Ieri sera sono stata al Théâtre aux Abbesses a vedere Hiroshima, Mon Amour di Marguerite Duras, diretto da Christine Letailleur.
Da questo testo, nel 1959, Alain Resnais ha tratto uno dei film più belli della storia del cinema, un'opera fondamentale della Nouvelle Vague, con due attori straordinari come Emmanuelle Riva e Eiji Okada.
Personalmente, sono affezionata a questo film in maniera viscerale, perché mescola due delle grandi passioni della mia vita: il cinema e il Giappone.
Hiroshima, Mon Amour racconta una notte d'amore tra un'attrice francese venuta a girare a Hiroshima un film sulla pace (a 14 anni dalla bomba atomica) e un architetto giapponese conosciuto per caso. La scrittura della Duras, lo sapete bene, è una scrittura molto particolare. Le frasi sono brevi, ripetute, le immagini nascono da una semplice descrizione, dalla fugace apparizione di un pensiero, di una sensazione, e vengono fermate per sempre dalla reiterazione di una parola, in una sorta di trance ossessiva.
La trasposizione di un testo del genere in spettacolo teatrale, diciamocelo, è compito assai arduo, ma devo dire che la Letailleur se l'è cavata piuttosto bene, aiutata anche dall'ottima interpretazione degli attori principali, Valérie Lang e Hiroshi Ota. In particolare, ho molto amato la prima, lunghissima scena, dove gli attori, completamenti nudi, stanno "sdraiati" su un letto nero ribaltato in senso verticale. E' un'idea semplice ma molto efficace, e crea la giusta atmosfera per trasportare gli spettatori nel vortice di sensazioni che il dialogo tra l'uomo e la donna crea a poco a poco.
Si tratta in effetti di uno spettacolo molto sobrio, molto fedele al testo, e nonostante la grandiosità del film sia inarrivabile, trovo che a teatro il testo della Duras trovi molto più spazio, come se le parole diventassero più importanti della messa in scena stessa.
Insomma, ero tutta contenta di averlo visto, e all'uscita stavo discutendo dello spettacolo con i miei amici Denis et Laura, quando a pochi passi di distanza mi è sembrato di riconoscere il volto di qualcuno. C'era un uomo barbuto che stava andando verso uno scooter parcheggiato davanti al teatro, e io mi dicevo che l'avevo già visto. Poi ho avuto un'illuminazione: quello era il regista francese Christophe Honoré!
Ne ho già parlato più volte, in questo blog: per me Honoré è uno dei più interessanti registi contemporanei, e io lo considero niente-poco-di-meno che il Jacques Demy dell'era moderna (non so se ci rendiamo conto del complimento!). Ho esitato un po', poi, quando ho visto che era stato raggiunto da un amico e avevano già i loro caschi sulla testa, mi sono precipitata verso di lui: Siete Christophe Honoré? gli ho chiesto. Lui mi ha fatto un bel sorriso (ah, quanto mi piacciono gli uomini con la barba quando sorridono!): Sì, sì, sono io. Allora gli ho fatto un sacco di complimenti per i suoi film e poi gli ho chiesto se gli era piaciuto lo spettacolo (ho scoperto che più o meno la pensava come me). E poi niente, ho augurato a entrambi una buona serata, e loro sono partiti. Ogni volta che faccio queste cose mi dico che devo sembrare una pazza. Però, nonostante tutto, continuo a farle. Non è umanamente possibile, per me, incontrare un regista che apprezzo e non fargli una dichiarazione d'amore seduta stante. Non me lo perdonerei mai.
Per Honoré, avrei persino potuto usare le parole della Duras che fanno da leitmotiv a Hiroshima, Mon Amour: Tu me tues, tu me fais du bien! (Tu mi uccidi, tu mi fai del bene!).
Ma soprattutto del bene.
0 commenti:
Posta un commento