giovedì 25 giugno 2015

Più buio di mezzanotte


Mi piace tanto questa cosa che gli amici mi segnalano dei film da vedere, sapendo quanto io ami il cinema, e sapendo anche che scrivo questo blog.
L’altra sera, su invito del mio amico Enzo, sono andata all’MK2 Beaubourg per l’avant-première (seguita da dibattito con il regista) del film italiano Più Buio di Mezzanotte, di Sebastiano Riso.
Il film, selezionato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2014, è uscito in questi giorni in tutte le sale francesi. 

Il film racconta la storia di Davide, un ragazzino di 14 anni che vive a Catania con la sua famiglia: padre, madre (quasi cieca) e fratellino più piccolo. Siamo negli anni ’80, e Davide non è un ragazzino come tutti gli altri: ha una sensibilità ed un aspetto speciali. Ma se la madre lo ama per quello che è, il padre non è disposto a tollerare un figlio che sembra una femmina e coltiva interessi del tutto estranei a quelli degli altri ragazzi della sua età. Quando il padre distrugge il piccolo mondo creato dal figlio in soffitta (un collage di icone pop dalla sessualità ambigua come David Bowie e Boy George), il ragazzo capisce di dover prendere una decisione radicale e se ne va di casa. Solo e senza amici, Davide finisce a Villa Bellini. Un parco che di notte è frequentato dai reietti della società: barboni, poveracci, e ragazzi come Davide che, rifiutati dalle famiglie, si arrangiano per tirare a campare, facendo la vita e rubando. 
E’ il modo più duro e spietato per entrare nell’età adulta, è un posto più buio di mezzanotte, ma è tutto quello che Davide ha.

Ispirato alla storia vera della Drag Queen romana Fuxia (presente in una scena del film nella parte della cantante Louvre), il film di Riso è un bellissimo esempio di film italiano privo di quei difetti che si solito infestano le opere prime provenienti dal nostro paese. Film di (difficilissima) formazione e su un tema tanto delicato quanto complesso, il regista sembra avere ben chiaro in testa cosa raccontare e come raccontarlo agli spettatori.
Il rischio di fare degli amici di Davide una simpatica macchietta era appena dietro l’angolo, ad esempio, ma Riso riesce nel piccolo miracolo di farne dei personaggi veri e vivi (è perchè li “guarda” con rispetto e ammirazione) a cui ci si affeziona subito, lasciandoci trascinare nel loro colorato girone dantesco, metà infernale metà irresistibile.
Del resto, i modelli a cui Riso dichiara di ispirarsi sono tra i migliori: Les 400 coups di Truffaut e Germania Anno Zero di Rossellini. Esempi di film in cui non si fa alcuna concessione alla crudeltà del mondo e degli adulti, e nei quali ragazzini che dovrebbero essere protetti e aiutati si ritrovano a dover affrontare da soli situazioni più grandi di loro, trasformando per sempre il loro sguardo sulla vita.


L’altra trappola che Riso riesce ad evitare, è quella di non cadere nel sordido. Il film non fa sconti su quello che succede a Davide, ma l’occhio del regista è attento a far capire senza mostrare, risparmiando all’opera quell’abbondanza di violenza (il più delle volte inutile e compiaciuta) spesso troppo presente in molte pellicole che raccontano storie dure.
Questo è uno di quei film che con l’attore sbagliato avrebbe rischiato il disastro, ma per fortuna è stato trovato Davide Capone. Il regista ha raccontato di aver fatto il provino a centinaia di ragazzini senza mai incontrare quello giusto, e poi ha visto per caso Davide nel cortile di una scuola e ha capito di aver finalmente trovato il suo protagonista. Accanto a lui, alcuni attori nostrani molto bravi: Micaela Ramazzotti nel ruolo della madre, Vincenzo Amato in quello del padre e Pippo Delbono in quello di un
inquietante magnaccia.

Uscito in Italia con un assurdo e ridicolo divieto ai minori di 18 anni (ma questi tutori dell’ordine morale lo sanno che cosa si vede su internet di questi tempi???), poi ridimensionato ai minori di 14, il film è rimasto poco nelle sale italiane ma ha goduto di un passa parola che lo ha fatto diventare uno dei film più ricercati in rete, e all’estero è stato invitato a tutti i festival che contano.
Io l’ho trovato un film spiazzante (ma anche molto commovente) e necessario, soprattutto in un paese come l’Italia, dove c’è gente che ha ancora il coraggio di organizzare manifestazioni idiote come il Family Day per spiegarci che ragazzi come Davide non hanno il diritto di esistere, o tutt’al più possono esistere ma rimanere discreti e nell’ombra. 

Sembra sempre più buio di mezzanotte, dalle nostre parti, ma io spero tanto che un bel giorno, a voi gente convinta di essere superiore e nel giusto, un urlo liberatorio e una grande risata vi seppelliranno.
Nel frattempo, noi ci consoleremo cantando a squarciagola la Rettore. Tiè!


mercoledì 24 giugno 2015

La Montée des Marches

When I was invited to the Cannes Film Festival this year, I didn’t know that I would have walked on the Red Carpet like the movie stars.
I used to watch the festival from my TV screen, and always thought that only actors and film-makers have the possibility to make the famous “Montée des Marches”.
But when I arrived there, a friend explained me that, if I had an invitation for a screening after 6 pm, this meant that I could walk on the red carpet as well.
I have to confess that the first time I saw the famous steps, I thought the place was smaller than expected. Again, when you see it on TV, you have the feeling that the carpet before the steps is immense, but in fact it is not. It is quite short.
I could check that out myself, when one afternoon I was invited to the screening of  Valley of Love by Guillaume Nicloux. And I made my first, informal, montée des marches:

This was also my first time in the Auditorium Louis Lumière, the theatre where the most important screenings and the final ceremony take place.
We managed to have two very good seats in the first row of the Balcony, and it was particularly nice – at the end of the movie – to witness the 15 minutes round of applause that the actors, Isabelle Huppert e Gérard Depardieu, and the film-maker, received from the audience:

But all this was just an avant-goût, as the French say.
The “real thing” was the screening of Macbeth (by Australian director Justin Kurzel) which took place in the evening of Saturday, May 23. I was there with my good friend Amaury, and we were both so lucky to be photographed by the best (and most glamorous) “paparazza” of all the hundreds photographs present at the Festival: my friend Stefania Iemmi. Please check out her work here: http://www.stefaniaiemmi.com/ 

She is so good that we both look like actors: 
Stefania also took a picture of me for my second montée des marches, the day of the Prize Ceremony, Sunday May 24.
I adore this picture and - let's admit it - the dress I am wearing (it is a look-a-like Dior of the '50s bought at The way we wore, an amazing LA vintage shop):
For a moment, I almost felt like her:
 But then I have to hurry up, because the movie was about to start...

giovedì 18 giugno 2015

Mustang


Il cinema non è un paese per donne, l’ho già scritto tante volte in questo blog.
E spesso e volentieri (purtroppo), nemmeno questo mondo è un paese per donne.
Quindi ben vengano film scritti e diretti da donne sulla storia di donne che resistono: alla stupidità delle persone che le circondano, ai dettami di leggi assurde, alle regole imposte da religioni o da autorità (maschili) che si credono al di sopra delle vite umane e del loro valore.
Ieri sera ho visto un fim bellissimo, Mustang, di Deniz Gamze Ergüven, il coup de cœur della Quinzaine des Réalisateurs all’ultimo Festival di Cannes (ne parlavano tutti!), che tratta con coraggio di questi scomodi argomenti.


In un villaggio nel Nord della Turchia affacciato sul Mar Nero, è l’ultimo giorno di scuola.
Cinque sorelle si buttano in acqua per festeggiare l’arrivo dell’estate ma hanno la malaugurata idea di farlo insieme a dei compagni di classe. Non hanno neppure il tempo di tornare a casa: si è già sparsa la voce che sono cinque poco di buono. La nonna che le ha allevate (le ragazze sono rimaste orfane) decide, d’accordo con un altro figlio, che per lavare l’onta bisogna sistemarle tutte al più presto (o almeno quelle vagamente in età da marito). La grande casa di legno in cui le ragazze vivono si trasforma in una vera e propria prigione, con sbarre, vestiti informi da indossare e la decisione di non mandarle neppure più a scuola all’arrivo dell’autunno. Ma la nonna e lo zio, per fortuna, non hanno fatto i conti con il desiderio di vita e di ribellione delle cinque ragazze.

La regista franco-turca Deniz Gamze Ergüven, che ha scritto il film con Alice Winocour (a sua volta regista: Augustine e Maryland), ci presenta cinque ragazze come se fossero un unico corpo a cinque teste, un bellissimo mostro marino sorto dagli abissi dell’ignoranza imperante, pronto a mangiarsi tutto quello che incontra sul suo cammino. Belle, giovani, vitali, sensuali, intelligenti, sveglie, desiderose di divertirsi e di esprimersi come meglio credono, le nostre cinque eroine dovranno scontrarsi con un altrettanto potente mostro: il mondo meschino che le circonda.
Fa strano, bisogna ammetterlo, che al posto del “solito” Iran o Afghanistan, ci sia, come paese retrogrado e vile, un luogo non lontano da noi e che non siamo abituati a considerare come tale.

Ma evidentemente, Istanbul non è la Turchia, e il resto del paese sembra essere ancora dominato, purtroppo, da una mentalità maschilista ed abbietta.
E’ incredibile come ancora oggi, anno 2015, la repressione passi soprattutto attraverso la gestione della sessualità. Che viene demonizzata, negata, svilita, mentre l’onore assurge a valore assoluto e la verginità diventa oggetto di scambio: questa ragazza vale perché è vergine e te la posso dare in sposa (salvo poi precipitarsi in ospedale la prima notte di nozze perché l’imene è rimasto intatto e sul lenzuolo non c’è sangue).
Ad ogni modo, nonostante i tanti momenti drammatici, quello che rimane appiccicato addosso di questo film è l’irriverenza e la voglia di sana ribellione delle ragazze, soprattutto di quella più piccola (che è anche la più agguerrita): la mitica Lale, 12 anni.
E’ lei la vera anima del gruppo: lei che vuole andare a vedere a tutti i costi la partita di pallone, che vuole imparare a guidare, che non vuole mettersi i vestiti color merda, che non vuole che le sorelle si sposino con degli sconosciuti, che sputa nel caffé che è costretta a preparare, e che vuole fuggire a Istanbul, costi quel che costi, anche con delle ciabatte di pelo ai piedi. 
Il suo faccino felice da piccola peste, mentre la meravigliosa musica del Bad Seed Warren Ellis invade lo schermo (ormai le sue colonne sonore con Nick Cave stanno diventando dei gran classici), ci lascia sperare il meglio per il futuro dell’umanità.
Sarà dura ma ce la possiamo fare, ragazze. Lanciamo la Mustang a tutta velocità! 

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