mercoledì 23 luglio 2014

Bloomsbury Days

Bertrand Russell, J. M. Keynes and Lytton Strachey

I know, I am supposed to write about cinema in this blog.
Sometimes, though, some of my passions mingle and I feel the urgency of sharing non-cinematographic things that, by the way, always interact with movies at a certain point!
Since I was very young, I have been a huge fan of British literature. Reasons would be too long (and too boring) to explain here, but I have read an enormous amount of English books, and fell madly in love with many English writers. Among them, Virginia Woolf always had a special place in my heart.

As you probably know, she was part of a group called Bloomsbury, named upon the London area where some artists met every week (back in 1905) at the Stephen sisters home: Virginia (later to be Woolf), and Vanessa (later to be Bell), a painter. The group included, among others, J. M. Keynes, Lytton Strachey, David Garnett, E. M. Forster, Roger Fry, Dora Carrington, Bertrand and Dora Russell. The Group's philosophy was derived from fellow-Bloomsburyite G. E. Moore who wrote in his Principia Ethica: "By far the most valuable things are the pleasures of human intercourse and the enjoyment of beautiful objects". Maybe it is because I completely agree with this “principia” that I have always been extremely fascinated by this group and their way of living, very ahead of their time.

Besides movies based upon books by Bloomsbury authors (oh, so many of them!), cinema has sometimes represented Bloomsbury Group’s people on screen.
It’s been the case in The Hours (2002), by Stephen Daldry, taken from the novel by Michael Cunningham. The film relates the story of three different women, from different times, who have a connection through the book Mrs. Dalloway, written by Virginia Woolf. One of the women is the writer herself, played in a very over the top manner by Nicole Kidman (who, by the way, for this quite ridiculous interpretation won an Oscar as best actress). I loved the movie but I really didn’t like Kidman’s interpretation, which spoiled part of the pleasure of seeing it. Her Virginia Woolf wasn’t at all the one I have always imagined:

While it was exactly as I have pictured him in my head the Lytton Strachey played by a great and never enough appreciated English actor, Jonathan Pryce, in the movie Carrington (1995) by Christopher Hampton: 
Dora Carrington (Emma Thompson) and Lytton Strachey (Jonathan Pryce)
The real Dora Carrington and Lytton Strachey
Carrington tells the incredible and true love story between Lytton Strachey, a homosexual writer, and Dora Carrington, a straight painter. Even if impossible to “consume” (they sometimes share the same lovers as a subliminal way of being together), Strachey and Carrington loved each other from the moment they met, in 1916, until Strachey died of cancer at the age of 51, in 1932. Carrington (here beautifully played by Emma Thompson), considering life unbearable without Strachey, committed suicide two months after his death.
Lytton Strachey in a painting by Dora Carrington
This cinematic introduction is just an excuse to show you the pictures I have taken last week-end when, for the second time in my life (the first being in 2001), I went to visit Virginia Woolf’s house and Vanessa Bell’s house in East Sussex. I adored those places so much that I can’t resist sharing these images with you.
Virginia and Leonard Woolf’s place is called Monk’s House and it is located in the village of Rodmell. It is possible to visit both the house and the garden, where you can see Virginia Woolf’s writing shed (the famous Room of one's own): 

And, as you could see, nothing has really changed since the Bloomsbury days:
 More images from the garden:
And some images of the house (it was possible to take pictures also inside!):
If the house of Virginia Woolf was already plenty of decorations by the Bloomsbury painters, Charleston Farm, the house of Vanessa Bell, was the triumph of it. Unfortunately it wasn’t possible to take pictures of the absolutely amazing inside, but have a look at the wonderful outside and at the magnificent garden: 

Le Blog de Zazie: not only good advice about movies, but also about places to see!
How can you ask for more?...




giovedì 17 luglio 2014

Boyhood


Secondo Jean-Luc Godard, girare film è filmare la morte al lavoro.
Io, tanto per cambiare, non sono d’accordo, e penso piuttosto che girare film sia filmare la vita, al lavoro. Adoro i registi che prendono un personaggio e lo fanno invecchiare davanti ai nostri occhi (leggi alla voce Truffaut: Antoine Doinel ha 12 anni nei 400 Coups, 15 in Antoine et Colette, 21 in Baisers Volés, 23 in Domicile Conjugal e 32 nell’Amour en Fuite).
E’ abbastanza straordinario vedere un attore prima ragazzino, poi adulto, e sapere di essere diventati grandi anche noi con lui.

Un regista contemporaneo che sembra essere particolarmente affascinato da questa tematica è l’americano Richard Linklater, che già con la sua trilogia “Before”, ci ha mostrato la stessa coppia, formata dall’americano Jesse e dalla francese Celine, il giorno in cui i due si incontrano a 25 anni (Before Sunrise, 1995), il giorno in cui si rivedono 9 anni dopo (Before Sunset, 2004) e infine il giorno in cui, ormai coppia consolidata e con figli a carico, fanno il punto sul loro amore: Before Midnight, 2013.
Linklater ha però tenuto semi-nascosto, negli ultimi 15 anni, un progetto ancora più ambizioso, un vero e proprio esperimento mai tentato prima (se non in ambito documentaristico, come nel famoso Seven up inglese): prendere un ragazzino di 6 anni, continuare a filmarlo anno dopo anno, fino a quando ne avrà 18, per poi raccontare la sua storia in un unico film. Incredibile ma vero, Linklater è riuscito nell’impresa davvero ardua di portare a terminare questa folle idea: ha trovato dei finanziatori, ha trovato degli attori disposti a rendersi liberi qualche giorno all’anno per le riprese dal 2001 al 2012 e, soprattutto, ha trovato il bambino giusto. 
Mother and son: Olivia (Patricia Arquette) e Mason (Ellar Coltrane)
Boyhood, appena uscito in America e nel Regno Unito (e sugli schermi francesi dalla prossima settimana), ha suscitato delle critiche entusiaste e riscosso un gran successo di pubblico, nonostante la durata di quasi 3 ore e la mancanza di tutti quegli elementi che rendono più fruibile una storia così lunga: niente scene di sesso, sparatorie o un accativante montaggio sincopato.
Qui c’è solo un semplice snocciolarsi di eventi più o meno importanti della vita di un ragazzo negli anni 2000. Mason vive in Texas con la madre Olivia e una sorella più grande, Samantha. Il padre, Mason Sr., separato da tempo dalla donna, rientra nella vita dei ragazzi all’inizio del film, dopo alcuni anni trascorsi in Alaska. La madre si risposa con un professore che ha già due figli, e Mason e la sorella si ritrovano in una famiglia allargata, dalla quale dovranno fuggire una volta che l’uomo si rivelerà un violento ubriacone. Le cose non andranno meglio con un secondo marito, ma almeno Mason e la sorella saranno più grandi e più capaci di fronteggiare l’emergenza. E poi le solite cose: il liceo, il primo amore, la prima canna, la scoperta di una passione (per la fotografia) ed infine l’entrata al college, l’inizio della vita adulta.
Brother and sister: Mason (Ellar Coltrane) e Samantha (Lorelei Linklater)
La qualità migliore di questo film è la deliberata assenza di scene madri e la scelta di mostrare solo quei piccoli, apparentemente insignificanti attimi che però racchiudono un po’ l’essenza delle nostre vite, come se Linklater fosse andato a rovistare tra le pieghe di scarti minimi ma essenziali. Il regista vuole trascinarci nel flusso dell’esistenza, e questo gli riesce magnificamente: bastano pochi minuti per sentirsi parte di questa famiglia, per mettersi comodi e stare a guardare che succede, anche se non succede poi molto. E poi c’è questa cosa straordinaria di veder qualcuno crescere sotto i nostri occhi in tre ore di film, e veder gli attori invecchiare, senza trucco, senza rughe posticce. Una gran liberazione, una sorta di catarsi collettiva. Il regista sembra anche avere voglia di mostrarci il lato più dolce dell’esistenza. Nonostante la vita di Mason sia lontana dall’essere serena e tranquilla (non ci sono molti soldi, i genitori sono separati, continua a cambiare casa e città, la madre non fa altro che recuperare tipi violenti), è piena di momenti buffi, teneri, e speciali. La mia preferita à la scena in cui il padre parla alla sorella dei metodi contraccettivi. Tutto suona così reale: la faccia un po’ schifata e un po’ vergognosa della sorella, l’imbarazzo del padre che cerca di affrontare l’argomento più o meno seriamente, e il mezzo sorriso di Mason che assiste al dialogo. Ecco, è una meraviglia. C’è una naturalezza avvolgente che ti fa sentire parte di questo mondo, che te lo fa proprio piacere.
Father and son: Mason Sr. (Ethan Hawke) e Mason Jr. (Ellar Coltrane)
Non so dove Linklater abbia recuperato Ellar Coltrane ma ha fatto davvero un’ottima scelta. Per interpretare la sorella, l’irresistibile Samantha, è andato sul sicuro: ha scelto sua figlia Lorelei. Nella parte di Olivia, la mai abbastanza apprezzata Patricia Arquette fa faville e, nella parte del padre, Ethan Hawke, l’attore feticcio del regista, aggiunge un nuovo bellissimo ritratto alla galleria dei suoi personaggi linklateriani.
E quando arriva la fine del film siamo colti alla sprovvista, come la madre di Mason il giorno in cui lo vede partire per il college: sapevamo che quel momento sarebbe arrivato, ma avremmo voluto che non fosse così presto. 
Come passa veloce il tempo, quando si sta crescendo...

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