domenica 28 agosto 2011

Reality bites

Andare al cinema non mi basta, così passo il tempo anche a leggere di cinema.
Quando si tratta di interviste, i migliori, non c'è dubbio, sono i registi. Gli attori spesso dicono delle banalità o, semplicemente, non hanno poi molto da dire, ma è raro trovare un regista che non sappia il fatto suo. E nella categoria registi, c'è una sotto-categoria: quella dei registi che hanno come unico e solo argomento (non importa di cosa stiano parlando) il loro amore per il cinema. Quelli, inutile dirlo, sono i miei preferiti. Mi vengono in mente, di getto, tre nomi: Martin Scorsese, Aki Kaurismaki e Woody Allen. Le loro interviste sono miele per le mie orecchie. Non perdono mai occasione per fare riferimento ai film che hanno visto, che hanno amato, ai registi che sono stati per loro di grande ispirazione, e a quanto la visione di un certo tipo di cinema abbia cambiato la loro vita per sempre. Una volta Kaurismaki ha affermato che per lui il paradiso è questo: un bar (guarda caso...) dove Chaplin si intrattiene in simpatiche chiacchiere con Renoir. Insomma, stiamo parlando di gente con il mio stesso problema: senza cinema, non potrebbero vivere (e a quanto pare pure da morti sperano di poter continuare ad averci a che fare!).
In tutti questi anni, se abbastanza spesso Allen mi ha delusa come regista, in qualità di "intervistato" mi è sempre sembrato imbattibile. Quello che trovo interessante è quanto Allen denigri il suo cinema. Quanto dica che rispetto a uno come Ingmar Bergman lui non conti niente. Quanto deluso sia dal risultato finale dei suoi film rispetto all'idea iniziale che lui aveva in testa. Nelle interviste di Allen c'è sempre molto materiale su cui riflettere. Poco tempo fa, per l'uscita del suo ultimo film in Francia, Midnight in Paris, il regista ha rilasciato una lunga intervista a quelli di Télérama. Mi era piaciuta così tanto che l'avevo strappata dal giornale e l'avevo conservata. Questa mattina, facendo pulizie in casa dopo la lunga pausa estiva, l'ho ritrovata per caso. Mi sono messa a rileggerla e lì, scritto nero su bianco, ho scoperto una frase che BAM!, mi ha folgorata. E mi ha fatto capire che Allen potrebbe essere il mio portavoce:
"Mi identifico sempre in quelli che rifiutano la realtà: Cecilia (la protagonista della Rosa Purpurea del Cairo), Gil (il protagonista di Midnight in Paris) o la Blanche Dubois di Un tram che si chiama desiderio, che non vuole rinunciare a vivere in un mondo incantato. Trovo il nostro mondo sinistro, e la condizione umana sempre più atroce. Come milioni di persone della mia età, sono cresciuto nella più perfetta illusione, nei sontuosi decori delle sale di cinema dove passavo la mia vita, e nell'immaginario dei film hollywoodiani. Conosco persone che non si sono mai rimesse dalla delusione che hanno provato andando avanti nella loro esistenza. Che sono rimaste in collera tutta la loro vita contro il loro compagno perché non era così nobile, così bello, onesto e coraggioso come nei film. Si sentono come in un incubo: presi in ostaggio dalla realtà. Io stesso, non sono mai veramente riuscito a superare questa tristezza."
Se dovessi iniziare una terapia oggi, andrei dallo psicanalista con un foglietto sul quale riporterei fedelmente queste parole di Woody Allen. Per poi chiedere: Dottore, mi dica, è grave?
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