mercoledì 30 maggio 2012

Midnight in Paris for Cinema Blogger

My faithful readers already know about my friendship with super-talented Australian photographer Carla Coulson: she is the woman behind all Zazie’s official portraits.
Carla and I simply LOVE working together and every time a new idea comes up, we immediately take the chance and go for it. For her series of night portraits called Midnight in Paris, we decided to make some shots inspired - in the most flamboyant way - to cinema. 
It was such a funny night: walking around the streets of Montmartre like we were a filming crew, and stop at my place for changing my clothes and get ready to enter into a different universe that was first in our heads and imaginations before becoming a reality in her pictures. That’s the magic of photography as well as cinema: something you just dream about can become true!
Carla wrote about this night in her fabulous website: Midnight in Paris for Cinema Blogger Zazie, indicating the cinematic references we used for the job.
What I’d like to do here, is to share those "cinema pictures in my head” with you.
This proves that, even if I’m far away from being a movie star, sometimes you just have to really believe you can be one… and, well, maybe use a bit of imagination too! 

MAD MEN - Betty Draper
 
IN THE MOOD FOR LOVE - Maggie Cheung
 
JAMES DEAN UNDER THE RAIN IN NEW YORK
L'ANGELO AZZURRO - Marlene Dietrich
LA DOLCE VITA - Anita Ekberg
(ok, I agree, you have to use A LOT of imagination for that....)


MIA FARROW AT TRUMAN CAPOTE MASKED WHITE & BLACK BALL


domenica 20 maggio 2012

De rouille et d'os

Da che cosa si riconosce un grande film? Quali sono gli elementi che lo rendono speciale, che lo pongono al di sopra degli altri? 
Come in tutte le forme d'arte, anche nel cinema la grandezza di un'opera è spesso difficile da definire. Più che descriverla, forse bisognerebbe semplicemente apprezzarla, e parlarne. A tutti, il più possibile, perché di quella bellezza ne possa godere il più alto numero di persone. Io questa settimana sono andata al cinema quattro volte. Ho visto dei film che mi sono piaciuti, anche molto, uno che mi ha divertito ma che ho dimenticato alla velocità della luce e poi, venerdì sera, ho visto il nuovo film di Jacques Audiard, De rouille et d'os (Di ruggine e d'ossa).
E lì, c'è stato un piccolo tsunami che ha spazzato via nel giro di due ore tutti i film che ho visto dall'inizio dell'anno a oggi. La grandiosità del film di Audiard è un'evidenza. Uno non può far altro che stare seduto davanti allo schermo e constatare, immagazzinare, soffrire, ridere, avere le palpitazioni e poi, una volta uscito, cercare di convivere con il fatto che no, un altro film così non capiterà tanto presto, un altro film così bisognerà aspettare un bel pezzo, per ritrovarlo. E' il rovescio della medaglia delle cose belle della vita: non capitano tutti i giorni.
Armand Verdure/Sam e Matthias Schoenaerts/Ali
Ali e suo figlio Sam, 5 anni, si sono appena trasferiti a vivere ad Antibes. Senza soldi, squattano dalla sorella di Ali. L'uomo, un passato da boxeur, trova lavoro nella sicurezza di una discoteca e lì, una sera, conosce per caso Stéphanie. Lei è un'addestratrice di orche nel parco marino della città. Pochi giorni dopo il loro incontro, Stéphanie, durante un'esibizione, viene investita da un'orca. L'impatto è devastante, e alla donna vengono amputate entrambe le gambe. Diversi mesi dopo l'incidente, Stéphanie ricontatta Ali. I due iniziano a conoscersi, a diventare amici, ad amarsi.
Marion Cotillard/Stéphanie
Basato su alcuni racconti della raccolta Rust and Bone dello scrittore Canadese Craig Davidson, De Rouille et d'os ha una trama che definire pericolosa è dire poco. Nelle mani di un regista mediocre, una storia del genere avrebbe potuto generare un mostro strappa lacrime, patetico e ricattatorio, sia dal punto di vista emotivo che psicologico. Audiard, invece, grazie ad un pudore e ad una rigorosità che sono propri del suo cinema, e grazie ad una regia prodigiosa (che non ha eguali in Francia, a mio avviso, e forse nemmeno in Europa), ci regala un film che è un diamante grezzo ma purissimo. Ogni scena ha un senso, ogni dialogo suona giusto, ogni gesto è essenziale. E poi c'è quella sua capacità rara, preziosissima, di fare dei film estremamente realistici ma incredibilmente poetici. Che è forse la cosa più difficile da esprimere, al cinema. A Audiard questa cosa riesce tanto più intensamente quanto più brutale è quello che sta mostrando. In De Rouille et d'os, le scene più belle sono quelle dei combattimenti clandestini e violentissimi di Ali. Audiard filma i corpi da vicino, li accerchia, li circonda: ci sono denti che saltano, sangue che cola, ma c'è anche la luce del sole sui volti, c'è la bellezza del mondo che si insinua tra quei bruti, e c'è la forza di un sentimento che non viene mai espresso ma che è sotto gli occhi di tutti. E quando Ali è a terra e sembra aver perso il combattimento, Audiard per dargli forza non inquadra la faccia di Stéphanie seduta in macchina ad osservare la scena (come avrebbe fatto chiunque altro), no, lui inquadra, semplicemente, la portiera della macchina. Come se fosse un volto. In questo piccolo scarto, c'è tutta la poetica di Audiard. L'emozione nei suoi film non è mai dove l'aspetti. Ti colpisce a tradimento, e non ti molla. 
Ma parliamo degli attori. Io spero che Marion Cotillard e Matthias Schoenaerts vengano sepolti vivi dai premi, per queste loro interpretazioni. Lei che fosse bravissima lo si sapeva già, ma qui dimostra quel qualcosa in più che le mancava. Senza un filo di trucco, senza gambe (!), la sua Stéphanie è una donna indimenticabile: forte, dura, decisa, ma anche vibrante, vitale e sorprendentemente bella. Quanto a Matthias Schoenarts (ma la soddisfazione di aver scritto quanto fosse bravo in Bullhead su questo stesso blog, la soddisfazione!!!), è una forza della natura sotto tutti i punti di vista. Come molti dei personaggi maschili dei film di Audiard, è soprattutto un corpo. In questo caso grosso, ingombrante, violento, totalmente incapace di esprimersi a parole, ma non per questo meno sensibile, delicato e disarmante. Ma anche il piccolo Armand Verdure nella parte di Sam e Corinne Masiero in quello della sorella di Ali, dimostrano che l'occhio di Audiard è attento ad ogni personaggio. 
Questo film è stato per me un'esperienza talmente intensa che letteralmente non riesco a pensare ad altro da quando l'ho visto, come un virus che ti entra sotto pelle e diventa impossibile da eliminare. 
Se siete di quelli che vanno a vedere un solo film all'anno, allora è venuto il momento di uscire e pagare il biglietto. 
Gli altri sono film, questo è un capolavoro.

venerdì 18 maggio 2012

The movie that...

I read many cinema magazines every month and there is a French one which has a very nice last page. 
It is called Le Film qui... (The movie that...), in which an actor/actress or a director talks about a bunch of movies that marked his/her life. I read it always with great pleasure, because I adore knowing the taste of cinema makers. Of course, I dream that this magazine would ask me about my movies, but why should I wait for them since I have a cinema blog???! 
So, Zazie, which is the movie that...

... makes you want to dance?
Les Demoiselles de Rochefort by Jacques Demy (1967)
It is just impossible for me not to start dancing every time I hear a song from this movie. I know all the chansons by heart, I even went on pilgrimage to the city of Rochefort, I'm crazy about Jacques Demy's universe and the music written by Michel Legrand. This is a cure against the ugliness and sadness of the real world. Jumelles Garnier For Ever!!! 


... makes you laugh every time you see it?
The Adventures of Priscilla, Queen of Desert by Stephan Elliott (1994)
I never laughed so much watching a movie as I did for Priscilla. The plot is amazing, the actors are absolutely astonishing (Terence Stamp deserved an Oscar for his role!), the dialogues are so funny and brilliant you can basically never stop laughing and the scene where they dance on "I will survive" in the middle of the Australian bush... well, that wins hands off. There is no depression that can possibly survive to this:


... makes you cry every time you see it?
Breaking the Waves by Lars Von Trier (1996)
I saw this movie on a cinema screen four times and every single one I cried and sobbed in the most dramatic way. I can't stand to witness what happened to little Bess, that's the thing. This movie would be also part of my personal category of Movies that changed your life. I consider it a masterpiece under every point of view and Emily Watson's performance one of the best in cinema history. 
It is simply unforgettable.


... caused you sleepless nights?
The Sixth Sense by M. Night Shyamalan (1999)
I am a very impressionable person, so I don't usually see scary movie. I'm too scared too easily. When I saw The Sixth Sense, I didn't sleep for six nights (as many as the senses involved). It was the subtle bursting of supernatural elements into realistic situations that made the movie so incredibly dreadful. The idea at the core of the screenplay is really incredible. I don't think I can watch it ever again.



... shocked you?
American film-maker David Fincher
I am shocked by the misogyny of Fincher's movies, a film-maker I can't stand. Apparently, I'm the only one in the world to think that he is The Director Who Hates Women, but I don't care. I trust my guts and the way I feel every time I'm out of one of his movies: filthy, depressed and hopeless. Enough of it. I promised myself I will never see again one of his pictures. Good-bye, Mr. Fincher!

And NO, I'm not going to waste space of my blog to show images taken from his movies. Basta!

... made you fall in love with its actor?
Hunger by Steve McQueen with Michael Fassbender (2008)
It was a Saturday night. I was seated in the Salle n° 1 of the Cinéma des Cinéastes. Just few people in the audience. I guess nobody wants to see, on a Saturday night, the story of a man who starved himself to death for political reasons. After half an hour of a movie that I was already considering amazing, a man appears on screen. He is so thin you can count the bones on his chest, the walls of his jail are covered with shit, he looks pale and fragile. But when he starts talking, with a strong Northern Irish accent, and you hear that voice, and you see that look, you understand how powerful this man can be. 
It was love at first sight.


... makes you want to write a cinema blog?
The Purple Rose of Cairo by Woody Allen (1985)
Love for cinema has never been so well expressed, in my opinion, than in this adorable movie by W. Allen. If somebody said: Madame Bovary, c'est moi!, I could easily say: Cecilia, c'est moi! The main character of this movie is a woman who can endure any misfortune in life provided that she can go to the movies and forget all the rest. In front of the screen, magic can happen, anything can happen, even the miracle of a movie character getting off the screen to meet you and fall in love with you. And if things go wrong, well, you can always go to the movies and crying while Fred Astaire and Ginger Rogers are dancing cheek to cheek... 
... I can write about this for ever!

domenica 13 maggio 2012

L'Enfant d'en haut

Ho una passione tutta speciale per i film in cui non accade assolutamente nulla.
Più la trama è scarna, e più mi sembra che tra le pieghe delle immagini possano nascondersi delle belle sorprese. Questa regola a volte non funziona, ma trovo che valga sempre la pena di provarci. Quando si guarda questo tipo di film bisogna fare uno sforzo in più rispetto a quelli soliti. Bisogna cercare di lasciar perdere quel bisogno atavico che si ha di vedere dell'azione quando si sta davanti ad uno schermo, bisogna smettere di pensare che sì, sì, adesso succede qualcosa, adesso la trama ha senz'altro un'accellerazione. Ecco, se si entra in quel meccanismo, di solito si finisce con l'irritarsi e rimanere delusi. Se invece si decide di fare un passo indietro e di dare la possibilità al film di andare dove vuole e di farsi semplicemente trascinare dalla corrente, allora succede che si viene ricompensati. Purtroppo, a volte, il rischio di questo tipo di cinema è che sia un  mero esercizio estetico fine a se stesso, l'ennesima pippa mentale della quale avremmo fatto volentieri a meno. 
Ieri sera ho visto un film in cui non accadeva molto, ma quel poco che accadeva mi piaceva tantissimo e mi è rimasto appicciato addosso come una seconda pelle. Si tratta del film svizzero-francese L'Enfant d'en haut, di Ursula Meier, vincitore del Leone d'Argento all'ultimo Festival di Berlino. 
I protagonisti del film sono Simon, 12 anni, e sua sorella Louise, poco più che ventenne. Abbandonati a loro stessi (dei genitori non si fa cenno, anche se Simon racconta che sono morti in un incidente d'auto... ma come stanno veramente le cose?), vivono in un brutto appartamento di un brutto stabile di un brutto posto. Un posto non meglio specificato che sta ai piedi di una montagna dove la gente d'inverno si affolla per sciare. Louise non ha un lavoro stabile e ha la tendenza a perderlo piuttosto di frequente. Simon, che sembra non andare a scuola, passa il tempo a rubacchiare paia di sci, caschi, occhiali e altri oggetti, che poi rivende qua e là. E' con questi soldi che i fratelli, in realtà, riescono a sopravvivere. Le cose vanno avanti in maniera disordinata e vagamente insensata, sino a quando la fine della stagione sciistica mette in evidenza la durezza della loro esistenza.
Non ho visto, e ora me ne pento, il primo film della Meier, Home, ma pare che la regista privilegi, per raccontare le sue storie, dei non-luoghi tipici del mondo contemporaneo: in Home una casa sperduta sul ciglio di un'autostrada, e qui un palazzo ai piedi una montagna incombente. In molti hanno scomodato riferimenti ai Fratelli Dardenne, per questo film, e non mi stupisce affatto che sia piaciuto moltissimo ad un regista come Mike Leigh (che era, guarda caso, il presidente della giuria del Festival di Berlino).  
Tutti loro, sono registi che amano occuparsi di personaggi che la maggior parte delle persone non vorrebbero avere vicino nella loro vita di ogni giorno, figuriamoci trovarseli su uno schermo: gli emarginati, i senza niente, gli sbandati, i non-amati.
L'Enfant d'en haut è un film angosciante e cupo, attraversato però da una vitalità incontrollata, e dove tutta l'insensatezza della vita moderna è racchiusa nella distanza tra gli impianti di discesa e risalita. Personalmente, a questo film perdono anche i suoi difetti più evidenti perché trovo Simon un personaggio assolutamente irresistibile. E' talmente disarmante con quel suo modo di fare un po' spaccone e sicuro di sé che nasconde in realtà una mancanza d'amore, un bisogno d'affetto, e un luogo sicuro che lo protegga, da renderlo adorabile. Un piccolo Antoine Doinel dell'era moderna, cresciuto troppo in fretta e già troppo solitario e ferito. L'attore che lo interpreta, Kacey Mottet Klein, è veramente incredibile. Lo avevo già apprezzato nella parte di Serge Gainsbourg da piccolo nel film di Sfarr sulla vita del cantante, e pare che avesse già una parte in Home, ma in questo film, non c'è nulla da fare, spacca! 
Léa Seydoux nella parte di Louise è semplicemente perfetta, una giovane attrice che ha smesso di essere una promessa per passare a giusto titolo nella ristretta cerchia delle più brave attrici francesi in circolazione. E fa piacere trovare, in ruoli piccoli ma importanti, attori come Gillian Anderson (quella di X-Files, per intenderci), Jean-François Stévenin, storico attore francese, e lo scozzese Martin Compston, volto familiare nei film di Ken Loach. 
Uscendo dal cinema, non so spiegarvi bene perché, ero abbastanza fiera del fatto di non saper sciare. 
Mi sa che all'alto, alla fine, io preferisco il basso. 


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