giovedì 31 dicembre 2009

In search of a midnight kiss

A very short message to all my readers in the last day of the year.
In Search of a Midnight Kiss is one of my favourite indie movie ever, and it is set on New Year's Eve.
I couldn't think of a better movie to wish you HAPPY 2010!!!
Zazie

giovedì 24 dicembre 2009

You're innocent, when you dream

Natale non è il mio momento preferito dell'anno.
Ma che volete farci? E' lì, inevitabile, e bisogna attraversarlo.
Non mi sono nemmeno mai piaciuti i film che parlano di Natale, o che sono ambientati nel periodo di Natale, o che anche vagamente accennano al Natale: tutta quella finta bontà, quella melassa che scorre a fiumi, quei buoni propositi sempre disattesi, quel sentimentalismo da quattro soldi.
Ma nel 1995, ho visto un film che racconta la più bella storia di Natale che abbia mai sentito, o visto. Si tratta di Smoke, regia di Wayne Wang, sceneggiatura del grande scrittore americano Paul Auster.
Il film con il Natale non c'entra niente, ma alla fine della pellicola al protagonista, lo scrittore Paul Benjamin (interpretato da un attore che ho sempre molto amato, William Hurt), il New York Times chiede un racconto di Natale. Lui risponde di sì, lusingato dall'importanza della testata, ma poi è preso dal panico perché non ha nessuna buona idea per un racconto natalizio. Gli viene in soccorso Auggie Wren (il ruvido Harvey Keitel), dal quale Benjamin compra ogni giorno dei sigari nel suo negozio di Brooklyn. Non sono veramente amici, ma amano parlare di un sacco di cose diverse. Quando Benjamin gli sottopone il suo problema, Auggie gli promette, in cambio di un pranzo, di raccontargli una bella storia di Natale. Questa è la scena finale del film: Auggie e Paul seduti in un piccolo deli americano, con Auggie che racconta la sua storia.

Un giorno d'estate, Auggie scopre un ragazzo di colore rubare qualcosa nel suo negozio. Quello scappa, e lui non riesce a fermarlo, ma nella corsa il ladro perde il portafoglio. Auggie lo raccoglie, e avrebbe tutti i dati per poterlo denunciare, ma decide di non farlo, perché nel portafoglio trova delle foto del ragazzo che gli fanno molta tenerezza. Più di una volta pensa addirittura di riportargli l'oggetto, ma non si decide mai, fino a quando non arriva Natale. Quel giorno Auggie è da solo e non sa che fare, così controlla l'indirizzo e raggiunge il posto. E' un quartiere molto povero di Brooklyn, con palazzoni tutti uguali, e quando Auggie finalmente trova l'appartamento, ad aprirgli è un'anziana signora di colore, completamente cieca. La donna gli getta le braccia al collo, chiamandolo con il nome del nipote (il ladro), e Auggie, preso alla sprovvista, non ha il coraggio di negare. E' ovvio, la donna sa benissimo che lui non è suo nipote, ma è sola, e anche Auggie è solo, ed è il giorno di Natale, e così decidono di passarlo insieme. Alla fine del pranzo la donna si addormenta, e Auggie se ne va di casa, rubando una scatola contenente una macchina fotografica (sicuramente la refurtiva di qualche colpo del vero nipote).
Auggie si sente così in colpa per via di quel gesto, che mesi dopo ritorna all'appartamento per ridargliela, ma la signora anziana non c'è più e i nuovi inquilini non hanno nessuna idea di che fine abbia fatto. Auggie dice: Probabilmente era morta. E Benjamin commenta: Questo significa che l'ultimo Natale della sua vita lo ha passato con te.
La storia è davvero bellissima, ma in questo caso è la magia del cinema a fare tutta la differenza.
Perché quando i due protagonisti smettono di parlare e il film è finito, sui titoli di coda "parte" un altro piccolo film, in bianco e nero, che è la trasposizione in immagini del racconto di Natale di Auggie Wren.
Non c'è nessun dialogo, non si sente nessuna parola, ma solo una canzone e la voce roca di Tom Waits che canta "You're innocent, when you dream".
Non ho mai visto niente di più commovente nella mia vita di queste due solitudini che si ritrovano insieme il giorno di Natale. E non c'è nessuna melassa, nessun finto sorriso, nessun buon proposito, nessun sentimentalismo.
Solo l'innocenza di quando dormiamo.

Buone Feste dalla vostra Zazie!

martedì 15 dicembre 2009

ANNA

E proprio quando pensavo di sapere tutto ma veramente tutto della Nouvelle Vague, ecco che spunta fuori un film per la TV del 1967 di cui ho sempre ignorato l'esistenza: Anna, di Pierre Koralnik.
L'ho scoperto grazie al mio settimanale preferito, Télérama, il cui acquisto ogni mercoledi mattina all'edicola di Rue Burq mi riempie di una gioia un po' sconsiderata. Sull'inserto speciale dedicato ai regali di Natale pubblicato un paio di settimane fa, ecco che trovo la recensione di un cofanetto il cui sottotitolo avrebbe potuto essere: scritto, diretto e interpretato espressamente per far felice Zazie.
Allora, andiamo con ordine: in questo cofanetto (una meraviglia che sembra un vecchio LP, con una grafica perfetta) ci potete trovare un DVD, un CD e una serie di fotografie in bianco & nero che come le vedete le volete già incorniciare e appendere in salotto.
Ovvio, vi starete chiedendo come mai c'è un CD, e la risposta è molto semplice, c'è perché questo è un film musicale alla Jacques Demy (del resto il suo capolavoro, Les Parapluies de Cherbourg, è del 1964, quindi immagino che l'influenza all'epoca fosse fortissima) ma a scriverlo, comporre la colonna sonora e avere una piccola parte in questo film è niente-poco-di-meno che il grande Serge Gainsbourg.
Gli interpreti principali, invece, sono Anna Karina (all'epoca moglie di Jean-Luc Godard e volto femminile per eccellenza della Nouvelle Vague) e Jean-Claude Brialy (che con Jean-Pierre Léaud è stato il volto maschile più rappresentativo dello stesso movimento).
Il film, che si avvale dei dialoghi di Jean-Loup Dabadie (diventato poi famoso come sceneggiatore di tanti straordinari film di Claude Sautet), racconta la storia di Serge, un pubblicitario di successo, che un giorno per caso fotografa in una stazione parigina il volto di una ragazza e se ne innamora perdutamente. Per ritrovarla, stampa delle fotografie giganti (e vai di Blow Up) che fa appendere per tutta la città, ma non si rende conto che in realtà quella ragazza lui la conosce. E' Anna, una giovane che lavora come disegnatrice nella sua stessa agenzia, una tipa dall'aria un po' buffa e sognatrice, che nasconde il volto dietro dei grandi occhiali tondi alla Corbusier (ecco perché lui non la riconosce). Gainsbourg interpreta invece l'amico dandy e très blasé di Serge, un po' voce narrante, un po' testimone lievemente cinico dell'ossessione di Brialy.
Insomma, la trama non è niente di che, ma il film è eccezionale.
Perché c'è una libertà, un accumulo di idee, un nuovo modo di rappresentare i sogni, i sentimenti, le ossessioni, le stravaganze e i desideri che ancora oggi, a distanza di 40 anni, suonano assolutamente moderni. Insomma, sono gli anni '60 in tutto il loro splendore, con un pizzico di '7o e le prime avvisaglie di psichedelia.
Visivamente questo film è un inno alla gioia di vivere: le strade di Parigi non sono mai state così meravigliose (ma perché hanno cambiato quegli autobus, qualcuno me lo spiega?), l'esplosione di pop art è contagiosa (il balletto iniziale, una specie di versione video di un quadro di Pollock, e tutta la scena surreale del finto funerale di Brialy), gli abiti sembrano usciti da una collezione di Yves Saint Laurent e Courrège, i balletti sono di un'innocenza disarmante, il cameo di Marianne Faithfull pure e Gainsbourg che fuma una gitane seduto al caffé con cappotto color cammello... eh, niente, quello è di una classe, di un'eleganza e di un carisma che si capisce perché in Francia lo venerano come Gesù.
Le sue canzoni, poi, sono dei capolavori. E non a caso alcuni pezzi (tutti cantati dagli interpreti del film) sono entrati nella storia della musica, come il famosissimo "Sous le soleil exactement".
E alla fine della visione si resta, come sempre in questi casi, con la semplice domanda: ma perché al giorno d'oggi in un posto come l'Italia è impossibile trovare in TV (oddio, pure al cinema...) questa libertà assoluta, questa voglia di rischiare, osare, sperimentare, mischiare i generi, elevare il pubblico e non farsi trascinare dal gusto corrente? Insomma di andare oltre, di essere avanti. Forse si potrebbe mandare qualche sceneggiatore italico in America, dove in questi ultimi anni con le serie TV stanno facendo quello che la Nouvelle Vague faceva con il cinema negli anni '60. Mah...
Nel frattempo, per consolarvi, vi consiglio la visione di Anna, che Télérama ha definito "il telefilm più leggendario di tutta la storia del piccolo schermo francese".
Un mythe, exactement...

lunedì 7 dicembre 2009

The Limits of Jim Jarmusch

There’s nothing more disappointing in life than a bad movie by a film-maker you like, and this is absolutely the case with the last Jim Jarmusch work, The Limits of Control. Apparently, we have to put the blame on some film critics, who accused Jarmusch to have turned into an almost mainstream film-maker with his previous movie, Broken Flowers. Jarmusch, the king of independent American movie, hurt by the accusation, decided to write and direct a completely free and non-commercial movie.
And, well, no doubt he succeeded in doing so, but the problem is that, in the enthusiasm of re-establishing and re-confirming his complete freedom as an artist, he also completely forgot that there would have been an audience, looking at his movie. Judging from the number of people quitting the cinema yesterday afternoon, the audience tried to forget Jarmusch as well.
The plot: a lone man (good actor Isaach De Bankolé, a familiar presence in Jarmusch universe) leaves France to Spain to accomplish a mysterious mission. Arrived in Madrid, he starts to have “meetings” with different people, with whom he exchanges boxes of matches containing incomprehensible (at least for us) messages. Following the advice of one of them, the man moves to Sevilla and then to another unspecified place where there is the “target” he’s looking for. Once the job completed, the solitary man got back to his normal (?) life.

I’m usually not afraid of very slow movies. Movies where apparently nothing’s going on but in reality there’s much to follow and to understand. At the beginning of this film I thought: Ok, this is just the start, many things are going to happen, I’ll be taken by the story, or by the atmosphere, or… after 30 minutes, I understood that my great expectations would have been frustrated.
This movie is BORING; it is simply, unbearably, boring.
The parade of magnificent actors (among others Tilda Swinton, John Hurt, Gael Garcia Bernal, Bill Murray) not only doesn’t help, but contributes to frustrate the public even more: do you have all these great actors and do you use them this way, Jim???
But the thing that really surprised me here is the total lack of irony, usually a very important element in Jarmusch works. The repetition of the same dialogue is very funny, yes, sure, for the first three times, the fourth time it just sucks. The lone man always ordering two espressos in different cups, yes, very funny indeed… but even in this case, the fourth time he is doing so, you just want him to order a bloody double espresso. And if there’s a secret meaning behind this gesture, well, who gives a damn.
In fact, this is a total “who gives a damn” movie.
I found the final dialogue by Bill Murray (representing, I guess, the movie’s core) very pretentious and ridiculous. Who’s talking about? Who are the people that have the “objective” vision of the world to be opposite to the people (and here again… who? The Artists?) having a subjective vision of things?
Please, Jim, give us a break.

Well, let’s say at least two things I really loved of this movie:
The first one is the photography, absolutely amazing, and I wasn’t surprised to read that the cinematographer of The Limits of Control is Mr. Christopher Doyle (the Australian genius behind In the Mood for Love by Wong Kar Wai and Paranoid Park by Gus Van Sant, for instance).
The other one, but it is very personal, is the scene where John Hurt, talking about bohèmiens, quotes La vie de Bohème by Aki Kaurismaki, simply saying: There was a great Finnish movie about this some years ago. Kaurismaki and Jarmusch are very good friends, and they have this habit of quoting each other in their movies. I know, I know, it’s very “cinéphile”, but it’s cute!
Anyway, I want to be clear on this point: I LOVE Jim Jarmusch, and this is why I’m so disappointed with him.
Film-makers can be exactly as lovers: you know they can do better than that, they just have to prove it.
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