A Parigi piove.
Piove e fa freddo. Quindi, cos'altro si può fare se non passare il tempo al cinema? Negli ultimi giorni ho visto due film notevolissimi che, pur nella loro profonda diversità, mi hanno scosso ed emozionato in egual misura toccando lo stesso tema: l'incontro inatteso di due esseri umani (in grado di cambiare il corso delle loro esistenze). I film di cui sto parlando sono il tedesco Töte mich (Uccidimi) di Emily Atef e l'inglese Tyrannosaur (Tirannosauro) di Paddy Considine.
Töte mich ha una trama davvero originale: Adele è una ragazzina di 15 anni che sta cercando di suicidarsi, con scarso successo. Qualche mese prima, lei e il fratello maggiore hanno avuto un incidente in motorino: lui è morto sul colpo, lei, dopo qualche giorno di coma, se l'è cavata. Da quel momento, per Adele la vita non ha più senso, ma da sola non riesce a risolversi a morire (l'idea è quella di buttarsi giù da un dirupo). Un fatto inaspettato le viene in aiuto: Timo, un uomo scappato di prigione, si rifugia nella fattoria nella quale vive Adele. Lei promette di aiutarlo a mettersi in salvo, ma in cambio lui la dovrà uccidere (Adele sa che Timo era in carcere per aver ucciso il padre). Non avendo scelta, l'uomo accetta, ma la loro fuga si trasforma in un viaggio dagli esiti sorprendenti...
Tyrannosaur è invece ambientato nella periferia di Glasgow: Joseph è un uomo triste, solitario e rabbioso che passa le sue giornate a bere al pub. I suoi unici amici sono il suo cane (che Joe uccide con un calcio nella sequenza iniziale del film...), e Sam, un bambino che vive di fronte al suo miserabile appartamento. Un giorno, Joseph cerca rifugio nel negozio in cui lavora Hannah, una donna altrettanto triste e disperata, con un marito violento che la violenta e la ammazza di botte. Il sorriso e la dolcezza di Hannah scalfiscono a poco a poco il cuore indurito di Joseph e quando, dopo l'ennesimo episodio di violenza, lei lascia il marito e si trasferisce a casa di lui, entrambi sanno che quella potrebbe essere la loro ultima occasione di felicità. Ma le cose, si sa, non vanno mai come ci si aspetterebbe...
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Maria Dragus - Adele |
Spesso sono accusata dai miei amici di trascinarli a vedere dei film alquanto deprimenti. La verità è che quello che davvero mi deprime, al cinema, sono i film brutti, scritti male e interpretati peggio. Per quanta disperazione ci possa essere nella trama di un film, se questo film è ben fatto, significa che ci regalerà momenti di inaspettata bellezza e felicità. Significa che ci farà entrare in vite sconosciute che ci aiuteranno a dimenticarci un po' delle nostre, ci aiuterà a farci capire che al mondo c'è pure di peggio, o a farci sentire che le nostre disperazioni sono le stesse di persone che vivono lontano da noi ma che per questo non sono meno fratelli. Insomma, il cinema è un modo per sentirci meno soli e, forse (speriamo!), per renderci persone migliori.
In questi due film, la disperazione dei protagonisti è talmente sentita, vera, reale, che non possiamo non essere commossi dal loro destino, dalla loro fragilità, e sperare che dietro l'angolo li aspetti qualcosa di meglio. Sono anche due film molto pudichi, in cui le emozioni non sono mai sbandierate, o utilizzate per provocare facili identificazioni. Il dolore ha reso gli uomini di questi film violenti, freddi e solitari, mentre ha reso le donne compassionevoli ma vittime e succubi delle loro stesse esistenze. Solo l'incontro degli uni con le altre sarà in grado di spezzare questo circolo vizioso e disperante.
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Olivia Colman - Hannah |
Bravi i registi di queste pellicole: la Atef ha al suo attivo diversi film, che temo non siano mai arrivati in Francia o in Italia, mentre Paddy Considine è alla sua prima prova dietro la macchina da presa. Davanti alla macchina da presa, invece, c'è già stato innumerevoli volte, essendo un attore piuttosto conosciuto (forse qualcuno di voi lo ricorderà in In America di Jim Sheridan, o ancora in The Bourne Ultimatum, Submarine, 24 Hours Party).
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Paddy Considine |
Ma qui, la vera bravura, sta nella scelta degli attori. Tutti e quattro assolutamente eccezionali: Maria Dragus e Roeland Wiesnekker in Töte mich, Olivia Colman e Peter Mullan (anche lui un attore/regista) in Tyrannosaur. Ma, devo ammettere, le donne rubano la scena agli uomini: la giovanissima Maria Dragus fa miracoli nella sua interpretazione di Adele, mettendo in atto una vera trasformazione fisica oltre che psicologica, mentre Olivia Colman (pioggia di premi su dei lei per questo ruolo, ovvio), entra di diritto nella schiera delle più brave attrici in circolazione. La sua Hannah spezzerebbe il cuore anche al più feroce degli assassini: quando nella disperazione più nera trova il coraggio di tirare fuori un sorriso, lo fa con un candore e una dolcezza tali da far dimenticare tutte le brutture di questo mondo.
Per gli Zazie d'Or ai migliori attori, quest'anno, io direi che stiamo già a posto.
Ieri sera sono stata al Théâtre aux Abbesses a vedere Hiroshima, Mon Amour di Marguerite Duras, diretto da Christine Letailleur.
Da questo testo, nel 1959, Alain Resnais ha tratto uno dei film più belli della storia del cinema, un'opera fondamentale della Nouvelle Vague, con due attori straordinari come Emmanuelle Riva e Eiji Okada.
Personalmente, sono affezionata a questo film in maniera viscerale, perché mescola due delle grandi passioni della mia vita: il cinema e il Giappone.
Hiroshima, Mon Amour racconta una notte d'amore tra un'attrice francese venuta a girare a Hiroshima un film sulla pace (a 14 anni dalla bomba atomica) e un architetto giapponese conosciuto per caso. La scrittura della Duras, lo sapete bene, è una scrittura molto particolare. Le frasi sono brevi, ripetute, le immagini nascono da una semplice descrizione, dalla fugace apparizione di un pensiero, di una sensazione, e vengono fermate per sempre dalla reiterazione di una parola, in una sorta di trance ossessiva.
La trasposizione di un testo del genere in spettacolo teatrale, diciamocelo, è compito assai arduo, ma devo dire che la Letailleur se l'è cavata piuttosto bene, aiutata anche dall'ottima interpretazione degli attori principali, Valérie Lang e Hiroshi Ota. In particolare, ho molto amato la prima, lunghissima scena, dove gli attori, completamenti nudi, stanno "sdraiati" su un letto nero ribaltato in senso verticale. E' un'idea semplice ma molto efficace, e crea la giusta atmosfera per trasportare gli spettatori nel vortice di sensazioni che il dialogo tra l'uomo e la donna crea a poco a poco.
Si tratta in effetti di uno spettacolo molto sobrio, molto fedele al testo, e nonostante la grandiosità del film sia inarrivabile, trovo che a teatro il testo della Duras trovi molto più spazio, come se le parole diventassero più importanti della messa in scena stessa.
Insomma, ero tutta contenta di averlo visto, e all'uscita stavo discutendo dello spettacolo con i miei amici Denis et Laura, quando a pochi passi di distanza mi è sembrato di riconoscere il volto di qualcuno. C'era un uomo barbuto che stava andando verso uno scooter parcheggiato davanti al teatro, e io mi dicevo che l'avevo già visto. Poi ho avuto un'illuminazione: quello era il regista francese Christophe Honoré!
Ne ho già parlato più volte, in questo blog: per me Honoré è uno dei più interessanti registi contemporanei, e io lo considero niente-poco-di-meno che il Jacques Demy dell'era moderna (non so se ci rendiamo conto del complimento!). Ho esitato un po', poi, quando ho visto che era stato raggiunto da un amico e avevano già i loro caschi sulla testa, mi sono precipitata verso di lui: Siete Christophe Honoré? gli ho chiesto. Lui mi ha fatto un bel sorriso (ah, quanto mi piacciono gli uomini con la barba quando sorridono!): Sì, sì, sono io. Allora gli ho fatto un sacco di complimenti per i suoi film e poi gli ho chiesto se gli era piaciuto lo spettacolo (ho scoperto che più o meno la pensava come me). E poi niente, ho augurato a entrambi una buona serata, e loro sono partiti. Ogni volta che faccio queste cose mi dico che devo sembrare una pazza. Però, nonostante tutto, continuo a farle. Non è umanamente possibile, per me, incontrare un regista che apprezzo e non fargli una dichiarazione d'amore seduta stante. Non me lo perdonerei mai.
Per Honoré, avrei persino potuto usare le parole della Duras che fanno da leitmotiv a Hiroshima, Mon Amour: Tu me tues, tu me fais du bien! (Tu mi uccidi, tu mi fai del bene!).
Ma soprattutto del bene.
When I moved to Paris almost 7 years ago, I found out an amazing thing about cinemas in this town: the existence of cheap fidelity cards to see movies.
These cards allow you to go to the movies anytime you want, any moment of the week, for only 20 Euros/month. It is heaven on earth, basically.
The tricky thing was that there were two different kinds of cards: one for the cinemas of Gaumont/Pathé/MK2 circuit (plus some independent movie theatres) called Le Pass, and the other one for the cinemas of UGC circuit (plus some independent movie theatres) called UGC Illimité.
The choice was super easily made, for me: I HATE UGC cinemas, and so I didn’t even have to think about it. The reason why I hate them, is that I think their theatres are ugly and the movies they show not very good. Few years ago, for unknown reasons (at least unknown to me), MK2 decided to quit the Gaumont/Pathé circuit to join the UGC one. It was a very sad moment. I’m a huge fan of MK2 cinemas and their movies, and so the idea that they had passed to the enemy was unbearable. I didn’t change my mind, though, and I kept my pass. The reality is, everybody is choosing the card based on where the cinemas are (meaning near the place where they work or live). In my case, I was lucky: the cinemas I prefer are placed in suitable locations and accept Le Pass.
It is really, really rare that I go to see a movie in a UGC cinema.
Yesterday night, unfortunately, I did.
You can entirely put the blame on a man, his name is Ewan McGregor. I couldn’t see his latest movie, Perfect Sense by David Mackenzie, when it was out in cinemas a couple of weeks ago and I was about to losing it: my only chance was to go to a UGC cinema, the only one programming it at a decent time (that means not at 11 am on a Tuesday morning). My friend Manù, who has a UGC pass, accepted to come with me and so off we went, looking for the mysterious UGC Orient Express!
When you think about this name, of course you imagine something very exotic, or at least very nice. Well, FORGET ABOUT IT! The marvellous UGC Orient Express is located in the worst place of Paris: the Level -4 (!) of the AWFUL complex called Les Halles. When we arrived, we were shocked by the look of it. More than a cinema it looked like the entrance of some repellent public toilets. Everything was black and bleak. The ceiling was so low that you were afraid it was about to crush down and the space was so tight that people making the queue for tickets and people making the queue to enter into the theatre were obliged to share the same space, creating an unpleasant confusion and the sensation of being guinea pigs in a cave waiting for some weird experiments.
And I want to say something to UGC people to start: when a friend of mine wants to see a film with me, my card reserves a big discount to him/her and so he/she pays just 4 or 6 Euros (instead of 10)… but nothing like this is foreseen by the UGC card. Thanks very much, guys!
So, I spent 10 Euros to be welcomed into the most horrible space ever created by a human being and I had the stupid idea of going to the toilets as first thing. Alejandro Gonzàlez Iñárritu must have shot there some scenes of Biutiful, I swear. I can’t even describe the state of the corridor and the smell of it. When I arrived at the door of the female toilet, a woman told me she was cleaning (???!!!!) them and so I should use men ones. I was furious. I opened the door and a man was pissing in front of me. And no, he didn’t look like Ewan McGregor. Far, very far from it. When I managed to get out, I entered into another cheerful black corridor and I finally reached Salle n° 1 (what can possibly be the n° 7???). Black as well, of course. Everything was so damned cheap in that place. Manù and I hesitated: should we laugh or cry? Luckily enough, the film started, Ewan McGregor appeared on screen with his lovely beard, his sweet glaswegian accent and his chef uniform. And life was – oh - so wonderful again!
Actually, the movie wasn’t bad at all. The plot was very intriguing: a mysterious epidemic is spreading around the world and people loose step by step all the senses. It is also the moment the two main characters are falling in love with each other, so, well… it’s complicated. And also quite dark, gloomy and distressing.
When the movie was over, we thought the general atmosphere of the place was absolutely perfect to maintain intact the oppressive sensation generated by the picture.
And yes, we would have loved to loose at least one of our senses: the one of smell.
Ewan, you definitely owe me one!!!
L'altro giorno ho letto una lunga intervista al regista americano Tim Burton.
L'intervista era molto bella, e lui diceva un sacco di cose interessanti. Una però mi ha colpita in maniera particolare: Burton raccontava divertito lo sconcerto di un giornalista tedesco a cui aveva appena confidato che il suo amore per l'attore Vincent Price gli aveva salvato la vita, quand'era piccolo.
Come sconcertato? Ho pensato io, d'istinto.
A me infatti sembra la cosa più normale del mondo... a voi no?
p.s. Questo mini-film è una vera delizia. Lo adoro!