Saramago. Ma il mondo di ciascuno è anche i film che ha visto, e a me sembra di avere sempre osservato Milano con gli occhi di Antonioni.
In uno degli episodi di Die Zweite Heimat di Edgar Reitz, alcuni dei protagonisti vanno al cinema a vedere La Notte e al rientro uno di loro annuncia agli amici, estasiato: "Questo film è straordinario. Lo vedi, e poi hai voglia di spararti un colpo."
Devo essere l'unica al mondo a cui La Notte fa tornare la voglia di vivere.
Comunicare l'incomunicabilità: un koan intrigante. Credo che la "disperazione" di Antonioni fosse alla fine tutta qui. Il "dovere" di esprimere l'inesprimibile e di scegliere, per questo, la razionalità totale. E arrivare al punto di considerare "periferia" anche il centro della città. Perchè alla fine, tutto è vuoto. Anche se dentro di lui il vuoto era fertile.
RispondiEliminaVado pazza per il vuoto fertile di Antonioni. Grazie Ingeborg!
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