Sarà capitato anche a voi, credo.Di avere una semplice immagine in testa, un ricordo visivo, un momento cinematografico che per ragioni strane, insondabili, arriva per restare per sempre e creare tutto intorno un mondo a parte.
Metà reale, metà fittizio.
Quello che avete in mente, non è la stessa cosa che aveva mente il regista quando l'ha girata, probabilmente, eppure questo è il bello dell'arte, cinematografica e non.
Le opere parlano in maniera diversa a ciascuno di noi, toccando corde segrete che fanno risuonare desideri sopiti, nascosti chissà dove, provenienti da chissà quale pianeta.
Un pianeta che solo noi conosciamo, e che a volte ci riesce di condividere con altri essere umani, a volte no.
A me è successo molto spesso e, in alcuni casi, queste immagini sono state così evocative, da avere il potere di portarmi in un luogo preciso.
Uno di questi luoghi, si chiama Giappone.
I motivi per cui questo paese è il mio preferito al mondo, sono tanti, piuttosto validi, e reali, ma se mi chiedete perché mettendo piede in questo arcipelago la mia felicità è assoluta, entrano in gioco fattori che con la logica non c'entrano niente.
Entrano in gioco quelle famose immagini di cui parlavo, pezzi di ricordi che formano il nostro pianeta interiore.
E così io penso immediatamente alla scena iniziale di Rashomon di Kurosawa, con tutta quella pioggia, quel tempio distrutto, quei tre uomini seduti a parlare.
Penso a certe scene di dialogo dei film di Ozu, con padri e figlie fianco a fianco sul tatami, nel caldo dell'estate, o nella fresca brezza autunnale, che sorseggiano un té verde in yukata.
Penso a Emmanuelle Riva sulla terrazza di un hotel giapponese mentre bacia Eiji Okada, e alla litania suadente della frase "Tu n'as rien vu, à Hiroshima", ripetuta allo sfinimento lungo tutto il film. Il film è, ovviamente, Hiroshima, Mon Amour di Alain Resnais, anno 1959, sceneggiatura di Marguerite Duras.
E mi dico che è bello che il cinema abbia questo potere, il potere di farci fare le valigie e partire, per verificare se quello che abbiamo in testa esiste davvero, e non è stato solo frutto della nostra immaginazione. E di quella del regista.
E qualche volta si rimane delusi, ma qualche volta no.
Ogni viaggio in Giappone è stato per me una riconferma, un ritrovare intatti quei pezzi così preziosi per me, e la felicità di poter rubare le parole che il poeta Giorgio Caproni aveva usato per descrivere la sua prima volta in un luogo a lungo sognato:
Non c'ero mai stato, m'accorgo che c'ero nato.