Non esiste limite, per me, al numero di visioni possibili di una stessa pellicola. Sono capace di imparare i dialoghi a memoria, rivedere le stesse scene 40 volte, riprovare l'identico piacere nel sentire per la centesima volta la stessa replica.
Con i libri, invece, non mi capita quasi mai. Il potere delle parole esercita su di me una diversa fascinazione, che molto ha a che vedere con l'istante, con il qui e l'adesso, con il magico che si sprigiona mentre leggo una frase, e se la rileggo mi pare che in qualche modo qualcosa si perda. Esiste tuttavia un'eccezione, uno stesso libro che ho letto a distanza di moltissimi anni (a 20 e 40): Norwegian Wood, di Haruki Murakami. E non è un caso. Norwegian Wood è uno dei miei romanzi preferiti, e ricordo di essere rimasta folgorata da tutto la prima volta che l'ho letto: la storia, l'ambientazione (Tokyo alla fine degli anni '60), i personaggi (in particolare da quello di Midori, un amore a prima vista!), il meraviglioso stile narrativo di Murakami. E' un libro speciale anche perché molto legato alla mia vita: stavo studiando giapponese, in quegli anni, e la traduzione in italiano del romanzo era stata affidata a quello che, ancora oggi, è il mio miglior amico. E' quindi con grande aspettativa mista ad un po' di preoccupazione che sono andata a vedere la trasposizione cinematografica del libro, diretta dal regista vietnamita Tran Anh Hung e scritta da lui e dallo stesso Murakami (questo mi faceva ben sperare!).
Nella Tokyo della fine degli anni '60, quella delle contestazioni studentesche, Toru Watanabe, un giovane universitario, si trova a vivere uno dei momenti più intensi della sua vita. Ritrovata per caso Naoko, che è stata la ragazza del suo miglior amico Kizuki, suicidatosi un paio d'anni prima, Toru si innamora di lei, ricambiato, ma per Naoko è impossibile riuscire a vivere questo amore. Mai completamente rimessasi dal suicidio di Kizuki, la ragazza decide di farsi ricoverare in una struttura psichiatrica, lontana dalla città e immersa in una foresta, dove Toru riesce a farle visita di quando in quando (nei pochi momenti in cui Naoko sente di poter gestire la sua presenza). Nel frattempo, a Tokyo, Toru incontra una strana ragazza, Midori, un miscuglio di energia, follia e tenerezza straripanti, dalla quale si sente irresistibilmente attratto. Ma un nuovo, drammatico evento, darà una svolta alla sua vita, precipitandolo in maniera drammatica dall'adolescenza all'età adulta.
Dirò subito le cose che non mi sono piaciute del film, e prima fra tutte la scelta dell'attrice che interpreta Midori. Forse perché amo incondizionatamente questo personaggio e ne ho un'idea ben precisa in testa, ho trovato che il fim non le rende per nulla giustizia. Midori è una forza della natura, è una mezza pazza, forse nemmeno tanto bella, ma viva, sensuale, allegra, una specie di tornado. Kiko Mizuhara, l'attrice scelta per interpretarla (in realtà una cantante molto famosa in Giappone qui alla sua prima prova cinematrografica), è bellissima ma per nulla speciale, tutt'al più semplicemente "simpatica". Questo è un vero peccato, perchè una grande forza del libro stava nella differenza tra le due donne di cui Toru è innamorato, mentre nel film si ha l'impressione che siano piuttosto simili, problemi psicologici a parte. L'altro difetto, piuttosto inevitabile quando si tratta di condensare in poco tempo un materiale narrativo tanto ricco, è la perdita di alcuni passaggi o di alcune storie fondamentali (come quella magnifica di Reiko, ad esempio, la compagna di stanza di Naoko in clinica). Infine, c'è il difetto tipico di tutti i film di Tran Anh Hung: l'eccessiva perfezione stilistica delle immagini. Persino nel momento di massimo dolore, di assoluta disperazione, il quadro è impeccabile, gli oggetti mai fuori posto, la natura aggiustata a regola d'arte. Verrebbe voglia di andare lì e spaccare tutto o almeno mettere qualcosa in disordine (e ve lo scrive la blogger più control freak dell'universo). Detto questo, il film è un'ottima trasposizione del romanzo, grandioso nel catturare e ricreare una certa atmosfera che si sprigiona dalle pagine del libro (mi sono detta che qui c'entrava molto Murakami), la forza, il romanticismo e l'assoluto delle storie d'amore di quando si hanno 20 anni, con alcuni momenti davvero potentissimi (come il lungo monologo di Naoko in mezzo all'erba alta, una scena straordinaria, dove l'emozione supera di gran lunga la perfezione dell'immagine). Molto azzeccata la scelta dei due interpreti principali: Rinko Kikuchi (già apprezzatissima in Babel di Inarritu) è la fragile e tormentata Naoko, mentre Kenichi Matsuyama (giovanissimo ma già molti film all'attivo in patria) è il solitario e romantico Toru.
Qualche anno fa, in una calda estate giapponese, mi è capitato (ありがとうございます, Amitrano-san!) di prendere il té con Haruki Murakami nel suo studio di Tokyo. Dato che si trattava di uno dei miei scrittori preferiti in assoluto, ero al settimo cielo ma anche molto stupita di essere così in soggezione. Io che di solito non ho vergogna di niente, di fronte a quell'uomo così silenzioso e discreto, non avevo il coraggio di proferire parola. Murakami aveva uno sguardo vivo e indagatore, e nonostante non si possa definirlo un bell'uomo, emanavano dalla sua persona un fascino ed un carisma inauditi. Sulla porta, prima di uscire, a sorpresa, Murakami mi ha fatto i complimenti per la borsa che portavo (una Marimekko, evviva i designer finlandesi!): ma come ha fatto a notare la borsa che avevo? ho pensato stupita. Misterioso, intelligente ed imprevedibile, proprio come i suoi romanzi.
0 commenti:
Posta un commento