La vostra Zazie se ne va, per lavoro, a Los Angeles e New York. Quali avventure mirabolanti la aspetteranno in due città tanto "cinematografiche"? Per saperlo, dovrete avere un po' di pazienza. Ma resistete! Tornerà.
Your Zazie is leaving for Los Angeles and New York (it's for my job, guys!). Which incredible adventures will wait for her in these "cinematic" cities? To find out, well, you should be a bit patient. Keep the faith! She will be back soon.
ps Quella nella foto è la famosa Fisher & Diaz Funeral Home di Six Feet Under. La foto l'ha scattata la vostra Zazie in una precedente sortita in quel di LA. Perché dove c'è Six Feet Under, c'è casa!
Le Blog de Zazie compie un anno, miei cari lettori, e io vorrei fare un po' di festa con voi.
Questo è il mio cinquantaduesimo post.
Ho recensito 32 film, un po' di tutte le nazionalità: francesi, italiani, americani, tedeschi, filippini, giapponesi, argentini, australiani, inglesi, norvegesi.
Alcuni di questi film erano nuovissimi, altri vecchi, ma avevo voglia di raccontarvi quanto mi fossero piaciuti. Ho scritto alcune stroncature, poche ma feroci (perché si è più cattivi con quelli che si amano e da cui ci si aspetta tanto), ma ho soprattutto voluto condividere con voi dei colpi di fulmini, dei film in grado di cambiare, anche di poco, anche per due minuti non fa niente, il mondo.
Vi ho ossessivamente parlato di alcuni registi (devo farvi i nomi?), ve ne ho fatti (spero) conoscere alcuni di cui tutti sembrano essersi dimenticati e io non voglio (Jean Eustache, mon amour!) e scoprire dei nuovi registi che un giorno, forse, saranno considerati dei grandi.
Vi ho parlato di incontri esaltanti con persone speciali che ero abituata a vedere su uno schermo ma che poi, da vicino, mi sono sembrate semplicemente e mirabilmente umane (tranne, lo confesso, quei venti minuti a parlare su una panchina fuori da un teatro di Londra con Jeremy Irons. Quelli, ovviamente, stanno nel campo del fantascientifico/prove tangibili dell'esistenza di un essere superiore che governa questo mondo e, detto tra noi, mi vuole molto bene).
Ma ho condiviso con voi anche momenti di grande tristezza, perché in questi mesi ho perso alcuni registi amatissimi, come Eric Rohmer e Claude Chabrol, e un'attrice molto speciale che mi ha regalato forse il momento più commovente dell'anno cinematografico, la tenerissima Mary della Bocca del Lupo.
Comunque, la cosa più incredibile che posso dirvi di questo primo anno del Blog di Zazie, è che non mi sarei mai aspettata che mi piacesse così tanto scriverlo. E che non avevo capito quante cose si possono raccontare: di se stessi, delle proprio idee, del mondo che ci circonda, semplicemente parlando di un film.
L'idea di poter dichiarare agli altri quanto io ami il cinema, lo confesso, è un piacere che non è pari a niente, nella mia vita.
O forse sì, è pari a quello di entrare in una sala buia, sedersi, ed aspettare che le immagini invadano lo schermo.
Grazie, grazie, grazie cari lettori! Et que le cinéma, règne...
Durante l'inverno del 1955, Alfred Hitchcock venne a lavorare a Joinville, allo studio Saint-Maurice, per la post-sincronizzazione di Caccia al Ladro, di cui aveva girato gli esterni sulla Costa Azzurra. Il mio amico Claude Chabrol ed io decidemmo di andare ad intervistarlo per i Cahiers du Cinéma. Avevamo preso in prestito un magnetofono per registrare questa conversazione, che volevamo lunga, precisa, fedele.
C'era poca luce nell'auditorio dove lavorava Hitchcock, mentre sullo schermo sfilava senza interruzione una breve scena del film che mostrava Cary Grant e Brigitte Auber mentre guidano un motoscafo. Nell'oscurità, Chabrol ed io ci presentiamo ad Hitchcock il quale ci chiede di andare ad aspettarlo al bar del teatro di posa, dall'altra parte del cortile. Usciamo, abbagliati dalla luce del giorno e commentando con l'entusiasmo dei veri fanatici del cinema le immagini di Hitchcock di cui abbiamo appena visto una primizia, ci dirigiamo dritto verso il bar che si trova là, a quindici metri. Senza rendercene conto scavalchiamo tutti e due con lo stesso passo il sottile bordo di una grande vasca gelata, dello stesso colore grigio del bitume del cortile. Il ghiaccio scricchiola subito e ci ritroviamo nell'acqua fino al petto, inebetiti. Domando a Chabrol: "E il magnetofono?". Alza lentamente il braccio sinistro e tira fuori dal'acqua l'apparecchio tutto gocciolante. Come in un film di Hitchcock la situazione era senza via di uscita: la lieve pendenza della vasca concava ci rendeva impossibile raggiungere il bordo senza scivolare di nuovo. Ci sarebbe stato bisogno della mano caritatevole di un passante per tirarci fuori di là. Finalmente usciamo e una costumista, che crediamo piena di compassione, ci trascina verso un camerino dove possiamo spogliarci e far asciugare i vestiti. Mentra raggiungiamo il camerino ci dice: "Ebbene, i miei poveri ragazzi, siete delle comparse del Rififi? - No signora, siamo giornalisti. - Allora, in questo caso, non posso occuparmi di voi!"
E' quindi tremando nei nostri abiti ancora inzuppati che ci presentiamo di nuovo a Hitchcock qualche minuto più tardi. Ci guardò senza fare commenti sul nostro stato e volle proporci un nuovo appuntamento per la sera stessa all'Hotel Plaza Athénée.
L'anno dopo, quando tornò a Parigi, ci individuò immediatamente in mezzo ad un gruppo di giornalisti parigini e ci disse: "Signori, penso a voi due ogni volta che vedo dei cubetti di ghiaccio che si urtano in un bicchiere di whisky!"
François Truffaut, Il Cinema secondo Hitchcock
Ho sempre adorato questa storia su Truffaut e Chabrol.
Perché mi sembra di vederli: tutti infervorati per aver visto due immagini di un nuovo film di Hitchcock, tutti presi a commentare una semplice sequenza, al punto da non accorgersi di stare finendo in una vasca d'acqua gelata. C'è tutto un mondo, in questa caduta.
Chabrol non era il mio regista preferito della Nouvelle Vague, ma ho amato moltissimo alcuni suoi film e l'ho sempre trovato di una simpatia e di una intelligenza rare (leggere una sua intervista era un piacere infinito). Mi è capitato di pensare a lui diverse volte, negli ultimi tempi. Lo avevo infatti trovato adorabile nel film di Sfar su Serge Gainsbourg: nel breve cameo del produttore a cui il musicista propone di lanciare Je t'aime moi non plus, Chabrol sfoggia tutta la sua irresistibile ironia. Poi mi era capitato di leggere in una rivista di cinema francese un dialogo tra lui e il giovane regista Americano James Gray, che è un suo fan sfegatato, e sono rimasta impressionata dall'umiltà di Chabrol e dal profondo interesse nei confronti del cinema di oggi. Un ottantenne che in realtà di anni sembrava averne 20, talmente era evidente il piacere che ancora gli dava vedere, fare e parlare di cinema.
Infine, in una lunga intervista dei Cahiers du Cinéma a Matthew Weiner, il creatore della serie Tv Mad Men, ad una domanda sugli evidenti riferimenti cinematografici della serie ai film di Douglas Sirk, lo sceneggiatore spiazza tutti rispondendo: "Ma, veramente, il film che è stato più determinante nella scrittura di Mad Men è Les Bonne Femmes di Claude Chabrol".
Che dire? Chabrol è morto, ma il tintinnìo di quel cubetto di ghiaccio, si sentirà ancora a lungo.
Io al prossimo che si permette di dire che il cinema è un’arte minore, lo giuro, gli sputo in un occhio. Oppure, più magnanimamente, lo porto a vedere il film Des Hommes et des Dieux di Xavier Beauvois, Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, e mio personale coup de coeur di questa rentrée (e pure di tutto il 2010).
Des Hommes et des Dieux prende spunto dalla storia (vera) di alcuni monaci trappisti francesi che, nel 1996 in Algeria, sono stati prima rapiti e poi uccisi da un gruppo di terroristi. E dico prende spunto perchè in realtà la storia che ci racconta il film non è quella del loro massacro, che infatti non si vede, ma piuttosto della loro vita di tutti i giorni prima che il dramma avvenga. Una vita semplicissima, come ci si aspetta da dei monaci, fatta di lavori manuali, preghiera, canti, incontri cordiali con la gente (di fede musulmana) del villaggio sperduto in cui si trova il loro convento. La serenità della loro esistenza, tuttavia, è minacciata dalla situazione caotica nella quale si trova il paese. Non si capisce chi sia peggio, se i terroristi o i militari, fatto sta che i monaci cominciano seriamente a temere per la loro incolumità. Qualcuno di loro se ne vuole andare, altri vogliono rimanere, ma a poco a poco, anche alla luce degli avvenimenti esterni, i religiosi si convincono che l'unica scelta per loro possibile è quella di restare ed affrontare insieme il loro destino.
Film rigorosissimo, misurato, monacale, e non a caso, anche nella purezza e nella semplicità delle immagini, Des Hommes et des Dieux è un'opera che conquista il cuore pezzo per pezzo. Basta poco per far capire un mondo (e il senso di parole come accettazione, integrazione e rispetto): il Corano posato sulla scrivania di Padre Christian insieme ai testi sacri cristiani, i monaci che quando si aggirano in paese lo fanno sempre in abiti civili, la pazienza e l'amorevolezza con cui Padre Luc cura i poverissimi che si presentano al suo dispensario. I religiosi sono prima di tutto uomini: fragili, dubbiosi, spaventati. Di fronte ad un nemico armato, nessuno di loro ha il minimo desiderio di comportarsi da eroe. E tuttavia hanno un compito, al quale sanno di essere chiamati dalla loro fede. La forza del film sta in questo: nel mostrare con tanta chiarezza, serietà ed umanità, questa presa di coscienza. Ci sono due scene indimenticabili, delle quali non vorrei dire molto per lasciarvi intatto il piacere di scoprirle, dove questo percorso diventa una magnifica (anche dal punto di vista cinematografico) evidenza. E bellissimi sono pure i dialoghi, con alcune folgorazioni, come il breve monologo di Padre Luc: "Non ho paura dei terroristi, tanto meno dei militari, e non temo neppure la morte. Sono un uomo libero".
Gli attori, ovviamente, sono parte fondamentale di questo piano divino. Lambert Wilson nella parte di Padre Christian, il "leader" del gruppo, si prende qui la rivincita di tutta una vita, quella passata a convincere gli altri che, oltre ad essere un bell’uomo, è pure un bravissimo attore. E' stato poi un piacere ritrovare Philippe Laudenbach, una faccia nota per chi ama il cinema di Alain Resnais (ma è stato anche Maitre Clement in Vivement Dimanche di Truffaut), bravissimo come sempre, e scoprire il tenerissimo Jacques Herlin nella parte del monaco più anziano, Padre Amédée. Ma nessuno può competere con la bravura, lo charme naturale e la sottile vena ironica di Michael Lonsdale, un attore che non a caso ha lavorato con i più grandi (Truffaut, Eustache, Resnais, Rivette, Bunuel, solo per citarne alcuni) nella parte di Padre Luc, il medico del villaggio. Tutti straordinari.
Questo è un film su dei veri eroi dove di eroico, retorico, lacrimevole, d'effetto o scontato, non c'è niente. Des Hommes et des Dieux è un film capace di far nascere la fede in chi lo guarda.
As far as I'm concerned, it is September. I love the end of summer, the warm light in the streets at sunset, the crispy colours of things around me.
Every time September is back, I think about the Woody Allen movie having the same title. It is one of those Allen's movies people usually don't talk about and I never understood why. I watched it for the first time 23 years ago, in a Milan cinema, and I still clearly remember how much I was taken by this picture.
Lane (Mia Farrow) and Stephanie (Dianne West)
A house in Vermont, six characters, different loving disasters.
The movie never shows the outside world. This is a "chamber piece", a theatrical movie.
The owner of the house is Lane, a woman who's recovering from a nervous breakdown. It is the end of the summer and few friends has joined her for the week-end. Lane is in love with Peter, a writer, but Peter is in love with Stephanie, Lane's best friend, while Howard, a neighbour, is in love with Lane.
Things are already a bit complicated, but to make them worse, Diane (very lively Lane's mother) arrived at the house together with her third husband. Friends will spend the days talking, eating, drinking, avoiding to show or showing their feelings to the others, until a big storm comes to trouble them. It is a kind of signal: all the things remained unsaid until that moment come to surface, exploding and exposing the hidden feelings and wounds of the group.
There will not be blood, but tons of sadness.
Diane (Elaine Stritch), Lane's mother
Interestingly enough, Woody Allen directed September twice. He practically made the movie a second time because he wasn't happy about the first version, and especially his cast. He had the guts to replace two actors like Christopher Walken and Sam Shepard for the role which was eventually played by Sam Waterson, and even to replace Maureen O'Sullivan with Elaine Stritch for the role of Diane. Not that O'Sullivan was extremely famous, but she was (at that time) Allen's mother-in-law. Bad move, I guess.
By the way, I was personally very happy with the cast, thanks to the presence of an actor and an actress I have always been a huge fan of: Denholm Elliott (probably better known for his role as Mr. Emerson in A room with a view, who sadly died few years afterwards, in 1992), who's playing Howard, and Dianne Wiest (an amazing actress, and here particularly adorable with her short haircut), who plays Stephanie.
Lane (Mia Farrow) and Peter (Sam Waterson)
What I really like about September, is that Woody Allen doesn't even try to make people laugh.
I think this is one of the few movies (together with Interiors and Another Woman) where Allen allowed himself to show his (deeply) dark side. I mean, it is not by chance that Ingmar Bergman is his favourite film-maker. I read very often that this could be considered Allen's Autumn Sonata (because of the relationship between Lane and her mum), but I think that September is more Allen's Winter Light. It is just that, instead of winter in Sweden, it is autumn in Vermont. Many themes he cherishes are present here: the cruelty of love, the volubility of feelings, the betrayal, the difficulty of human relationships, the meaning of life and the reasons behind this universe's existence. Allen's vision is not a cheerful one, and September doesn't leave the audience with much hope. In his other movies, Allen is usually able to hide his gloomy attitude through the lens of irony. I think about that scene of Radio Dayswhere a little boy is taken to see a doctor by his mum because he is depressed. When the doctor asks him why, he answers: "Because the universe is expanding". And his mum replies: "But you live in Brooklyn and Brooklyn is not expanding!". Maybe somebody should say to Woody that Manhattan is not expanding as well.
This is the only scene of September I was able to find on the net (with Spanish subtitles!) but it is a good example of the general atmosphere of the movie.